Grossman: riflessioni sull'Olocausto e l'uguaglianza tra i popoli
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Grossman: riflessioni sull'Olocausto e l'uguaglianza tra i popoli

"Vita e Destino" di Vasilij Grossman esplora l'Olocausto e promuove l'uguaglianza tra i popoli, offrendo una memoria indimenticabile.

Grossman: riflessioni sull'Olocausto e l'uguaglianza tra i popoli
Vasilij Grossman
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8 Ottobre 2023 - 21.56


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di Antonio Salvati

Nel suo epico romanzo Vita e destino, Vasilij Grossman – scrittore ebreo sovietico, originario dell’Ucraina – evidenziò le caratteristiche dei totalitarismi del Novecento affermando che «la prima metà del XX secolo passerà alla storia dell’umanità anche come l’epoca dello sterminio capillare di enormi strati della popolazione europea in nome di teorie sociali e di razza. […] E non furono decine di migliaia né di milioni, bensì moltitudini sterminate i testimoni rassegnati e docili di questa strage degli innocenti». Per Grossman è sconvolgente la passività delle vittime, pochi si ribellano. La totalità accetta la propria tragica sorte.

Nel 1943, dopo la liberazione dall’esercito tedesco da parte delle truppe dell’Armata rossa in seguito alla battaglia di Stalingrado, Grossman si recò in Ucraina e la percorse, in lungo e in largo, a piedi e con ogni mezzo, questa terra: «dal Donec al Dnepr, da Vorošilovgrad nel Donbass a Černigov sulla Desna, e ancora giù fin sulla riva del Dnepr, a guardare Kiev; e in tutto questo tempo ho incontrato un solo ebreo». Non ci sono più ebrei, in Ucraina. Da nessuna parte: a Poltava, Char’kov, Kremenčug, Borispol’ e Jagotin, nelle città, nelle centinaia di shtetl e nelle migliaia di villaggi «non è dato vedere ragazze con gli occhi neri lucidi di lacrime, né sentire la nenia lamentosa delle vecchie, né incrociare la faccina scura di un bambino affamato. Niente parole. Silenzio. Un popolo ucciso». Scrive un reportage destinato a riviste con distribuzione limitata. Il testo, dimenticato per decenni, è riapparso negli anni della perestrojka ed è stato dato alle stampe nella sua versione originale su una rivista di Riga, VEK, nel 1990. In Italia è uscito quest’anno per i tipi di Adelphi Ucraina senza ebrei, a cura di Claudia Zonghetti (pagine 64, euro 5,00).

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Hanno ucciso un popolo, rileva con dolore Grossman: «hanno ucciso le case, le famiglie, i libri e una fede; (…) hanno ucciso il corpo e l’anima di un popolo, hanno ucciso un nobile retaggio di fatica che di generazione in generazione ha dato al mondo migliaia di artigiani e intellettuali di talento. Hanno ucciso la morale di un popolo, i suoi usi quotidiani, le barzellette tramandate dai vecchi ai figli, hanno ucciso i ricordi, le canzoni tristi, la poesia di una vita allegra e amara insieme, hanno devastato case, famiglie e cimiteri; è la morte di un popolo che per secoli è vissuto fianco a fianco col popolo ucraino, che sulla sua stessa terra ha sgobbato, ha peccato e ha fatto cose buone, e che su quella stessa terra è poi morto». Osserva Grossman che in tutti i libri degli autori che hanno scritto di come si vive in Ucraina, nelle opere di Gogol’, Čechov, Korolenko e Gor’kij, «che parlino di epoche tristi e tremende o di altre di pace e spensieratezza, in Taras Bul’ba, nella Steppa di Čechov o nei racconti limpidi, splendidi di Korolenko, gli ebrei ci sono sempre. E non potrebbe essere altrimenti! Chi di noi, nati e cresciuti in Ucraina, non si è nutrito sin dagli anni più verdi delle scene di vita del popolo ebraico fra città, shtetl e villaggi ucraini?». Gli ebrei, prima dell’Olocausto, erano il cuore pulsante del Paese, ben accolti e integrati quasi come se fossero cittadini a pieno titolo. In quei villaggi si erano creati legami fraterni tra gli ebrei, stanziati stabilmente lì da tempo immemore, e le comunità del posto: l’assenza di quegli ebrei, di alcuni dei quali conosciuti personalmente da Grossman, è di un silenzio surreale, incredulo.

Grossman con estrema lucidità e chiarezza delinea le motivazioni che hanno spinto la Germania a scatenare la sua furia omicida contro gli ebrei, del popolo «sparso in tutti gli Stati del mondo», e le ritrova nell’egoismo tipico dell’ideologia nazista. Perseguitando tale popolo, il nazismo dichiara guerra a tutti i popoli del pianeta. Non solo. Il nazismo, creando una scala dell’oppressione dei popoli, ha perciò messo gli uni contro gli altri. L’ideologia nazista scaturisce dalla convinzione dell’idea dell’eccezionalismo della razza germanica, «dalla profonda convinzione dei tedeschi d’oggi di essere il popolo eletto e che la loro felicità, la loro pace e sicurezza siano le uniche cose sacre sulla terra. È, questa, l’ideologia dell’eccezionalismo e del disprezzo per gli altri popoli, dell’indifferenza per le sofferenze altrui e del sentimentalismo esasperato nei confronti dei propri simili. È l’idea sciovinista cullata e alimentata per decenni dal convincimento che si possa amare il proprio popolo solo se si disprezza il resto dell’umanità; è la certezza sconfinata della propria insindacabile egemonia sul mondo, del fatto che dio ha creato cielo, sole, aria, mare, fiori e campi solo per i tedeschi; è il voler credere che, su questa terra, la vita degli altri popoli dipenda solo da quanto essi possano risultare utili al popolo tedesco». La consapevolezza di un tale eccezionalismo non sonnecchia soltanto nell’animo del popolo tedesco. È piuttosto il flagello dell’umanità di oggi e «non condurrà di certo alla gloria e al progresso dei popoli. Destatasi in Germania, la condurrà su una china di crimini sanguinosi, la farà precipitare nel baratro della disfatta più brutale. E, a guerra finita, possa qualunque tentativo di risvegliare in uomini e genti il disprezzo per il principio di uguaglianza fra i popoli essere considerato il crimine sommo. L’uguaglianza, in quest’epoca, è il principio morale supremo del genere umano. All’estremo opposto c’è il razzismo».

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Da secoli gli ebrei sono sempre stati il capro espiatorio delle calamità naturali e delle colpe e degli errori di altri popoli. Con acutezza mentale e conoscenza del cuore umano, Grossman spiega che «l’antisemitismo ideologico è un fenomeno che nasce dal bisogno fisiologico di spiegare i mali del mondo e delle persone guardando uno specchio anziché sé stessi».

Grossman, in piena guerra, si pone il problema di cosa accadrà al termine guerra. Nessun sentimento di vendetta. Cosa diremo al popolo tedesco: siete degli assassini? «Occhio per occhio, dente per dente? Risponderemo all’eccidio di un popolo con l’eccidio di un altro? No. La vittoria della democrazia non sarà solo una vittoria delle armi». La vittoria vera consisterà nel ridurre in cenere le forze oscure del razzismo, «l’idea che una sola nazione abbia l’egemonia sui popoli della terra, l’idea che un solo popolo e un solo Stato opprimano tutti gli altri popoli e tutti gli altri Stati. L’uguaglianza fra i popoli trionferà. La vittoria vera consisterà nel fatto che, dopo avere scatenato una guerra nel nome dell’oppressione e dello sterminio, la Germania fascista sarà sconfitta non solo materialmente, ma anche nelle sue convinzioni».

Infine, occorrerà porsi il problema della memoria per dare voce al silenzio di chi è stato sommerso.  Immaginando come restituire quella voce che è stata cancellata, al termine del volume Grossman ci lascia con seguente domanda: «Ma se per un attimo quel popolo potesse tornare in vita, se la terra si aprisse nel burrone di Babij Jar a Kiev e intorno al memoriale di Ostraja Mogila a Vorošilovgrad, se un grido lancinante si staccasse da quelle centinaia di migliaia di labbra piene di terra, l’Universo intero tremerebbe».

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