Tutte le macchinazioni che Pasolini aveva previsto
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Tutte le macchinazioni che Pasolini aveva previsto

David Grieco intervista Paolo Bolognesi. Nel frattempo è stata presentata ufficialmente richiesta per la riapertura del processo presso la Procura di Roma.

Omaggio a Pasolini, di Valentino Bonacquisti
Omaggio a Pasolini, di Valentino Bonacquisti
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31 Ottobre 2016 - 19.45


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di David Grieco

Nel quarantunesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini (1922-1975) si parla ancora di lui. Anzi no. A voler essere precisi, se ne parla sempre di più. Il nome di Pasolini figura in copertina di un voluminoso dossier dell’Espresso dedicato a Mafia Capitale apparso in edicola il 23 ottobre scorso. Il settimanale ha fornito numerosi elementi per inquadrare il potere ricattatorio di Massimo Carminati, monarca indiscusso della famigerata “suburra” romana attualmente sotto processo.

Massimo Carminati è un personaggio che, se non esistesse veramente, sembrerebbe letteralmente inventato da Pier Paolo Pasolini. Fascista e terrorista, legato ai servizi segreti e alla Banda della Magliana, implicato in innumerevoli vicende criminali, processato insieme ad Andreotti per il Delitto Pecorelli, condannato insieme a Licio Gelli, il “Cecato” è stato in galera sempre e soltanto di passaggio, ha goduto di ben tre indulti, e sembra protetto, ieri come oggi, da una rete di complicità di dimensioni impressionanti. Non a caso l’indomani, lunedì 24 ottobre, dall’aula del tribunale dove si celebra il processo per Mafia Capitale, Massimo Carminati ha preso la parola e ha cominciato a lanciare anatemi e minacce a destra e a manca.

Una mostruosa prova di forza o un segno di malcelata debolezza? Ne parliamo con Paolo Bolognesi, deputato indipendente del PD spesso in prima fila quando ci si prodiga per fare luce sulla purtroppo torbida Storia del nostro paese, dal Delitto Mattei a Piazza Fontana, dalla strage di Bologna (Bolognesi presiede l’associazione “2 agosto 1980” in nome dei familiari delle vittime) al Delitto Pasolini (Bolognesi è primo firmatario con Serena Pellegrini della legge per istituire la Commissione monocamerale Pasolini che dovrà nuovamente indagare sull’omicidio dello scrittore), fino al caso Moro e alla relativa Commissione.

“Secondo me -risponde Bolognesi- ci sono vari aspetti da valutare. Innanzitutto, questa reazione Carminati l’ha avuta soltanto adesso. Prima no, perché evidentemente c’erano altri che lavoravano per lui. Dobbiamo tenere presente che quando un personaggio del genere si vede costretto a sparare certe minacce è assai probabile che si trovi in difficoltà”.

 

Quindi tu lo vedresti come un segno di debolezza?

“Quello di Carminati a me pare un avviso ai naviganti. Mi posso sbagliare, ma secondo me Carminati sta perdendo sicurezza”.

 

Pensi che potrebbe prima o poi vuotare il sacco?

“Carminati teme una cosa sola. E’ quella parolina magica. Mafia. Se Carminati uscisse dal processo di Mafia Capitale con la qualifica di mafioso, lo attenderebbe un regime carcerario durissimo fino alla fine dei suoi giorni, il 41bis. Questo lo terrorizza, immagino”.

 

Ma se finisse al 41bis non parlerebbe comunque, perché non avrebbe più niente da guadagnare.

“E chi ti dice che non stia vuotando il sacco qualcun altro?”

 

Chi, per esempio?

“Qualcuno dei suoi tanti complici, per esempio”.

 

Per quale motivo?

“Per vendicarsi di un tradimento, per via della spartizione di un bottino non proprio equa. I motivi possono essere tanti”.

 

Già che parliamo di bottino. La rapina del 17 luglio del 1999, quando Carminati entrò indisturbato con i suoi complici nel Palazzo di Giustizia di Roma e ripulì tutti i caveau della Banca di Roma che si trovava all’interno ha dell’incredibile. Soprattutto per la rete di complicità che l’ha resa possibile. Nemmeno lo sceneggiatore di un film hollywoodiano si sarebbe spinto tanto in là con la fantasia.

“Calcola che Carminati e i suoi complici sono entrati a Palazzo di Giustizia, in Piazzale Clodio, mentre c’era ancora un sacco di gente. Sono arrivati a bordo di un finto furgone dei carabinieri, cioè un normale furgone contraffatto, ed erano scortati da quattro carabinieri veri, e corrotti. Già questo ha dell’impensabile”.

 

Carminati cercava solo documenti. Ai suoi complici avrebbe lasciato soldi, oro, gioielli, e persino due chili di cocaina. Dovevano essere molto importanti questi documenti per valere di più del resto della refurtiva.

“Mi sono interessato molto al caso. Nel 2008, insieme a Elena Invernizzi e Stefano Paolocci, ho scritto un romanzo, intitolato “Passato Imperfetto”. A suo tempo è andato a ruba. Ciò che al ladro interessava, nel nostro romanzo, era materiale compromettente che riguardava un magistrato in odore di pedofilia. Per poterlo poi ricattare e grazie al ricatto pilotare qualche processo”.

 

Era questo il vero movente del furto, secondo te?

“Non direi secondo me. Direi che l’idea del ricatto è di dominio pubblico. Del resto, quando Carminati viene intercettato mentre si lamenta dell’arrivo dell’incorruttibile Pignatone alla Procura di Roma lascia chiaramente ad intendere che le cose prima andassero diversamente. Ora io non posso dire se ci sono stati ricatti e processi pilotati. Io mi limito a chiedermi quello che si chiede la gente. Come faceva Carminati ad essere ancora in circolazione dopo 40 anni di reati non gravi, bensì gravissimi?”

 

Tu ti sei occupato di quasi tutte le vicende legate alla cosiddetta “strategia della tensione”. Sei ormai convinto che tutte queste vicende (Piazza Fontana, Italicus, strage di Brescia, strage di Bologna, Delitto Pasolini, Delitto Moro) siano legate da un filo nemmeno troppo sottile?

“Ne sono sempre più convinto. Nel dopoguerra, pur di non mandare il PCI al governo, qualsiasi iniziativa era considerata lecita. Il convegno dell’Istituto Pollio che si tenne ai primi di maggio del 1965 presso l’Hotel Parco dei Principi a Roma parla chiaro. In quell’occasione, viene stabilito che per combattere lo spauracchio comunista ogni strumento è valido, anche l’utilizzo di manovalanza criminale. A quel convegno erano presenti tanti dei foschi protagonisti dei decenni successivi, come Stefano Delle Chiaie. E dopo fioccano le stragi. In Commissione Moro abbiamo ascoltato due giudici militari di Padova che ci hanno consegnato un rapporto in cui si legge che gli uomini di Gladio erano stati precisamente addestrati a fare attentati e a mettere bombe sui treni. Ma oltre agli attentati ci sono stati tanti altri delitti non meno importanti, come il Delitto Pasolini”.

 

Vale la pena ricordare che, come si è preso la briga di ricordare lo scrittore Carlo Lucarelli, la “strategia della tensione” ha fatto ben 3500 morti. Quali sono a tuo avviso le particolari caratteristiche del Delitto Pasolini?

“Intanto, Pasolini aveva scoperto tante cose. In anticipo su tutti, si era reso conto che stava nascendo la P2. Stava procurando non pochi grattacapi agli stragisti. Se noi analizziamo quell’articolo scritto per il Corriere della Sera nel novembre del 1974 che si intitolava “Cos’è questo golpe?” ma che ormai tutti conosciamo come Romanzo delle Stragi, ci troviamo di fronte ad una procedura investigativa impeccabile. Pasolini lavorava a tutto tondo, aveva accumulato una quantità impressionante di prove e non aveva paura di niente, nemmeno di aggirarsi negli ambienti neofascisti. Ucciderlo era probabilmente diventata una necessità impellente per gli stragisti. E il fatto che fosse omosessuale indicava facilmente quale fosse la strada da seguire per metterlo a tacere per sempre”.

 

Riuscirà a vedere la luce, secondo te, la Commissione Pasolini?

“Io sono ottimista. Ne parlo spesso con i miei colleghi e riscontro appoggi da varie forze politiche. Bisogna spazzare il campo dagli elementi puramente ideologici. Dobbiamo assolutamente aprire gli armadi della vergogna, abbiamo il dovere di restituire ai nostri figli la storia del nostro paese. Se non riuscissimo a farlo, sarebbe imperdonabile”.

 

Giorni fa, Nino Marazzita (che fu insieme a Guido Calvi l’avvocato di parte civile nel primo processo a Pino Pelosi) ha reso una dichiarazione sconcertante, non smentita, al quotidiano Libero. Ha detto che l’avvocato Rocco Mangia, legale di Pelosi, ricevette 50 milioni di lire dalla Democrazia Cristiana per difendere il ragazzino. Aggiunge che questa notizia gliela diede lo stesso Mangia durante il processo. Cosa ne pensi?

“Sembra una notizia sconvolgente. Ma ce lo viene a dire adesso? Quarant’anni dopo?”

 
P.S. Proprio in queste ore, l’avvocato Stefano Maccioni – che rappresenta la famiglia Pasolini in nome e per conto del cugino di Guido Mazzon, cugino di Pier Paolo – ha presentato ufficialmente richiesta per la riapertura del processo presso la Procura di Roma.

 

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