Le donne, gli uomini, la violenza
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Le donne, gli uomini, la violenza

Giacomo Todeschini, storico e docente di Storia medievale presso l'Università di Trieste, ragiona sulla responsabilità profonda del meccanismo di violenze infinite alle quali stiamo assistendo.

Le donne, gli uomini, la violenza
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18 Dicembre 2023 - 12.32 Culture


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di Giacomo Todeschini

Le donne uccise da uomini in Italia, nel 2023, sono state fino ad oggi 109 (www.adnkronos.com). Nel 2023 più di 2500 migranti sono morti nel Mediterraneo, uomini, donne e bambini (www.unhcr.org/it). Le morti sul lavoro in Italia sono tre al giorno, circa 900 all’anno (www.ansa.it), uomini e donne.

Più uomini che donne, le quali spesso, oltre che sul lavoro, muoiono nel tragitto o sulla strada del ritorno, perché già stanche di sfruttamento domestico.

La violenza esercitata sulle donne da uomini a loro apparentemente vicini, mariti, fidanzati, padri e congiunti vari, può essere e viene spesso rapidamente catalogata come l’effetto di un sistema “patriarcale” politicamente ed economicamente neutro, le cui radici si perdono nella notte dei tempi.

In questa prospettiva, politicamente trasversale come usa dire, progressisti e tradizionalisti, innovatori e conservatori, possono anche incontrarsi e sentirsi a posto con la coscienza, dato che i responsabili, gli uomini, non sono pensati come il prodotto di una situazione storica ed economica precisa, ma come l’incarnazione momentanea di un maschio astratto, un idealtipo incarnato ora da questo e ora da quell’uccisore di donne. Questo “uomo” non storico ma eterno, scaturito come per incanto da un altrettanto eterno “patriarcato”, fa molto comodo a tanta brava gente che vuole sì punire gli assassini ma trova difficile e poco opportuno domandarsi perché esistano in così gran numero.

Grazie alla ferocia di questo “lui” indeterminato si può dimenticare o far finta di dimenticare quanto è sotto gli occhi tutti, ogni giorno. Ossia che la violenza patita dalle donne è un effetto (ma non l’unico) di un ordine economico e quindi politico che divide l’umanità odierna, al di là dei generi, delle etnie, dei colori e delle culture, in carnefici e vittime, ricchi e poveri, chi comanda e chi ubbidisce. Questa storia, benché antica, è stata rinnovata in profondità dall’avvento e dal perfezionamento, nell’ultimo secolo, di un sistema economico transnazionale (o globale) che, spazzando via le sovranità nazionali, ha imposto come principio di costruzione sociale la logica dello sfruttamento fino all’osso delle persone e delle nazioni, e ovviamente prima di tutto di quelle più deboli e più indifese, in vista di quello che viene chiamato benessere collettivo, ma che, come ogni economista sensato sa benissimo, è in realtà l’arricchimento senza limiti delle élites privilegiate sparse nel mondo.

Chi è responsabile di questo meccanismo generatore di violenze infinite, di stragi sul lavoro, dell’impoverimento di estese aree del globo con conseguenti stravolgimenti politici, migrazioni e disperazioni, della morte di folle di poveri? Si può di certo pensare che all’origine di questa apocalisse quotidiana ci sia un sistema di valori maschile. Ma è fin troppo facile scoprire che questa versione non a caso piuttosto generica nasconde una verità, verificabile, assai più difficile da ammettere come razionale e giustificabile. L’ordine economico-politico in cui viviamo è in effetti amministrato, indifferentemente, da uomini e donne o da persone che non si considerano né uomini né donne, perché, fatta fuori con sollievo dai più ricchi l’“utopia comunista”, quello che caratterizza quest’ordine è l’impersonalità asessuata di un Potere funzionale alla riproduzione di una ricchezza di cui solo i più forti potranno godere.

Un mondo diviso in carnefici e vittime, ricchi e poveri, privilegiati e sfruttati, com’è quello nel quale ci troviamo a vivere, affermato e propagandato come unico mondo possibile, fonda sulla violenza ripetuta e continua il proprio modo di essere e la logica stessa della sua sopravvivenza. La violenza, la sopraffazione, la minaccia di morte e la morte valgono da strumenti di mantenimento di quest’ordine, e, benché occultati e mascherati dalle vernici della pubblicità coercitiva e di un consumismo delirante che promette felicità, affiorano di continuo. La paura è importante e chi deve ubbidire non deve scordarsela, altrimenti potrebbe venirgli una voglia di conflitto (fra classi sociali) o almeno un impulso alla disobbedienza.

Tutti coloro che, per ragioni diverse, si ritrovano ad essere deboli, “fragili”, massa di manovra, carne da cannone, popolo dell’abisso, forza lavoro sfruttabile, subiscono questa violenza strisciante, o conclamata, spesso fino a morirne. Le donne e gli uomini. Gli uomini e le donne. I bambini e le bambine.

La violenza vissuta dalle donne, uccise dagli uomini, dalle condizioni di lavoro, dalle condizioni domestiche, dallo sfruttamento parossistico dei loro corpi, dall’emigrazione obbligata, dalle guerre, fa parte ed è l’esito di un’organizzazione del mondo inumana e sterminatrice, accettata come normale ossia come l’unica possibile da chi ha o crede di avere interesse a difenderla.

Gli uomini che uccidono donne delle quali ritengono di essere i padroni agiscono, lo sappiano o no, in nome di un sistema economico e politico che contribuiscono a giustificare, assumendosi il ruolo di piccoli carnefici quotidiani doverosamente intenti a manifestare quello che credono il loro potere. Al di là di costoro, la macchina sterminatrice di un’economia di mercato senza legge né pietà continua ad agire indisturbata generando ogni giorno gli esecutori della sua violenza.

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