L’Italia non è un paese per minori: la scuola nemmeno
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L’Italia non è un paese per minori: la scuola nemmeno

I dati dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza e quelli del report di Save The Children ci mostrano l'inesorabile aumento della dispersione scolastica figlia dei fallimenti della nostra politica e del nostro sistema scolastico.

L’Italia non è un paese per minori: la scuola nemmeno
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29 Novembre 2022 - 23.14 Culture


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di Marialaura Baldino

Secondo l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Carla Garlatti, non c’è più tempo da perdere. Le preoccupanti questioni riguardanti il mondo della scuola sono tante e vanno affrontate con la massima urgenza. È forse per questo che, appena salita al Colle, la premier Meloni ha ricevuto un comunicato con le cinque problematiche da affrontare con la massima fretta, tutte pensate per favorire una maggiore tutela dei giovani e giovanissimi.

Ciò che la Garlatti evidenzia è la necessaria messa a punto di strategie volte al contrasto alla povertà minorile e la lotta alla dispersione scolastica, poste in relazione alla crisi energetica, alla tutela della salute mentale dei minori, ai loro diritti nell’ambiente digitale e alla loro partecipazione ai processi decisionali che li riguarda.

Per ognuno di questi problemi evidenziati, l’Autorità ha elencato al governo una serie di proposte affinché le iniziative a contrasto delle questioni possano avere un risultato effettivo, valutando anche possibili ricadute dovute alla messa in pratica di queste risoluzioni.

Procedendo per gradi, dando uno sguardo ai dati pubblicati dalla valutazione del Garante, dal rapporto di “Save the Children” – pubblicato lo scorso settembre – o anche ai numeri resi pubblici da Eurostat, la situazione risulta chiara: l’Italia e il nostro sistema scolastico hanno un grande e grave problema di povertà infantile, di dispersione e di abbandono scolastico.

La mancata, incompleta o irregolare fruizione di servizi dell’istruzione nei confronti dei giovani in età scolare, successiva al periodo di chiusura dovuta al Covid, è nettamente aumentata, che dipende, tra le tante, dall’aumento della presenza di casi di povertà minorile.

Secondo i dati Istat di giugno 2022, un milione e 384 minorenni vive in uno stato di povertà assoluta; un numero notevole se si pensa che i minori su suolo italiano sono 9,8 milioni. Se si volesse produrre, come è uso fare, un confronto tra regioni nord-sud, è evidente come al Settentrione una famiglia ogni sei versa in condizioni di povertà relativa mentre, in Campania, il dato si posiziona ad una famiglia ogni cinque.

Le condizioni di emergenza sociale ed economica in cui molti nuclei familiari italiani versano è solo una delle principali cause che favorisce la dispersione e l’abbandono dell’istruzione.

Nell’introduzione del report dell’Autorità garante si legge: “Al di là della sua rappresentazione numerica, la dispersione scolastica è un fenomeno complesso, che coinvolge diverse dimensioni della vita sociale delle persone di minore età e delle comunità in cui vivono: dai servizi per la prima infanzia alla formazione professionale, dalle politiche sociali a quelle abitative e del lavoro”.

Secondo questa valutazione, le cause scatenanti sono da ricercarsi, oltre che nei casi di povertà relativa e assoluta, tra disoccupazione, situazioni di esclusione sociale, disagi personali e familiari, difficoltà e disturbi dell’apprendimento, disturbi d’ansia e il modo e le forme in cui ogni singolo studente reagisce al sistema scolastico.

Rifacendoci al rapporto di Save the Children, titolato «Alla ricerca del tempo perduto», ecco i numeri più rilevanti: Il 9,7% degli studenti, con diploma superiore, nel 2022 versa in condizioni di dispersione “implicita” – che significa senza le competenze minime necessarie (in base agli standard INVALSI) per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università. Il 12,7% dei minori, invece, non arriva neanche al diploma delle superiori, perché interrompe precocemente gli studi.

Come riportato da La Repubblica e da altre testate, lo scorso anno l’EUROSTAT ha registrato il 12.7% di giovani italiani che tra 18 e 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media, risultando, in conseguenze assai preoccupanti. A livello europeo la quota italiana dei ELET – early leavers from education and training – è salita anch’essa al 12 e più di percentuale. Un numero alto rispetto alla media EU che è ferma al 9.7%.

Insomma, il confronto necessario con gli altri paesi dell’Unione è pesante, dato che i valori italiani sulla dispersione e l’abbandono restano tra i più alti, seguiti solo da Romania e Spagna. 

E, come spesso accade, i numeri più alti arrivano proprio dal Sud, dove in quasi tutte le regioni superano la media nazionale. In Sicilia si tocca il 21,1%; in Puglia siamo al 17,6%; 16,4% la Campania e 14% per la Calabria.

Cosa annunciano questi numeri? Che almeno 1 bambino su 4 non va a scuola. Senza dimenticare di citare anche la disparità di genere che risulta nei dati dell’abbandono scolastico, dove i minori di sesso maschile non scolarizzati sono maggiori rispetto a quelli femminili.

Ed è sulla base di questi dati che gli obbiettivi preposti dall’Agenda 2030 e dai Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza risultano alquanto inconcludenti.

Eppure, le linee guida del vecchio governo erano chiare, almeno lo sembravano. La Missione 5 “Inclusione e coesione”, siglata dall’ex gruppo di governo, prevedeva risoluzioni per il sostegno alla parità di genere e il contrasto alle discriminazioni, l’incremento dell’occupazione giovanile, il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree interne.

Anche i soldi sembravano non mancare, dato che grazie al finanziamento europeo, nella lunga lista dei piani, compariva anche quello stabilito dal Ministero dell’Istruzione che, il 14 luglio scorso, ha reso pubblici gli “Orientamenti per l’attuazione degli interventi nelle scuole”, destinando 1.5 miliardi di euro contro la dispersione scolastica e la povertà educativa. Una soluzione siglata a giugno 2022, con successivo stanziamento dalla prima tranche che, nel totale, ammontava a 500 milioni (48.84% per il Centro-Nord e 51,16% per il Sud).

E come se ciò non bastasse, i maggiori rischi che si corrono sono quelli dell’aumento della povertà finora citata (un circolo vizioso, insomma), insieme all’incremento dell’esclusione sociale e dell’abbassamento del livello della salute mentale dei minori.

Sì, perché, a pagare le conseguenze portate dalla situazione di emergenza da Covid, sono state, insieme ad altre fasce di popolazione e categorie lavorative, anche i giovani in età scolare. Conseguenze e problemi che, sempre secondo l’A.G.I.A Carla Garlatti, correrebbero il rischio di “diventare cronici e diffondersi su larga scala”.

Una tesi, questa, portata avanti in base ai primi risultati di una ricerca scientifica triennale – in corso -, sul neuro-sviluppo e salute mentale dei minorenni, svolta in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.

Nella nota inviata, la Premier e il governo vengono sollecitati all’attenzione di una strategia a tre livelli, che potrebbe aiutare nell’individuazione e possibile risoluzione del problema. Al primo livello si trova un’indicazione riguardo la formazione minima delle équipe e dei livelli di personale, necessari per garantire in ogni servizio che si occupa di infanzia e adolescenza. Il secondo definisce percorsi integrati di cura e assistenza, per offrire con tempestività un servizio universalistico. L’ultimo livello prevede, invece, la supervisione professionale dei team che operano in campo sanitario e sociosanitario.

Alla vigilia della chiusura dei primi quadrimestri risultano, quindi, necessarie non solo un’attenta analisi della situazione in cui gli studenti italiani versano, ma soprattutto una profonda riflessione sui fenomeni in questione. Il peso della crisi economica ed energetica non può e non deve pesare su bambini e adolescenti.

Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti; l’inadeguatezza delle nostre infrastrutture non può gravare sulle spalle dei minori. Le possibilità di crescita e miglioramento ci sono, resta solo da rimboccarsi le maniche. Altrimenti, che futuro ci attende?

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