Un inferno e un corpo massacrato: così vidi Pasolini all'idroscalo
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Un inferno e un corpo massacrato: così vidi Pasolini all'idroscalo

Fui svegliato alle 7 dalla mia compagna che piangeva: la radio ha detto che è stato assassinato.

Pierpaolo Pasolini
Pierpaolo Pasolini
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David Grieco Modifica articolo

2 Novembre 2016 - 16.49


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Come sempre, mi sono addormentato verso le quattro. Non riesco mai ad andare a letto prima. Ho appena compiuto ventiquattro anni ma continuo a vivere come un adolescente.
Ho scelto il mestiere ideale per prolungare l’adolescenza. Faccio il giornalista.
Sto sognando, evidentemente. Del resto, sono pur sempre le 7 del mattino del 2 novembre 1975 e a quest’ora io, senza ombra di dubbio, non posso che trovarmi nel mio letto, sprofondato nel sonno.
Eppure sento qualcuno, sopra di me, che singhiozza e mi scuote le spalle. A differenza di me, Bruna si sveglia sempre all’alba, anche nei giorni di festa. Lei e io viviamo secondo fusi orari completamente diversi.
«Che vuoi, Bruna? Che ora è? E perché piangi?»
Lei continua a piangere. «Non so come dirtelo…» farfuglia.
«Non sai come dirmi cosa? A quest’ora poi… cazzo sono
le sette! Si può sapere che succede?!»
«Hanno ammazzato Pasolini» riesce finalmente a mormorare prima di scoppiare di nuovo a piangere.
«Cosa dici? Ti sei appena svegliata? Che cos’è, un incubo?»
«No, l’ho sentito alla radio, mentre facevo la doccia. Dicono che l’hanno trovato morto in uno sterrato a Ostia, all’Idroscalo» mi fa lei.
Mentre Bruna balbetta notizie approssimative, io mi sono già infilato i pantaloni e sto cercando le scarpe.
«Ma dove vai? Aspetta!… Fra poco c’è un altro giornale radio…» mi dice rincorrendomi sul pianerottolo. Sono già fuori. Ho preso il motorino, che al momento è il nostro unico mezzo di locomozione, e lo sto spingendo verso una discesa perché da fermo non parte più da un pezzo.
Una volta in sella, attraverso Roma ancora deserta e comincio a piangere anch’io mentre il vento mi asciuga scrupolosamente le lacrime.
Ripenso all’ultima volta che ho visto Pasolini, un paio di settimane fa, in via della Croce. Ci siamo incontrati per caso, abbiamo preso un caffè da D’Angelo e Paolo mi ha chiesto se mi andava di accompagnarlo a vedere una macchina nuova perché voleva cambiare l’Alfa Gt. Mi sarebbe piaciuto andarci, ma non potevo. Dovevo tornare al giornale. Mentre attraverso il piazzale del Verano, davanti al cimitero noto montagne di fiori. È il giorno dei Morti. Mi accorgo solo ora che Pasolini è morto il giorno dei Morti. Circostanza surreale. Sono anni che tutti i governi cercano
di togliere questa ricorrenza dall’elenco dei giorni festivi. Forse vorrebbero abolire il concetto stesso di morte. Sarà che non vogliamo più festeggiare i morti perché viviamo sempre meglio e sempre più a lungo?
Mi accorgo che questo pensiero potrebbe vagamente somigliare a una tipica osservazione pasoliniana. Mi sono sforzato spesso di ipotizzare cosa avrebbe pensato Paolo davanti a qualunque argomento. Ormai non mi sforzo più. Mi viene naturale. Deve essere successo quel giorno che Pasolini mi prese da parte per rimproverarmi quando leggevo ad alta voce e sguaiatamente deridevo, davanti ad amici comuni, una recensione cinematografica di Alberto Moravia apparsa su «L’Espresso».
Il film che Moravia recensiva era il più famoso film porno di tutti i tempi, Gola profonda, e lo scrittore ne tesseva le lodi paragonando l’interminabile fellatio praticata da Linda Lovelace all’ossessiva spirale musicale del Boléro di Ravel. Insomma, Moravia era riuscito nell’impresa
di trattare Gola profonda alla stregua di un capolavoro. dell’arte cinematografica. Di fronte a tanta audacia, io dissentivo usando tutto il sarcasmo di cui ero capace.
«Sei un idiota, caro David» mi disse Pasolini sottovoce. «Ti senti un critico già affermato e ti permetti di prendere in giro Moravia, senza renderti conto di quanto puoi essere ottuso e conformista, come del resto buona parte dei tuoi colleghi. Voi scrivete sempre, tutti in coro, le stesse cose. Moravia invece pensa sempre con la sua testa e parla sempre con la sua voce. Il giorno in cui riuscirai a farlo anche tu ne riparleremo e forse ti ascolterò con un briciolo di rispetto.»
Mezz’ora dopo arrivo in via Eufrate 9, all’Eur, sotto casa di Pasolini. Mi attacco al citofono, ma la risposta tarda ad arrivare. Improvvisamente, alle mie spalle, odo una voce flautata: «E tu che ci fai qui a quest’ora?…».
Mi volto e vedo Fellini. Federico Fellini. Affacciato al finestrino di un taxi, Fellini mi fissa sorpreso e sorridente. Incontrare Fellini proprio in questo momento è sicuramente la cosa più surreale che mi possa capitare. Lo conosco da anni, credo sia stato proprio Pasolini a farmelo conoscere. Io guardo Fellini e non riesco a sorridergli. Gli rispondo come un automa: «Hanno ammazzato Pier Paolo, Federico…».
Il suo faccione sornione collassa in una maschera di panico: «Ma cosa dici?! Oddio santo! Io… io sto andando all’aeroporto, non posso fermarmi!».
Ora sono io che gli sorrido, e gli faccio cenno di ripartire. Mi hanno appena aperto il cancello.
In casa di Pasolini c’è Graziella Chiarcossi, la cugina di Paolo. La madre, Susanna Colussi, è chiusa nella sua stanza, trincerata dietro un mutismo che l’accompagnerà per il resto della sua esistenza. Graziella è sconvolta e smarrita. Mi parla di una telefonata ricevuta nel cuore della notte. Una telefonata di poliziotti o carabinieri che dicevano di aver ritrovato al Tiburtino l’Alfa Gt di Paolo, e sostenevano che probabilmente era stata rubata. Graziella aggiunge che durante la telefonata non c’è stato nessun accenno, da parte loro, alla morte di Pasolini.
Io telefono a Faustino Durante. Il padre della mia compagna non è al corrente della morte di Pasolini. Gli dico quel poco che so e gli propongo di recarci al più presto sul luogo del delitto, all’Idroscalo. Lui accetta. Fissiamo un appuntamento al bivio dell’ippodromo di Tor di Valle sull’Ostiense. Lui mi chiede se è il caso di portare con sé un giovane avvocato, Guido Calvi, con il quale sta lavorando in quel momento. Gli rispondo che non vedo il problema.
Al luogo fissato per l’appuntamento, io non vedo Faustino Durante e lui non vede me. Più tardi, arriviamo all’Idroscalo separatamente. Lui mi ha preceduto. Mentre mi avvicino, mi guida la voce di Faustino che sbraita contro i carabinieri. Il luogo dove hanno trovato il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini è un campetto di calcio allestito alla buona, con quattro assi in bilico che rappresentano le porte, accanto a delle casupole abusive. L’area del delitto non è stata né circoscritta né transennata, sul posto bivacca una folla insensata, il terreno è calpestato da tutti, si notano persino dei ragazzini che si sono messi a giocare a pallone nell’altra metà del campo.
Pasolini giace, coperto da un lenzuolo, in mezzo a quel delirio. Proprio come in un film di Fellini.
Mentre i carabinieri provvedono a isolare la larga porzione di terreno indicata da Faustino Durante, il medico legale si china a raccogliere bastoni e frammenti di legno. A un certo punto, mi viene vicino e mi dice a bruciapelo: «È stata una mattanza». Poi raggiunge il cadavere di Pasolini, solleva il lenzuolo, e si china a esaminare il corpo. Mi fa segno di avvicinarmi. Me ne guardo bene. Sto in piedi per miracolo e non ho nessuna intenzione di guardare da vicino come l’hanno conciato.
Accovacciato accanto a Paolo, Faustino mi parla senza guardarmi: «L’hanno ammazzato con la macchina. Gli sono passati sopra. Più di una volta. Si vedono i segni dei copertoni sovrapposti. Le altre ferite sono tante, ma non sono mortali. Sì, è stata sicuramente la macchina. Se la macchina non gli fosse passata sopra non sarebbe morto. Questo posso dirtelo fin da ora senza timore di sbagliare».

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