Benvenuta tregua, ma senza la fine dell'occupazione non ci sarà pace: i pacifisti non smobilitano
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Benvenuta tregua, ma senza la fine dell'occupazione non ci sarà pace: i pacifisti non smobilitano

È il filo conduttore che lega la presa di posizione dell’arcipelago pacifista il giorno dell’attuazione della prima fase del “piano Trump” per Gaza. 

Benvenuta tregua, ma senza la fine dell'occupazione non ci sarà pace: i pacifisti non smobilitano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Ottobre 2025 - 19.10


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Può esserne l’anticipazione, ma la tregua, pur importante, non è la pace. Perché una pace vera, giusta, tra eguali contempla la fine dell’occupazione israeliana di Gaza, della Cisgiordania, di Gerusalemme Est.

È il filo conduttore che lega la presa di posizione dell’arcipelago pacifista il giorno dell’attuazione della prima fase del “piano Trump” per Gaza. 

Rimarca Paolo Pezzati, portavoce per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia: “L’annuncio della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza, firmato da tutte le parti coinvolte, è un passo indispensabile per porre fine al genocidio perpetrato da Israele a Gaza.  Accogliamo con favore il rilascio degli ostaggi israeliani e dei palestinesi detenuti illegalmente. Questo fragile cessate è però solo l’inizio di un percorso che dovrà culminare con la fine dell’occupazione e del blocco illegali da parte di Israele, concentrandosi sul ripristino dei diritti e la ricostruzione delle vite”.

“La roadmap dovrà poi essere guidata dai palestinesi, avendo come stella polare il rispetto dei diritti fondamentali. Il futuro di Gaza non è questione di mattoni e cemento: bisogna ripristinare le basi della vita quotidiana, ricostruire le comunità distrutte e offrire percorsi di guarigione e speranza. Ciò deve andare di pari passo con l’autodeterminazione del popolo palestinese.”

“La tregua è la necessaria condizione per un accesso umanitario completo e senza restrizioni a Gaza, ma sarà necessario tutto il sostegno della comunità internazionale per rendere duratura la tregua stessa, garantire l’apertura di tutti i valichi e la libera circolazione di beni e aiuti, affidando lo sforzo umanitario all’ONU. L’uso deliberato da parte di Israele della fame come strumento di guerra, dello sfollamento forzato e della distruzione delle infrastrutture civili negli ultimi due anni, deve essere indagato come crimine ai sensi del diritto internazionale e i responsabili devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Il cessate il fuoco è un primo passo verso una fase successiva: preparare il terreno per una pace sostenibile e una vera riconciliazione”., conclude Pezzati.

Rilanciano Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd) e “Sbilanciamoci”. “Finalmente dopo due anni di bombardamenti, distruzioni e dolore senza fine, il Governo israeliano e Hamas (a seguito della pressione degli Stati Uniti e della mediazione di Qatar, Egitto, Turchia) hanno firmato il “cessate il fuoco” a Gaza. È un passo che accogliamo con sincera speranza e sollievo, perché fermare le armi è sempre, di per sé, una buona notizia. Ma proprio per questo, non possiamo permetterci ingenuamente di trasformare prima del tempo una fragile tregua in un trionfo: non siamo ancora di fronte ad una vera Pace, e non ci arriveremo finché non saranno garantiti i diritti fondamentali e la sovranità del popolo palestinese.

Il “cessate il fuoco” (con la liberazione di ostaggi e prigionieri) concretizza un accordo fondamentale sul piano umanitario, ma non risolvono nessuna delle cause che hanno scatenato tanta violenza, distruzione e morte. Ma non può essere considerato un “piano di Pace”.  Le bombe si devono fermare, ma insieme devono aprirsi i corridoi umanitari, garantire l’accesso agli aiuti medici, alimentari, idrici, farmaceutici, con la ripresa di tutti i servizi essenziali. Gaza è ormai rasa al suolo: ospedali distrutti, strade sventrate, infrastrutture azzerate, intere comunità in frantumi. La ricostruzione non può riguardare soltanto i muri e gli edifici ma deve mettere al centro soprattutto la dignità, la partecipazione, lo spazio politico, il rilancio del tessuto sociale ed economico della comunità palestinese.

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E non possiamo dimenticare chi ha deciso e fatto continuare per mesi questi conflitto sanguinoso: non può esserci pace senza giustizia, chi ha responsabilità per i crimini di guerra deve essere giudicato; non può esserci pace e sicurezza comune senza il pieno riconoscimento del diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, libero ed indipendente; non può esserci pace se Israele non si ritirerà dai territori occupati illegalmente dal 1967; non potrà esserci pace se non si risolverà la questione dei profughi palestinesi. E non ci sarà Pace se la comunità internazionale, gli stati membri delle Nazioni Unite non si impegneranno concretamente per rispettare e far rispettare il diritto internazionale senza più usare doppi standard, girarsi dall’altra parte o imporre la legge del più forte. 

Oggi ci uniamo alle manifestazioni di gioia e di speranza per questo accordo ma diciamo con forza: non basta fermare le armi, occorre costruire Pace che può derivare solo da un percorso di giustizia che coinvolga direttamente le due popolazioni ed i loro legittimi rappresentanti, e sia sotto l’egida delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

Ribadiamo quindi la necessità di un impegno collettivo, internazionale che preveda:

Una conferenza internazionale di pace per il Medio Oriente sotto egida delle Nazioni Unite per ristabilire il primato del diritto internazionale che ponga fine alla violenza, al colonialismo, alle guerre e ponga le basi per pace, diritti, libertà, sicurezza comune rispetto per tutte le comunità e religioni.

Una pace giusta e duratura tra palestinesi ed israeliani, costruita a partire dal ritiro immediato di Israele dalla Cisgiordania, il riconoscimento dello Stato palestinese con i confini precedenti al 6 giugno, con Gerusalemme Est come capitale condivisa, continuità territoriale con la Striscia di Gaza ed affrontare la questione del riconoscimento del diritto al ritorno dei rifugiati secondo formule da negoziare tra le parti.

La sospensione degli accordi commerciali, il blocco della vendita e dell’acquisto di armi e di sistemi di sicurezza con Israele, sino a quando non sarà rispettato il diritto internazionale, il ritiro dell’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

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Protagonismo, dialogo, rispetto, riconoscimento delle due ragioni tra le popolazioni palestinese ed israeliana, per ricostruire quella fiducia e quella cooperazione indispensabile per la convivenza. 

La ricostruzione ed il futuro di Gaza non possono prescindere da questa architettura politica.

Questo è quello che chiediamo alle istituzioni, questo è ciò che continueremo a fare come società civile, mobilitando le piazze, continuando a sostenere le missioni umanitarie nonviolente, insieme a quella eccezionale ondata di impegno e di solidarietà dimostrata da giovani, studenti, cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici in ogni città italiana, europea e del mondo”.

Uno spiraglio di speranza per i più indifesi

 Così di Ricardo Pires, vice portavoce dell’Unicef durante la conferenza stampa di oggi al Palazzo delle Nazioni di Ginevra: “La notizia di un cessate il fuoco imminente porta ai bambini e alle loro famiglie un barlume di speranza tanto necessario quanto atteso da tempo. Questa speranza deve essere accompagnata da un’azione immediata e urgente.

È fondamentale che tutte le parti in conflitto facciano il possibile per garantire che l’accordo venga attuato, mantenuto e porti a una pace duratura. Nelle ore che precedono l’entrata in vigore ufficiale del cessate il fuoco, i bambini devono essere protetti.

Il cessate il fuoco porterà la speranza che l’uccisione e la mutilazione dei bambini possano finalmente cessare. Oltre 64.000 bambini sono morti o sono rimasti feriti a causa degli attacchi dell’esercito israeliano. Circa il 25% di loro ha riportato ferite che potrebbero cambiare la loro vita.

L’Unicef è pronto. Gli aiuti devono arrivare. Israele deve aprire il maggior numero possibile di punti di ingresso. La situazione è critica. Rischiamo di assistere a un massiccio aumento dei decessi infantili, non solo neonatali, ma anche di bambini piccoli, dato che il loro sistema immunitario è più compromesso che mai e che ormai da anni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.

A questo si aggiunge un inverno rigido, senza ripari e vestiti adeguati, che sarà letale: l’anno scorso abbiamo visto morire alcuni neonati per ipotermia. Ma l’Unicef sapeva che questa situazione sarebbe arrivata. Ci vogliono mesi per far arrivare questi rifornimenti da tutto il mondo a Gaza. Ne abbiamo tenuto conto e abbiamo iniziato a ordinare teloni e vestiti invernali a luglio. Il nostro obiettivo è fornire due kit di vestiti invernali per ogni bambino di età inferiore ai 12 mesi e fornire un milione di coperte per tutti i bambini a Gaza.

L’elenco potrebbe continuare. Abbiamo in programma di fornire dispositivi di assistenza per le migliaia di bambini feriti, poiché da tempo ci viene impedito di procurare articoli per l’infanzia come sedie a rotelle e stampelle.

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Siamo pronti a sostenere il ripristino dei sistemi di approvvigionamento idrico, dei sistemi di drenaggio e di igiene, compresa la gestione dei rifiuti solidi, a beneficio di tutti i bambini e le famiglie della Striscia di Gaza.

E naturalmente la nutrizione come priorità assoluta. L’accordo dovrebbe essere utilizzato per contrastare la malnutrizione e l’estensione della carestia. L’Unicef ha la capacità di migliorare rapidamente lo stato nutrizionale di 50.000 bambini sotto i cinque anni che sono ad alto rischio e di 60.000 donne incinte e che allattano. Lo abbiamo fatto nei mesi scorsi, ma dobbiamo essere in grado di inondare Gaza di forniture e cure nutrienti.

Un vero cessate il fuoco deve essere più che semplici parole; deve essere duraturo e rispettato, ponendo i diritti dei bambini al centro dell’attenzione. Ciò significa aprire tutti i valichi per gli aiuti umanitari e garantire che ogni bambino, da nord a sud, riceva i beni essenziali per la sopravvivenza.

Vorrei condividere la reazione alla notizia di ieri dell’accordo per garantire il cessate il fuoco e porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza di due bambini con cui l’UniceF ha parlato a Deir al Balah, nel sud di Gaza. Le loro parole sono molto più potenti di qualsiasi cosa io possa dire qui oggi.

Maisara ha 13 anni. Ha detto: “Mi sono sentito felice nel momento in cui ho sentito la notizia del cessate il fuoco. Finalmente tornerò nella mia città nel nord, perché come tutti i bambini siamo stanchi della guerra. Vogliamo rivivere la nostra infanzia. Ciò che mi rende ancora più felice è che non soffriremo più la fame. Abbraccerò la terra della mia città perché mi è mancata tantissimo. Tornare nella mia città significa tornare a scuola e alla nostra vita normale”.

Anche Rasha ha 13 anni. Ha detto: “Mi mancano i miei cugini. Vogliamo andare a trovarli al cimitero nel campo di East Bureij. E vogliamo andare a trovare le nostre famiglie a Gaza. Da quando è stato annunciato il cessate il fuoco, siamo tutti felici”.

Questi sono solo due degli oltre un milione di bambini che hanno atteso questo giorno per più di due anni, due anni di sofferenze inimmaginabili.

Gli aiuti umanitari sono solo l’inizio. I bambini di Gaza hanno anche bisogno che le scuole riaprano, che gli spazi di gioco vengano ripristinati e che venga loro concesso il tempo necessario per guarire da traumi inimmaginabili. Questo cessate il fuoco deve creare le condizioni sia per gli aiuti di emergenza che per la ripresa a lungo termine, affinché bambini come Maisara e Rasha possano riappropriarsi della loro infanzia. Sarà un percorso lungo”.

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