Lorenzo Parrotto: arriva il cinema dopo tanto teatro
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Lorenzo Parrotto: arriva il cinema dopo tanto teatro

Già in sala con "Romantiche", diretto in teatro da Andò e Popolizio, Lorenzo Parrotto è il protagonista de "Gli altri" di Daniele Salvo.

Lorenzo Parrotto - Intervista per Globalist di Alessia de Antoniis
Lorenzo Parrotto
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4 Aprile 2023 - 10.08


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di Alessia de Antoniis

Reduce dal successo teatrale di “Ferito a morte”, diretto da Roberto Andò, Lorenzo Parrotto è protagonista nel film “Gli altri”, opera prima di Daniele Salvo in concorso al Bif&st 2023.

Nel cast anche Ida Di Benedetto, Gioia Spaziani, Gianfranco Gallo e Peppe Servillo.

Lorenzo è già in sala con “Romantiche”, film diretto e interpretato da Pilar Fogliati per Indiana Production in collaborazione con Sky, Prime Video e Vision Distribution, uscito al cinema il 23 febbraio.

Romano, classe 1993, Lorenzo Parrotto si diploma nel 2016 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”.  Nello stesso anno debutta con Massimo Popolizio al Teatro Argentina di Roma con “Ragazzi di vita”. Con Lorenzo Collalti, fonda la compagnia “L’Uomo di Fumo” e, insieme, nel 2015 vincono il Premio SIAE con “Così è”.

Dopo tanto teatro è arrivato il cinema.

Lorenzo, spesso si dice che è più difficile il teatro perché esiste solo “buona la prima”. Non puoi rifare la scena, niente correzioni in fase di montaggio. È un mito da sfatare?

Assolutamente sì. In ogni tipo di produzione cinematografica e televisiva c’è sempre e comunque un tempo a disposizione. A teatro hai un mese di prove, nella migliore delle ipotesi; sul set, al più, tre o quattro ciak. Dopodiché, se la regia è soddisfatta, si va avanti e ciò che è fatto è fatto. Il fattore tempo è qualcosa da cui, in entrambe le situazioni, non si può mai prescindere e, di conseguenza, la cura e la professione che si mettono a disposizione devono sempre essere di qualità. Il cinema non è per nulla più semplice del teatro, sono mondi diversi, nonostante abbiano molto in comune.

Attori, soprattutto giovani, abituati ai set, hanno paura del teatro. Tu hai fatto il percorso inverso. Come hai vissuto il cambio di passo? L’Accademia fa la differenza?

È chiaro che la “Silvio d’Amico” ha aiutato tantissimo. In ogni momento della mia giovanissima carriera, attingo dall’importanza e dal tipo di formazione che ho ricevuto. Inoltre, negli ultimi anni, l’Accademia prevede nel proprio piano formativo moltissimi laboratori con registi cinematografici. È giusto pensare a una formazione teatrale; allo stesso tempo però, quando è possibile, bisognerebbe far sperimentare agli allievi la recitazione dietro la camera da presa, magari attraverso la realizzazione di corti o mediometraggi. Nel mio caso, la collaborazione con Sergio Rubini mi ha aiutato tantissimo una volta diplomato.

In teatro diretto da Roberto Andò, un regista che si muove indistintamente dietro a una macchina da presa come in teatro. Qual è la sua cifra registica? Cosa porti di lui nella tua cassetta degli attrezzi?

Come ho già detto più volte, anche durante la nostra bellissima tournée di “Ferito a morte”, aver incontrato Roberto è stato importantissimo. La responsabilità che “consegna” agli attori nei suoi spettacoli è massima. Tutto ciò ha permesso la creazione di un gruppo bellissimo, dove ho avuto la fortuna di incontrare colleghi come Andrea Renzi, Marcello Romolo, Aurora Quattrocchi, Paolo Mazzarelli. Il binomio Andò – La Capria ha creato uno spettacolo densissimo di immagini e di vissuto. All’interno dello spettacolo vengono fuori tantissimi piani di lettura: la famiglia, i primi amori, i tradimenti, l’ambiente dei circoli dell’epoca, le amicizie, gli affari, la voglia di lasciare la propria terra per realizzarsi e fuggire dalla “foresta vergine” che è Napoli. Qualcosa di universale nello spettacolo il pubblico lo ha sempre ritrovato, e questo è stato bellissimo.

Debutti al BiF&st da protagonista. Hai lavorato con persone di grande esperienza. Il percorso classico, dal teatro al cinema, è più faticoso e lungo ma ripaga? Oppure ripaga di più una carriera velocissima iniziata con la serie giusta e migliaia di follower?

Non c’è niente di grave a cominciare sin da subito a lavorare in cinema, teatro o tv. Il talento spesso e volentieri non ha tempo e non dà tempo. Sarebbe stato bellissimo già a quindici o sedici anni cominciare a frequentare set importanti e palcoscenici prestigiosi. Il punto in questione, penso sia un altro. Non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo ci si prefissa: siamo anima, corpo e vissuti messi a disposizione di storie, immagini, emozioni e di vissuti. La provocazione fatta sulla questione dei social è giusta, ma i social debbono essere uno strumento per condividere il più possibile la “letteratura” di ciò che realizziamo, o meglio, proviamo a realizzare. Lo stesso Pasolini odiava la televisione in quanto livellatrice di linguaggi e mentalità, ma non perdeva mai occasione di intervenire nelle trasmissioni per provarne a cambiare natura e utilizzo. Ai miei giovanissimi colleghi dico sempre questo: cominciate con lo studio, poiché quel tempo non ce lo ridarà mai nessuno e, nel lungo, farà la vera differenza.

Tanti corsi di recitazione; tanta richiesta di prodotti, soprattutto per piattaforme; tanti soldi che arrivano all’audiovisivo; tanta lamentela per l’assenza di attori e sceneggiatori; tanti prodotti scadenti. Stai uscendo dalla fascia under30. Cosa ti lasci alle spalle? Com’è la macchina vista dall’interno?

C’è ancora tantissimo da fare. Registi, attori, drammaturghi e sceneggiatori giovani, bravi e competenti ce ne sono. Come spesso dico, a volte manca il coraggio di scommettere su qualcuno che produttivamente non garantirebbe un ritorno immediato al “prodotto”, come piace chiamarlo ad alcuni colleghi. Ormai non si può più scindere il valore artistico e umano di un’opera d’arte dal suo valore produttivo. In un bellissimo discorso, che alcuni anni fa fece il nostro collega Fabrizio Gifuni, veniva fuori proprio questo concetto: non c’è nessun problema nel prevedere che le opere d’ingegno artistiche possano fruttare somme di denaro a chi le produce, anzi, il fatto contrario sarebbe ancora più grave. Il punto è che tutto ciò non deve mai sostituirsi al valore e all’importanza che il teatro e il cinema possono dare a una comunità.

Sei nel cast di “Romantiche” diretto da Pilar Fogliati. Anche lei ex studentessa dell’Accademia “Silvio d’Amico”. Dovrei dire: “così giovani e già…”. In realtà avete trent’anni e a questa età dovrebbe essere normale avere formazione ed esperienza. Siete anomali voi o c’è qualcosa che non va nel sistema?

Pilar è la dimostrazione di quello che abbiamo appena detto. È normale che in Italia colpisca che a soli trent’anni un’attrice possa firmare la sua prima regia al cinema. Ma è stata all’altezza e il pubblico ha apprezzato tantissimo la sua proposta di commedia. Piccola nota a piè pagina: Thomas Ostermeier, regista tedesco, nel 1999 è diventato direttore dello Schaubühne di Berlino a soli 31 anni.

Produzioni estere in Italia grazie al tax credit. Questo aiuta davvero l’industria cinematografica italiana, intesa non come fabbrica di prodotti ma come sviluppo di un prodotto nazionale che una volta era un’eccellenza? O siamo solo passivi prestatori d’opera in un’industria che parla sempre più inglese?

Spesso grandi storie e grandi personaggi italiani vengono narrati e raccontati per la prima volta da grandi produzioni straniere. Detto ciò non possiamo competere con la loro industria e la loro disponibilità economica. È un discorso lunghissimo ed è stato importante che Pierfrancesco Favino ne abbia parlato al Festival di Berlino. Quello che posso dire è che bisognerebbe riuscire a intendere l’ospitalità di produzioni importanti dall’estero come un’opportunità e come uno stimolo a fare sempre meglio.

I grandi maestri del teatro e del cinema italiani della seconda metà del secolo scorso hanno fatto scuola? Come attore delle nuove generazioni, vedi che la tradizione del cinema italiano, ad esempio, è continuata o si è persa?

Mi verrebbe da dire che si sta evolvendo e, come ogni cosa, è figlia del proprio tempo. A livello tecnico, produttivo e artistico oggi si possono immaginare e realizzare storie, ma ancor prima sequenze, fino a qualche anno fa impensabili. Dopodiché chi ha studiato e rubato dai grandi non manca mai di citare i propri maestri, e questo credo sia la cosa più bella. Abbiamo insegnato cinema per tanti anni a tutto il mondo, non dobbiamo mai dimenticarlo.

Sei co-fondatore di Lykan. In squadra avete tutti professionisti under35. Che progetto è? A chi si rivolge? Qual è l’urgenza alla base di un simile progetto?

Lykan è una società di formazione fondata insieme alla mia collega e moglie, Roberta Azzarone. Il teatro, con le sue regole e i suoi strumenti, si mette a disposizione di gruppi, scuole e aziende per approfondire, condividere e raccontare storie, temi ed esperienze. Nell’ultimo anno abbiamo realizzato uno spettacolo sull’Inferno di Dante, grazie alla collaborazione del Teatro Pubblico Pugliese e della Regione Puglia, dove studenti e professionisti hanno lavorato assieme.

Ultimamente, insieme a una grande azienda come Enel, abbiamo prodotto e realizzato dieci cortometraggi sulla base di dieci storie di “Leadership gentile”, che i colleghi avevano condiviso durante i nostri laboratori. Gli attori protagonisti sono stati proprio i dipendenti Enel.

Questi sono solo due di diversi progetti che stiamo portando avanti. La provocazione che abbiamo colto è ricorrente, e il più delle volte giusta: “a teatro non vado mai, mi annoio, lo ritengo inutile”. Benissimo: tutti al lavoro, perché il teatro può fare tantissimo.

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