L’ondata nera è diventata onda rossa o quasi. Colpo di scena in Francia: si contavano i seggi mancanti a Marine Le Pen per la maggioranza assoluta ed è invece clamorosamente la gauche a trionfare, con il capo de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, a rivendicare il governo: «Siamo pronti, Macron riconosca la sconfitta, ha il dovere di chiamare il Nuovo Fronte Popolare a governare».
Emmanuel Macron e la sua maggioranza uscente non crollano, com’era stato previsto, ma arrivano addirittura secondi davanti all’estrema destra del Rassemblement National di Le Pen, la grande sconfitta di stasera dopo il patto di desistenza siglato nei giorni scorsi contro di lei.
Marine, senza il suo solito sorriso, è arrivata davanti alle telecamere in ritardo: «La nostra vittoria è soltanto rinviata – ha detto la leader del Rn -. La marea sale, stavolta non è salita abbastanza alta ma continua a salire. Ho troppa esperienza per essere delusa da un risultato nel quale noi raddoppiamo il numero di deputati», sono state le sue poche parole nella notte che doveva segnarne il trionfo e l’inizio della lunga marcia verso il 2027. La delusione è tanta, la sorpresa è totale. Alla sinistra mancano comunque circa 90 seggi per la maggioranza assoluta, quindi la ricerca di una coalizione resta pienamente attuale. La prima reazione giunta dall’Eliseo è stata la rivendicazione da parte di Macron, per settimane sotto il fuoco delle critiche a 360 gradi, della scelta di sciogliere l’Assemblée Nationale: «L’affluenza – a livello record del 67% – dimostra che i francesi dovevano esprimersi». Subito dopo, dall’entourage del presidente è arrivato un invito alla «prudenza», poiché i risultati non garantiscono di poter creare «una coalizione coerente».
Il Nuovo Fronte Popolare avrebbe fra i 187 e i 199 seggi, lontano quindi dal numero magico di 289. E il blocco di centro macroniano, a 161-169, non farà alcuna alleanza che comprenda Mélenchon e i melenchoniani. «Questa è la domanda – insiste l’Eliseo – se una coalizione coerente sia possibile per raggiungere i 289 deputati». Una fonte ufficiale dell’Eliseo ha chiarito che Macron «aspetterà la strutturazione della nuova Assemblée Nationale per prendere le decisioni necessarie. Il presidente, nel suo ruolo di garante delle istituzioni, veglierà sul rispetto della scelta sovrana dei francesi».
Poco dopo, ha preso la parola Gabriel Attal, il premier uscente che ha annunciato per domani le proprie dimissioni, proponendo di rimanere in carica per gli affari correnti. Confermando e precisando i contorni dell’ormai assodata frattura fra lui e Macron: «Lo scioglimento dell’Assemblée – ha detto – non l’ho scelto io, ma ho rifiutato di subirlo». E il risultato che ha rivendicato è quello di aver «evitato tre rischi»: quello «di una maggioranza assoluta dominata da La France Insoumise, una maggioranza dominata dal Rassemblement National e il rischio di una scomparsa del movimento che incarna le nostre idee e i nostri valori».
Le ipotesi che stanno prendendo forma in queste ore sono un governo di unione nazionale orientato verso il centro, con i riformisti della gauche e i Republicains, che hanno ottenuto – senza Eric Ciotti passato con Le Pen – un risultato lusinghiero, ad oltre 60 seggi. Mentre 20 giorni di dibattito sembrano ormai un ricordo – così come i proclami di Le Pen e Jordan Bardella, che ancora 48 ore fa dettavano i loro obiettivi in politica estera, sull’Ucraina, o sull’immigrazione – la gauche già mostra tutte le sue profonde differenze. A tuonare nelle prime ore sono stati i vincitori de La France Insoumise, la sinistra radicale che ormai era quasi sicura di rimanere fuori da qualsiasi accordo, con Mélenchon isolato all’opposizione. Da Manon Aubry a Mathilde Panot a Manuel Bompard, i colonnelli di Mélenchon proclamano l’aumento del salario minimo e la pensione a 60 anni, chiedendo un candidato comune della gauche per Matignon. Ma si fanno strada anche i personaggi che, probabilmente, avranno voce nei prossimi giorni nel tentativo di negoziare la coalizione con il centro e la destra moderata, unica soluzione praticabile per il governo. «Stasera siamo in testa – ha detto Raphaýl Glucksmann, che ha trascinato ancora in alto il Partito socialista – ma di fronte a un’Assemblée Nationale divisa dobbiamo comportarci da adulti. Bisogna parlare, bisogna discutere, bisogna dialogare», ha insistito, sottolineando che «il cuore del potere è stato trasferito all’Assemblée Nationale, è necessario un cambiamento di cultura politica».
Mentre il popolo della gauche si è riversato spontaneamente a Place de la République, a Parigi, per festeggiare una vittoria tanto più bella quanto insperata, sul palco del quartier generale del Rassemblement è comparso anche un Jordan Bardella per la prima volta scuro in volto. Ha subito denunciato le «alleanze contro natura» fra i macroniani e la sinistra, che secondo lui hanno provocato la sconfitta del suo partito: «Purtroppo – ha detto – l’alleanza del disonore e i piccoli accordi elettorali fra Macron e Attal con l’estrema sinistra privano» gli elettori di un governo del Rn e «gettano la Francia nelle braccia di Mélenchon». Poi ha reso omaggio, con poca convinzione e non riuscendo a sorridere, «alla dinamica di cui gode il Rassemblement che l’ha portato in testa al primo turno» e gli consente comunque di ottenere un numero storico di deputati, tra 135 e 143 assieme agli alleati. Una magra consolazione stasera, per un partito che era incerto fra il trionfo e la semplice vittoria. Il soffitto di cristallo che impedisce all’estrema destra di governare la Francia è oggi più solido che mai.
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