'Letteratura d'evasione': fuggire con la mente, viaggiare con la creatività
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'Letteratura d'evasione': fuggire con la mente, viaggiare con la creatività

Letteratura d’evasione – Scritti dei detenuti del carcere di Frosinone (Il Saggiatore, pagg 279, euro 19) è la materializzazione di un sogno, il frutto di un progetto ardito: un corso di scrittura all’interno di un istituto di pena

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Letteratura d'evasione
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1 Marzo 2022 - 14.46


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di Rock Reynolds

Si può rinchiudere un uomo tra quattro muri, si possono tarpare le ali a un uccellino, ma nessuno potrà mai impedire alla mente di funzionare, di librarsi nell’infinito.

Letteratura d’evasione – Scritti dei detenuti del carcere di Frosinone (Il Saggiatore, pagg 279, euro 19) è la materializzazione di un sogno, il frutto di un progetto ardito, “Fiorire nel pensiero”, ideato da Federica Graziani, attivista di lungo corso per i diritti civili: un corso di scrittura all’interno di un istituto di pena per scardinare i “vecchi… pregiudizi: chi ha sbagliato una volta sbaglierà sempre… i detenuti son poi feccia e come feccia vanno trattati, buttiamo via le chiavi, che marciscano in galera”. Fortunatamente, la nostra Costituzione parla chiaro e anche a chi è detenuto ed è limitato nella propria libertà di movimento sono riconosciuti tutti gli altri diritti, compreso il diritto “alla bellezza”.

Sono parole illuminanti quelle che affiorano dalla prefazione di Federica Graziani, anima del progetto, e da quella del cantautore Ivan Talarico, che ha condotto il laboratorio di scrittura creativa. Il libro è impreziosito anche da testi introduttivi di Luigi Manconi e Alessandro Bergonzoni, a loro volta molto sensibili alla tematica dei diritti dei carcerati e delle esigenze degli ultimi.

Se organizzare questa nobile iniziativa non è stato facile, con una serie di limitazioni imposte dall’amministrazione carceraria che Talarico e Graziani hanno superato con grande abnegazione e pazienza, merita un grande plauso la pubblicazione del frutto del lavoro dei partecipanti da parte dell’editore, Il Saggiatore. E, quando i detenuti-scrittori sono stati informati della grande notizia, è parso un miracolo. Uno di loro ha fatto questa buffa e commovente confessione a Federica: “Finalmente, darò a mia madre avrà qualcosa di cui andare fiera e io avrò una novità da comunicarle che non sia l’ennesimo provvedimento giudiziario a mio carico”.

Talarico e Graziani hanno impostato il corso di scrittura sull’attenzione di gruppo, sulla lettura e su una serie di temi (l’autobiografia e la biografia, il racconto breve, la poesia, i giochi letterari, i metodi creativi, i generi letterari, e altri ancora) da sviluppare per iscritto, privilegiando il racconto dell’esperienza personale, con un focus particolare su una sorta di autoanalisi ansiolitica. Naturalmente di ostacoli non ne sono mancati, ma non sono stati deterrenti sufficienti a spegnere la passione dei promotori e l’entusiasmo dei partecipanti.

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Ed entusiasmo e riflessione sono le due componenti primarie che animano questi scritti. Affiorano, naturalmente, ingenuità comprensibili, oltre che strafalcioni linguistici (evidenziati anche dalle copie fotografiche di alcuni degli elaborati). Il processo di selezione, come dice Talarico, ha privilegiato una conoscenza di base della lingua italiana, “non per forzare l’inclusività, ma perché mi interessava cercare una scrittura potenziale”. E tutto ciò non toglie nulla alle capacità narrative degli autori. Già, autori. Mi piace chiamarli così perché la scrittura è come l’aria: appartiene a tutti. Non è grande letteratura questo incipit? “La mia vita è incominciata con un abbandono. Lì conobbi la vera sofferenza, iniziai a girare per case-famiglia, ma non mi sentivo a mio agio, quindi scappavo… conobbi la fame e il freddo. Ero piccolo, mi sentivo solo e abbandonato da tutto e tutti.” O ancora: “…conobbi l’amore della mia vita… Per la prima volta… avevo una famiglia… Io stupidamente preferivo la droga”. Se questa non è onestà creativa…

C’è tanta disperazione. “Mi sento come un morto vivo. Adesso mi manca il profumo di libertà… La galera ti consuma mentalmente… Il carcere è una scuola senza maestri… si avvicina la vecchiaia. Rimani la vecchiaia”.

Non mancano, però, spunti ironici, se non tratti di plateale ma non meno gustoso sarcasmo. “Il periodo che caratterizza il mio attuale soggiorno è l’unico in assoluto che non ho dovuto programmare e men che meno prenotare… mi è stato procurato d’ufficio… Si è subito presentato con una pregevole cortesia, oltre a un’impeccabile assistenza di trasferimento: austero, blindato e corredato di limousine, rigorosamente ‘blue notte’.” O, ancora: “Affittasi monolocale accogliente, dicevano. Accogliente un corno!”. Ma riuscire a ironizzare sulle miserie della vita al fresco non è stato un traguardo a portata di mano. Insomma, i partecipanti al corso ci hanno dovuto lavorare, stimolati dalle indicazioni di Talarico e Graziani.

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Per spiegare meglio le difficoltà della quotidianità a cui il progetto è andato incontro, la stessa Federica Graziani ci ha detto quanto segue.

“A uno degli ultimi incontri del laboratorio, un partecipante porta in regalo a me e a Ivan un origami a forma di cigno. Un minuscolo gesto di gratitudine per le ore trascorse insieme, costruito a partire da quel che la persona reclusa si ritrovava ad avere in cella: della carta e qualche penna colorata. Usciti dalla sala teatrale in cui il laboratorio di scrittura si svolgeva, io, Ivan e i due cigni di carta, veniamo fermati da un poliziotto penitenziario. ‘Cos’avete lì?’ Mostriamo i due cigni. ‘Ma questo è materiale non autorizzato, bisogna chiamare l’ispettore in servizio oggi.’ Aspettiamo allora che arrivi l’ispettore a controllare il cigno di carta. L’ispettore arriva, si gira e rigira fra le mani l’origami, si sincera che sulla carta non siano presenti messaggi, controlla minuziosamente che la costruzione non nasconda magari qualcosa, niente. Il cigno di carta non è che un cigno di carta. Ma la cosa non pare bastare a farci uscire dal carcere con i nostri regali. Bisogna convocare anche il detenuto. E chiama il detenuto, e aspetta che scenda di sezione, e assisti all’interrogatorio che sempre di più si concentra sulle ragioni nascoste che lo hanno condotto a un’azione tanto inaudita quale quella di regalarci un animale di carta piegata. Dopo quasi un’ora di controlli e colloqui, il verdetto è il seguente: il detenuto non potrà partecipare ad altri incontri, a meno di richiederne autorizzazione al magistrato di sorveglianza, noi siamo invitati a non cedere a regalie che siano in sospetto di corruzione e i cigni vengono sequestrati e gettati via come ordigni pericolosi. Ora. Il carcere è esattamente quel luogo in cui una costruzione di carta e colore può diventare un ordigno pericoloso, foriero di sanzioni e indagini. E questa anomalia di significati imprevedibili che si incollano a parole e gesti ordinari è una delle afflizioni che si aggiungono ai rigori della vita detentiva, e che coinvolgono e isolano tutti coloro che abitano le carceri, non solo chi vi è recluso.”

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Valerio Calzolaio ha da poco dato alle stampe l’interessante volume Isole Carcere (Edizioni GruppoAbele) e ha una visione chiara di quanto sia importante garantire ai detenuti gli stessi diritti dei cittadini liberi, anche e soprattutto per quanto attiene alla cultura e alla creatività. “Quando una persona che abbia infranto la legge viene privata della libertà, le andrebbe riconosciuto il diritto alla lettura e alla scrittura, una forma d’evasione che consente al detenuto di prendere maggior coscienza dei propri pensieri e di entrare in una sorta di processo di autoanalisi. Nel caso del nostro paese, tale diritto è in qualche modo sancito dalla Costituzione. Antonio Gramsci, nei lunghi anni del carcere, ha scritto tanto, nonostante le limitazioni e la censura a cui era soggetto. Nel mio libro, parlando del binomio isole-carceri, affronto il tema del doppio isolamento di chi è detenuto in un carcere su un isola.”

Massimo Carlotto, uno degli autori italiani più letti, ha alle spalle una dolorosa esperienza carceraria. “Lettura e scrittura in carcere aiutano a evadere dall’orrore dell’istituzione totale e a riconquistare dignità e umanità.”

Perché un modo per sgattaiolare fuori da quelle dannate sbarre, senza compiere l’ennesimo reato, forse c’è. “In cella quando mi sento solo o arrabbiato prendo la penna e mi sfogo.”

El Mehdi Belaabdouni, Raffaele Borrelli, Abdel Hadi Bousmara, Andrea Ciufo, Alfredo Colao, Pjetri Gjergj, Ermal Gripshi, Andrea Lombardi, Emanuel Mingarelli, Stefano Palma, Christian Pau, Omar Saidani, Mohamed Shoair e Antonio Vampo ci sono riusciti.

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