Paoli e Vanoni: il vizietto di fare audience ancora oggi
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Paoli e Vanoni: il vizietto di fare audience ancora oggi

Al di là dell’effetto “ascolto dietro l’uscio” voluto da Fazio in trasmissione resta il livello artistico qualitativo di personaggi come Gino Paoli e Ornella Vanoni che hanno le proprie radici della musica popolare degli anni Sessanta

Paoli e Vanoni: il vizietto di fare audience ancora oggi
Il salotto di “Che tempo che fa” con Paoli e Vanoni
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Marcello Cecconi Modifica articolo

3 Novembre 2023 - 17.41 Culture


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C’è da chiedersi cosa ci sia dietro personaggi come Paoli e Vanoni, ancora esche prelibate per chi deve far audience e attrarre pubblicità in un programma televisivo. La spiegazione non è nella loro storia di vite avventurose e fuori dai comuni canoni, ma nelle loro diverse ma profonde qualità artistiche.

Lo capisce bene anche Fabio Fazio quando vede andare in frantumi il suo canovaccio di fronte a Gino Paoli e Ornella Vanoni nel salotto di Che tempo che fa. Sembra di essere nella sala ricreativa di una privilegiata casa di riposo dove qualcuno degli ospiti, i più chiacchierati, hanno deciso di raccontare le gesta di una vita border line.

Entrambi struggenti, malinconici, ma veri. “Un uomo vale solo per gli errori che ha fatto”, timbra la sua lunga vita Gino Paoli, novant’anni e sentirli, davanti al corregionale ossequioso Fazio. Questo avviene proprio mentre dalla porta estrema del palcoscenico, che la NOVE ha copiaincollato da Rai3, arriva la compare ottuagenaria Ornella Vanoni, canticchiando Senza Fine la canzone che Paoli avrebbe scritto per lei. Lui non sembra troppo d’accordo.

Impossibile rinchiuderli in una recita guidata. I due, infatti, s’incrociano in dialoghi surreali con gli stessi effetti commoventi e comici del teatro dell’assurdo. Le tenere cattiverie urlate da Ornella per farsi capire da Gino, ormai duro d’orecchi, non spostano d’una virgola l’aplomb del cantautore genovese. Lui se ne frega del fatto che era lì per presentare un suo nuovo libro che Fazio continua a sventolare davanti alle telecamere, e preferisce spiegare che la famosa Il cielo in una stanza è la descrizione di un orgasmo. L’improvvisa e sregolata recita prende sopravvento su tutto.

Ciò che emerge molto chiaramente però è che il fenomeno di questa lunga permanenza sulle scene musicali delle “opere d’arte” firmate da Paoli e Vanoni, oppure da Celentano e Mina, da Morandi e da molti altri cantanti coevi ancora in attività è sicuramente fenomeno da indagare.

Da un lato ci sono questi artisti affermatisi nell’industria musicale con la forza della voce/parole/musica attraverso i Juke box degli anni Sessanta e consolidati nelle trasmissioni televisive in bianco e nero del sabato sera. Dall’altro, fenomeno diverso e più artigianale, i cantautori di rottura nati sotto l’influsso libertario delle battaglie giovanili di quegli anni, nelle osterie di Genova, di Bologna e negli scantinati/cabaret di Milano, che più che nella tv, avevano il loro palcoscenico nei concerti.

Erano i tempi in cui molto originava dalle cento lire lasciate cadere in quelle macchine colorate che permettevano la scelta di tre dischi, tracce si direbbe oggi. Un atto coraggioso e pubblico che ti trasformava in potenziale dj nelle domeniche pomeriggio nei bar assiepati per condividere i primi aneliti di “dolce e inconsapevole” consumismo, prima della dissacrazione definitiva di Pier Paolo Pasolini. Era, quello, un primo assaggio di gradimento musicale per la selezione e acquisto di alcuni di quei 45 giri (costavano assai) per conservarli e sperare di farli girare nella fonovaligia Geloso nelle fatidiche feste in casa dei cheek-to-cheek, genitori permettendo.

Dunque sono le qualità radicate in quella musica e in quei testi a sconfiggere la ruggine del tempo che invece si abbatte su molti cantanti attuali. Qualità che sono penetrate nella cultura popolare che questi artisti hanno contribuito, pian piano, a consolidare facendola uscire dal complesso d’inferiorità di fronte all’elitaria.

Perciò restano solidi i primi piani dell’edificio musicale-culturale che continua a sfidare i piani superiori, moderni ma resi meno stabili dall’effimero, prodotto dagli effetti dei social che partoriscono e uccidono fenomeni, mode e personaggi nell’arco di una stagione.

E allora ogni volta che l’esondazione da ubriacatura di una moda rientra negli argini, l’industria musicale torna sul sicuro rispolverando queste radici e riproponendole in versioni rinnovate. “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico!”

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