Rafah, Striscia di Gaza – Un nuovo capitolo di violenza si è consumato nella giornata di oggi, 1 giugno 2025, quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco su civili palestinesi riuniti presso siti di distribuzione di aiuti umanitari a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, e vicino al Corridoio di Netzarim, nel centro del territorio. L’attacco, che ha causato almeno 31 morti, di cui 30 a Rafah e uno vicino al Corridoio di Netzarim, si aggiunge alla lunga lista di episodi che hanno insanguinato la Striscia, colpendo in particolare persone affamate e disperate in cerca di cibo. Secondo fonti di Al Jazeera, l’assalto ha lasciato anche oltre 115 feriti, aggravando ulteriormente una crisi umanitaria già al collasso.
Un massacro tra i più vulnerabili
I siti di distribuzione colpiti erano gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione sostenuta dagli Stati Uniti, ma controversa per il suo ruolo nella gestione degli aiuti, che alcune organizzazioni umanitarie accusano di violare i principi di neutralità e di militarizzare la distribuzione del cibo. Le vittime, in gran parte civili, si erano radunate in cerca di generi di prima necessità in un contesto di fame diffusa, esacerbata dal blocco totale imposto da Israele su Gaza a partire dal 2 marzo 2025. Questo blocco ha limitato l’accesso a cibo, acqua, carburante e aiuti umanitari, portando la popolazione al confine della carestia, come denunciato da diverse agenzie delle Nazioni Unite.
L’attacco di Rafah si inserisce in un pattern di violenza che vede i civili, spesso donne e bambini, pagare il prezzo più alto. Solo pochi giorni fa, il 27 maggio 2024, un altro bombardamento israeliano su Rafah aveva causato almeno 45 morti, molti dei quali bruciati vivi in un incendio scoppiato in un campo di sfollati dichiarato “zona sicura”. Tra le vittime c’erano decine di bambini, alcuni dei quali decapitati dall’esplosione delle bombe. L’esercito israeliano aveva definito quell’episodio un “tragico errore”, ma le ripetute offensive sui civili sollevano interrogativi sulla natura intenzionale di queste azioni.
Il contesto: una crisi umanitaria senza precedenti
La situazione a Gaza è catastrofica. Dall’inizio del conflitto, nell’ottobre 2023, oltre 54.000 palestinesi sono stati uccisi, secondo le stime riportate da Al Jazeera, e la fame è diventata un’arma di guerra. Il Programma Alimentare Mondiale (WFP) delle Nazioni Unite ha avvertito che l’intera popolazione di Gaza è a rischio carestia, con 290.000 bambini “sull’orlo della morte” a causa della malnutrizione. Il WFP ha riferito che, nonostante 77 camion carichi di farina siano entrati a Gaza tra la notte e la mattina di venerdì, questi sono stati fermati da folle di persone affamate, disperate per sfamare le proprie famiglie. Questo episodio evidenzia il caos umanitario e l’incapacità di garantire una distribuzione sicura degli aiuti.
Israele, accusata da gruppi per i diritti umani di utilizzare la fame come strumento di guerra, ha giustificato le sue azioni sostenendo, senza prove concrete, che membri di Hamas stiano rubando gli aiuti. Inoltre, ha spinto per l’esclusione delle organizzazioni delle Nazioni Unite dalla distribuzione degli aiuti, favorendo enti come la GHF, che rispondono a logiche più vicine agli interessi israeliani e americani.
Le reazioni e il fallimento dei negoziati
L’attacco di Rafah è avvenuto in un momento di stallo nei negoziati per un cessate il fuoco. Hamas ha recentemente presentato una risposta alla proposta di tregua avanzata dagli Stati Uniti, mediata dall’inviato di Trump, Steve Witkoff. La proposta prevedeva un cessate il fuoco di 60 giorni, il rilascio di 10 ostaggi vivi e 18 corpi in cambio di prigionieri palestinesi, ma Hamas ha chiesto garanzie più solide per un cessate il fuoco permanente, il ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza e un flusso continuo di aiuti umanitari. Tuttavia, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito la risposta di Hamas “inaccettabile”, ribadendo l’intenzione di continuare le operazioni militari per “sconfiggere Hamas” e liberare gli ostaggi.
Le proteste in Israele, guidate dalle famiglie degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, continuano a crescere. Migliaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv, accusando Netanyahu di prolungare il conflitto per interessi politici personali e di mettere a rischio la vita degli ostaggi con un’escalation militare. Nel frattempo, la comunità internazionale, pur condannando gli attacchi, non è riuscita a imporre misure concrete per fermare la violenza. Il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha dichiarato che le recenti offensive israeliane dimostrano una chiara mancanza di interesse per un cessate il fuoco.
Un ciclo di morte e disperazione
L’attacco di Rafah non è un episodio isolato, ma l’ennesima strage in un conflitto che sembra non avere fine. La popolazione di Gaza, intrappolata in un territorio sotto assedio, continua a subire le conseguenze di una guerra che distrugge vite, speranze e infrastrutture. Le immagini di corpi bruciati, famiglie sterminate e bambini malnutriti sono un monito della gravità della crisi. La comunità internazionale è chiamata a rispondere con urgenza, non solo con parole di condanna, ma con azioni concrete per fermare il massacro e garantire che gli aiuti raggiungano chi ne ha bisogno.
Mentre la fame e le bombe continuano a mietere vittime, la domanda resta aperta: quanto ancora dovrà soffrire Gaza prima che il mondo agisca?