Il teschio di Mengele: storia del ritrovamento dei resti del criminale nazista aguzzino di Auschwitz
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Il teschio di Mengele: storia del ritrovamento dei resti del criminale nazista aguzzino di Auschwitz

Il teschio di Mengele di Thomas Keenan ed Eyal Weizman racconta come si giunse all’identificazione dei suoi resti in una tomba anonima di un cimitero brasiliano.

Il teschio di Mengele: storia del ritrovamento dei resti del criminale nazista aguzzino di Auschwitz
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6 Giugno 2023 - 09.23


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di Rock Reynolds

Il funzionamento della memoria collettiva non è dissimile dai processi di quella individuale: essa va alimentata e protetta dalle distorsioni della falsità e dalla corrosione del tempo.

Quando si parla di memoria, soprattutto di quella con la M maiuscola, è inevitabile pensare alla Shoà e al bagaglio di tragedie e conoscenze che la “Soluzione Finale” ha insinuato nella coscienza planetaria. È passato quasi un secolo dalla salita al potere di Adolf Hitler e non molto meno da quando tale agghiacciante strategia fu intrapresa. Sono stati versati fiumi di inchiostro sull’argomento, eppure il negazionismo non è più una rivendicazione di qualche mente malata. Anche perché i testimoni diretti – vittime e carnefici – sono sempre meno e sulla rete prospera una comunità inquietante di complottisti che confutano scienza e storia con argomentazioni grottesche.

Soprattutto, è via via più raro sentir parlare di una caccia all’uomo per assicurare alla giustizia un aguzzino che magari ha riparato in un paese sudamericano, dove molti ex-gerarchi nazisti hanno cercato e trovato asilo. D’accordo, buona parte dei nomi più altisonanti del regime nazista si diedero la morte per non subire l’onta dell’arresto, del processo e della condanna al patibolo o a lunghe pene detentive da parte di uno dei paesi vincitori: Hitler stesso, Goebbels, Göring, Himmler, sopra tutti. Poi ci furono quelli che sfuggirono alle maglie della giustizia internazionale perché gli Alleati, in particolare gli USA, preferirono cooptarli tra le fila del controspionaggio o utilizzarli in ruoli di responsabilità nell’amministrazione della Germania ricostruita, a baluardo della crescente paura comunista.

Ma a seminare inquietudine furono soprattutto quegli alti ufficiali dell’apparato nazista che riuscirono a darsi alla macchia e che, con la complicità di una rete di fiancheggiatori a loro agio tra gli spazi chiaroscuri della diplomazia internazionale, consentirono ad altre figure di spicco così come a bolsi funzionari della burocrazia del Reich di mettere se stessi e le proprie famiglie al sicuro in paesi conniventi. Chi non ha sentito parlare di Odessa, la famigerata organizzazione di ex-camerati delle SS che, spesso attraverso il circuito dei monasteri cattolici tra Tirolo e Alto Adige, facilitò la fuga di figure di primo piano, come Adolf Eichmann, Klaus Barbie e Josef Mengele, accomunate da raccapriccianti scelte politiche e umane e divise dalla sorte? Mentre Eichmann fu catturato in Argentina nel 1960 da un commando del Mossad, trasportato in gran segreto in Israele, processato e giustiziato nel 1962, Barbie fu arrestato in Bolivia nel 1983, estradato in Francia e condannato nel 1987, per poi morire in carcere nel 1991. Ma è su Josef Mengele che si sono ricamate le trame più follemente romanzesche, prima che la scienza mettesse fine a ogni illazione fantasiosa sul suo conto.

Il teschio di Mengele (Meltemi, traduzione di Stefano Stoja, pagg 86, euro 12) di Thomas Keenan ed Eyal Weizman racconta non tanto la caccia all’uomo che, per una serie di ragioni, non portò mai alla cattura de “l’Angelo della Morte” (come veniva chiamato Mengele nel campo di Auschwitz presso cui mise in atto buona parte delle sue nefandezze), bensì come si giunse all’identificazione dei suoi resti in una tomba anonima di un cimitero brasiliano.

Mengele, in modo molto meno rocambolesco di quanto il mistero intorno alla sua morte avrebbe voluto ricamare, annegò nel 1979 a pochi metri dalla riva mentre nuotava nell’Atlantico. Aveva 67 anni. Come scrivono gli autori, “I suoi resti, scoperti sei anni dopo la morte, subirono un processo meno clamoroso” di quello di Eichmann, in “un tribunale scientifico” e non penale. Entrambi i casi fecero a loro modo da “apripista, di un concetto e una prassi fondamentali nell’ambito politico ed epistemologico delle inchieste sui crimini di guerra”. Mentre il processo a Eichmann faceva leva sui sopravvissuti che avevano assistito alle sue malefatte – un passo avanti rispetto al processo di Norimberga che, onde evitare il rischio di accuse di tendenziosità e memoria fallace dei testimoni oculari, basò l’istruttoria in larga parte sulla montagna di documenti disponibili – “l’inchiesta su Mengele aprì un terzo filone… la nascita… di un approccio forense nella comprensione del meccanismo dei crimini di guerra e contro l’umanità”, con la convocazione degli scienziati “come periti di parte nei processi sulla tutela dei diritti umani… chiamati a fare da interpreti e a dar voce a vari oggetti: spesso ossa e resti umani”. Nel caso di Mengele, a differenza di molti altri, non era essenziale stabilire come fosse morto quanto se davvero quelle spoglie fossero appartenute al mostro che aveva effettuato con freddezza glaciale raccapriccianti esperimenti soprattutto su bambini rom ad Auschwitz.

L’antropologo forense Clyde Snow, chiamato a esprimersi al riguardo, definì osteobiografia il suo sistema di identificazione dei resti umani, spiegando che “lo scheletro contiene una ‘succinta ma utilissima ed esaustiva biografia dell’individuo… se si sa come leggerla’”. Di fatto, per arrivare all’identificazione di Mengele si celebrò un “processo alle ossa… non in un’aula di tribunale, ma in un’aula scientifica, ovvero in un laboratorio”. Secondo Snow, fu proprio quell’indagine a porre le basi delle moderne inchieste su crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Peraltro, quando venne convocato in Brasile, Snow era già in Argentina come consulente nelle prime inchieste sulla sorte dei desaparecidos e lì di materiale di studio ce n’era parecchio, all’indomani del rovescio della giunta militare nella guerra delle Falklands.

E non sarebbe passato molto tempo prima che la televisione desse ulteriore respiro alle scienze forensi con serie fortunate come CSI e romanzi di grande successo, per esempio quelli di Kathy Reichs e Patricia Cornwell. Come sottolineano gli autori de Il teschio di Mengele, “Il successo o il fallimento della ricerca di una persona scomparsa ne determina lo statuto legale, e pertanto la sua capacità di agire in senso legale, sia aiutando a condannare l’imputato nel caso del successo, sia nel mantenere aperto il procedimento nel caso del fallimento”.

Prima, dunque, che le moderne tecniche di indagine forense rivoluzionassero certe procedure di polizia, la letteratura e il cinema avevano dato libero sfogo alla voglia di avventura ammantata di storia. La narrazione sulla pagina e sul grande schermo non ha del tutto cessato di farlo nemmeno oggi, ma, di certo, quell’alone di mistero intorno al male assoluto del nazismo e dei suoi migliori (o peggiori) interpreti oggi è meno allettante. L’Angelo del Male che muore annegato mentre si fa una nuotata in mare da anonimo cittadino non è materiale hollywoodiano. Ma, fino a poco tempo prima della scoperta della sua tomba, seppur sotto il nome falso di un certo Wolfgang Gerhard, proprio Mengele era stato protagonista quasi immancabile di ogni racconto fosco sulla vita ad Auschwitz e pure sulla sua avventurosa fuga in Sudamerica. I ragazzi venuti dal Brasile del 1978 (dal romanzo di Ira Levin) con un credibilissimo Gregory Peck nel ruolo di un cattivissimo Mengele oppure Il maratoneta del 1976 (dal romanzo di William Goldman) in cui la parte di un ex-medico dei lager – che di Mengele sfoggia l’archetipica, quasi letteraria malvagità – viene recitata da un altrettanto bravo Laurence Olivier. La cosa singolare è che proprio Olivier è una sorta di nemesi del Mengele di Gregory Peck ne I ragazzi venuti dal Brasile, interpretando un certo Ezra Lieberman, una sorta di omologo cinematografico del cacciatore di criminali nazisti per eccellenza, Simon Wiesenthal.

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