Walter Chiari, il ribelle del palcoscenico
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Walter Chiari, il ribelle del palcoscenico

Il 21 dicembre di 20 anni fa moriva Walter Chiari, in un piccolo appartamento a Milano. Giancarlo Governi, autore di un "Ritratto di Walter Chiari" per la Rai lo ricorda.

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19 Dicembre 2011 - 17.01


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di Giancarlo Governi

Walter Chiari è l’uomo dell’eccesso. Eccessivo in tutto, nella vita, in
amore
e nel lavoro. Anche in palcoscenico eccedeva sempre. Una battuta
diventava un
monologo, una barzelletta un atto unico. Per lui non eistevano orari di
lavoro
e neppure copioni. Tutto era lasciato all’improvvisazione ed all’estro
del
momento. La sua forma preferita era il monologo-dialogo con il
pubblico. Nelle
sue riviste, nel sottofinale, si piazzava sulla passerella a contatto
con la
platea, e dialogava con il pubblico, ogni sera un discorso diverso e se
il
pubblico ci stava poteva durare all’infinito.

Walter Chiari, ovvero il trionfo della parola, il fiume delle battute,
l’
oceano del racconto… Se cucissimo insieme tutti i monologhi di Walter
Chiari, e
soltanto quelli che ha lasciato nelle Teche della Rai, faremmo una
trasmissione
lunga almeno un anno o due. Però Walter Chiari non è solo questo:
Walter è
anche il teatro di rivista, l’attore di cinema… Walter è l’irregolare
della
scena, il ribelle del palcoscenico, il ritardatario cronico. E’
l’eterno
ragazzo, amato dai bambini e dalle mamme. Un eterno goliardo, sempre
con lo
stesso volto giovanile, con il ciuffo ribelle e la voce un po’ afona di
chi ha
tirato mattina bevendo e fumando, con gli amici o con le più belle
donne del
mondo.

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Quando lo vedevamo arrivare sul teleschermo con quella sua aria
dinoccolata e infantile, sapevamo tutti che ci avrebbe raccontato una
storia
lunga, condita di mille lazzi, di sottili annotazioni psicologiche che
avrebbero composto pian piano tutta una galleria di personaggi. Ma con
un
procedimento singolare, quello delle parentesi. Walter era il re della
parentisi, andando avanti nel racconto riusciva ad aprirne a decine una
dentro
l’altra e, la cosa più sorprendente riusciva a chiuderle tutte a tempo
debito.
Ecco, questo era lo stile, la cifra principale di Walter Chiari. E se
Totò fu
il principe della risata, Chiari può essere definito il principe della
parola,
per quella sua aria colta condita dall’uso di aggettivi e sostantivi
inusuali,
quasi roboanti, per quella sua capacità di costruire discorsi perfetti
dal
punto di vista sintattico che avevano il fascino sottile della
affabulazione.

Walter Chiari piaceva molto agli italiani. Piaceva forse perché ne
rifletteva
da un lato la pigrizia, e un certo modo di fare, sornione e sempre
sorridente.
Era un serio professionista, eppure certi suoi comportamenti facevano
pensare
che considerasse più importante la sua vita privata, improntata sempre
all’
eccesso. Fu sempre alla ribalta, anche per motivi non inerenti allo
spettacolo
e visse ogni giorno della sua vita come se fosse stato l’ultimo.
Un lato che sembrava destare l’ammirazione della nazione era appunto la
sua
fama di conquistatore amoroso. Un latin lover, come si diceva allora,
che
passava da una storia all’altra, da un letto all’altro, con estrema
facilità.
Tutti e due questi aspetti ebbero un notevole peso nella sua vita.
Chiari fu
protagonista una infinità di storie d’amore, la più vistosa delle quali
fu
quella con Ava Gardner, una delle dive consacrate da Hollywood la cui
bellezza
faceva sognare mezzo mondo. «In quegli anni sentivo dietro di me tutta
l’Italia
maschile – diceva Walter Chiari – solidale e complice in questo mio
rapporto
con una delle donne più ambite ed ammirate dal pubblico».

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Era come se
l’Italia
maschile si identificasse in lui, pronta a perdonargli ogni mancanza in
nome
della sua sbandierata virilità.
C’è oggi in Italia un altro Walter Chiari? Qualcuno dice che c’è
Fiorello e in
parte ha ragione. Però Fiorello ha qualcosa in più rispetto a Walter:
innanzi
tutto sa cantare mentre Chiari nessuno l’ha mai sentito cantare. Ma in
più
Fiorello ha anche “il gobbo”, una sorta di suggeritore elettronico
mentre
Walter era improvvisazione pura.

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