Gramsci filologo e critico dantesco
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Gramsci filologo e critico dantesco

La «nota dantesca» sul Canto degli eretici rappresenta una chiave di accesso preziosa alla vicenda intellettuale, umana e politica di Antonio Gramsci.

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31 Marzo 2023 - 09.18


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di Noemi Ghetti

Tra gli scritti specificamente letterari dei Quaderni del carcere, la «nota dantesca» sul Canto degli eretici (Q 4, 78-88) rappresenta una chiave di accesso preziosa alla vicenda intellettuale, umana e politica di Antonio Gramsci. Programmato nel piano di lavoro vergato nella prima pagina dei Quaderni l’8 febbraio 1929, proprio nei giorni in cui Mussolini si apprestava a ratificare i Patti lateranensi dello Stato italiano con la Chiesa, il lungo saggio sul Canto X dell’Inferno fu redatto da Gramsci in più riprese nel corso del biennio 1930-1932, dopo la svolta totalitaria di Stalin e la drammatica rottura del leader sardo con il collettivo comunista del carcere di Turi. Caso unico attestato durante la detenzione, grazie alla complicata rete epistolare che, attraverso la cognata Tatiana Schucht e l’amico economista Piero Sraffa, dal carcere di Turi passava per Cambridge per raggiungere Mosca, la stesura della nota fu attentamente seguita e personalmente commentata da Palmiro Togliatti proprio nel periodo in cui la figura di Gramsci, da lui canonizzata e ridotta ad icona nell’aprile 1931 al congresso detto di Colonia, per un biennio fino alla gravissima crisi di salute fu fatta letteralmente sparire dalla scena pubblica del partito sovietico.

Promettente filologo e linguista ai tempi dell’università, Gramsci fu allievo prediletto del dantista Umberto Cosmo, insegnante oltre che di Togliatti e Sraffa, di numerosi altri intellettuali italiani fino a Norberto Bobbio. Chiamando a giudice e testimone della propria «piccola scoperta» proprio il professore, al quale fa inviare lo schema della nota dantesca, Gramsci mette in discussione, fino a capovolgerla, l’estetizzante interpretazione del Canto di Benedetto Croce, che scindendo struttura e poesia, letteratura e vita, nega l’unità del Canto. È il primo passo dell’articolata critica a Croce, svolta nel Quaderno 10, e l’originale interpretazione gramsciana del motto gentiliano «Ritorniamo al De Sanctis», il critico ottocentesco prediletto per l’esemplare interazione tra attività intellettuale e prassi di vita. Contemporaneamente, attraverso le traduzioni del carcere degli scritti giovanili di Marx, i meno noti, che si spinge fino alla decisiva Lettera al padre del 10 novembre 1837, Gramsci va svolgendo la propria indagine sulle radici teoriche del marxismo e sulla fatale cristallizzazione del materialismo storico nel determinismo economicistico della scissione marxiana struttura e sovrastruttura, con la perdita delle istanze umanistiche da cui il pensiero di Marx inizialmente aveva preso le mosse.

Il tema della previsione del futuro, col contrappasso della impossibilità nel «cieco carcere» di vedere il presente, fondamentale per l’interpretazione del Canto, offre spunto a interessanti riflessioni sia per quanto riguarda la visione provvidenzialistica cristiana che quella economicista marxista della storia umana. Allo stesso modo l’importanza dei rapporti interumani, in particolare quello con le donne, spesso sacrificate o assenti dalla scena culturale e politica, diventa centrale nelle pagine gramsciane che, ancora attraverso il nesso della cecità, si popolano di emblematici riferimenti a immagini femminili della mitologia classica, vittime dello scontro tra Oriente ed Occidente: Cassandra, Medea, Ifigenia. Dal Canto risulta infatti esclusa, Gramsci osserva, la menzione della figlia del capo ghibellino Farinata, andata sposa giovanissima a Guido Cavalcanti, figlio di Cavalcante, per ratificare la pacificazione della città di Firenze dilaniata dalle lotte delle fazioni. E aleggia, innominata, l’immagine della violinista russa Iulca Schucht, sposa di Gramsci e madre dei suoi due figli, sofferente per la rigida sorveglianza di regime a cui è sottoposta a Mosca.

È la geniale ricreazione gramsciana della «poetica dell’inespresso» di Luigi Russo. L’analisi di Gramsci del canto degli eretici, gli atei irriducibili che «l’anima col corpo morta fanno», è dunque un modello assolutamente nuovo di critica letteraria. Nell’originale interpretazione, affetti privati, passione politica, ricerca teorica e battaglia culturale sono fusi nella scrittura in una straordinaria praxis del carcere che, mentre la solitudine si radicalizza per l’abbandono da parte dei compagni di lotta, si fa sempre più universale. Come nel canto X dell’Inferno, di cui Gramsci per primo evidenzia l’unità poetica scoprendone la chiave interpretativa nascosta, tragedia politica e drammi privati si intrecciano fittamente anche nello straordinario commento dei Quaderni, che lascia anche intravvedere, sotto il dissidio tra Cavalcante, il vero protagonista del canto, angosciato per la sorte del figlio, e Farinata, che la passione politica rende del tutto insensibile agli affetti privati, l’analogia con lo storico scontro del prigioniero con Togliatti.

Nell’enigmatica trama dei celebri versi sotto le figure dei due protagonisti, dannati nella stessa tomba scoperchiata, è infatti adombrato lo scontro sanguinoso dell’autore della Commedia con il suo maestro e ‘primo amico’ Guido Cavalcanti, poeta d’amore e filosofo naturale considerato da Gramsci come il massimo esponente della rivolta alla latinitas e al pensiero teocratico medievale, e la conversione dall’amore passione carnale e principio di conoscenza, con cui nel Duecento nella Sicilia di Federico II era nata la lingua italiana, all’amore cristiano per Dio. Gramsci risale così alle origini della secolare egemonia cattolica, avviando la ricerca dei Quaderni sulla «quistione della lingua», che proprio con Dante ha il suo inizio. E mentre definisce l’originale disegno per la storia degli intellettuali italiani, pone le basi per l’elaborazione dell’idea rivoluzionaria e ancora attuale di una egemonia culturale per un nuovo umanesimo come lotta non delle armi, ma del pensiero e della parola, che sia elemento di laico raccordo e scambio democratico tra vita politica e società civile.

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