Storia dell'attrazione fatale tra Netanyahu e Hamas: sulla pelle di due popoli
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Storia dell'attrazione fatale tra Netanyahu e Hamas: sulla pelle di due popoli

Un primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che cerca di sopravvivere politicamente allei inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa direttamente, giocando l’unica carta a sua disposizione: la sicurezza minacciata di Israele.

Storia dell'attrazione fatale tra Netanyahu e Hamas: sulla pelle di due popoli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Dicembre 2023 - 15.05


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La guerra è preferibile al voto. Perché col nemico israeliano si combatte, si mettono in conto morti e feriti, a migliaia, ma alla fine si arriva ad una hudna (tregua). E l’”hudna” è meglio del voto. Anche se significa ricostruire la catena di comando militare parzialmente distrutta, ma era già accaduto nelle precedenti tre guerre. La guerra è il “male minore”. Perché col voto si rischia di perdere quello a cui si tiene di più: il potere. Vale per Hamas e, sia pure in forme più soft,  per la vetusta e discreditata nomenclatura dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), e il Fatah, il movimento fondato da Yasser Arafat, dilaniato da insanabili faide interne.  La violenza come sostitutiva della politica. O meglio ancora: la forza che si fa politica.

Un primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che cerca di sopravvivere politicamente allei inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa direttamente, giocando l’unica carta a sua disposizione: la sicurezza minacciata di Israele. Un movimento che ha fallito la prova di governo e che cerca una nuova legittimazione cavalcando la rabbia e la sofferenza, cercando nella resistenza all’”occupante sionista” il recupero di una sua centralità.  Hamas vince politicamente anche quando perde (ma neanche tanto) militarmente. Una popolazione in gabbia, ostaggio di due nemici che si sorreggono l’uno con l’altro, perché, da fronti opposti, conoscono e praticano lo stesso linguaggio: quello della forza. Il sangue versato a Gaza” racconta una storia che non nasce ieri ma che si dipana nel corso di decenni e che ha nella Striscia uno dei suoi più tragici luoghi di attuazione. E’ la storia di quattro guerre, di bombardamenti, razzi, invocazione al diritto di difesa (Israele) e a quello della resistenza armata contro l’”entità sionista” (Hamas). E’ la storia di punizioni collettive, di quindici anni di assedio. Ma è anche la storia di un movimento islamico che, fallita l’esperienza di governo, cerca nuova legittimazione nell’indirizzare contro l’occupante con la Stella di David, la rabbia e la sofferenza di una popolazione ridotta allo stremo.

La guerra del 2014 andò avanti per 67 giorni, furono uccisi più di 2mila palestinesi e 73 israeliani, soprattutto soldati. Al termine del conflitto, Hamas si dichiarò vincitore mentre Israele si ritirò con la convinzione di avere fatto danni sufficienti da garantirsi qualche anno di tranquillità. La storia si ripete.

 Da quando Netanyahu è salito al potere nel 2009, ha firmato “un patto non scritto con Hamas”, rimarca n Haim Ramon, u ex vice primo ministro e ministro della Giustizia. L’accordo è stato progettato per contrastare l’Autorità Palestinese e il suo leader, perpetuando la spaccatura tra Hamas a Gaza e l’AP in Cisgiordania, al fine di indebolire il presidente Mahmoud Abbas e mantenere il congelamento diplomatico, basato sull’affermazione che l’Anp non rappresenta tutti i palestinesi.

Netanyahu ha mantenuto questa posizione durante l’offensiva aerea del novembre 2012 e la guerra di Gaza del 2014, durante la quale ad Hamas è stato offerto un cessate il fuoco non meno di 10 volte. Inoltre, dal 2012, Netanyahu ha lasciato che il Qatar trasferisse 1 miliardo di dollari a Gaza, di cui almeno la metà è andata a Hamas, compresa la sua ala militare. Per Netanyahu, c’è una ragione per tenere i cittadini di Israele in ostaggio di Hamas: affinché l’Anp non torni a governare Gaza. Questo farà sì che il “disastroso” processo diplomatico non riprenda. Nel suo libro “Contro il vento”, Haim Ramon fornisce prove sostanziali che sostengono la sua affermazione su questo patto non scritto tra Netanyahu e Hamas. Le motivazioni di Netanyahu sono legate al suo impegno per l’idea di una Terra d’Israele indivisa e il suo sforzo per prevenire le circostanze che permetterebbero la creazione di uno stato palestinese. Il Jerusalem Post ha riportato il 12 marzo 2019 che Netanyahu, parlando al caucus della Knesset del Likud, ha detto che “chi è contro uno stato palestinese dovrebbe essere a favore” – come il giornale ha poi descritto con le sue stesse parole – “del trasferimento dei fondi a Gaza, perché mantenere una separazione tra l’Anp in Cisgiordania e Hamas a Gaza aiuta a prevenire la creazione di uno stato palestinese.” (In un’intervista al sito Ynet il 5 maggio 2019, uno stretto collaboratore del primo ministro, il Magg. Gen. (res.) Gershon Hacohen, ha detto che “la verità deve essere affermata: La strategia di Netanyahu è quella di impedire un’opzione a due stati, quindi ha fatto di Hamas il suo partner più stretto. Apertamente, Hamas è il nemico. Segretamente, è un alleato”.

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Chi scrive lo rimarcava in un articolo per Limes del 2022. A distanza di quasi due anni non cambierei una virgola. Se non per marcare la drammaticità degli eventi.

Convergenza d’interessi

In questa lettura dei fatti, troviamo conforto in una documentata analisi, per Haaretz, di Samuel Heilman, professore emerito di sociologia al Queens College della City University di New York. A gennaio sarà Visiting Distinguished Professor presso l’Effron Center of American Studies dell’Università di Princeton.

Annota il professor Heilman: “Omer Bar-Lev, che era il ministro israeliano della sicurezza interna prima che l’estremista di destra Itamar Ben-Gvir fosse nominato al suo posto da Benjamin Netanyahu, ha recentemente suggerito che qualsiasi revisione oggettiva degli anni di Netanyahu nella carica di primo ministro rivelerebbe un’intersezione evidente tra i suoi interessi e quelli di Hamas. Questa attrazione fatale è iniziata anni fa e probabilmente ha influenzato la decisione di Netanyahu di sostenere questa organizzazione terroristica. Già nel 1996, quando è apparso in seguito all’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin che Shimon Peres, che si è impegnato a continuare il processo di pace che lui e Rabin hanno iniziato, era sul punto di vincere le elezioni come primo ministro, gli attentatori suicidi di Hamas hanno fatto saltare in aria due autobus a Jaffa Road nel centro di Gerusalemme, uccidendo 45 persone. (Gli attacchi sono stati ideati dal capo militare di Hamas Mohammed Deif a Gaza, che Israele ha cercato senza successo di assassinare per decenni.) I bombardamenti hanno allontanato abbastanza elettori dal processo di pace al quale Netanyahu si è opposto e ha minato nella sua campagna, con una vittoria a sorpresa per Netanyahu con poco meno di 30.000 voti. Ciò ha portato al potere un primo ministro che ha permesso a Hamas di crescere e prosperare, indebolendo così l’Autorità palestinese, una tattica destinata a scogliere tutte le possibilità di pace tra Israele e i palestinesi.

Da quelle elezioni, sia Hamas che Netanyahu hanno mantenuto un livello costante di ostilità che scoraggia ogni possibilità di pace e li ha tenuti entrambi al potere.

Deif e altri leader di Hamas,in particolare Yahya Sinwar che ha pianificato l’attacco del 7 ottobre (e che era stato arrestato da Israele per aver oordinato l’assassinio di rivali palestinesi che aveva accusato di collaborare con Israele,  e per un piano di rapimento e omicidio di due soldati israeliani, rilasciato da Netanyahu in un accordo del 2012 per il ritorno del soldato rapito Gilad Shalit) hanno anche evitato una risoluzione pacifica e politica del conflitto. Sia Netanyahu che Hamas disprezzano l’idea di due stati per due popoli.

Mai questi interessi condivisi non sono mai stati più evidenti che durante la guerra attuale. Hamas non solo ha superato tutti i nemici di Israele con i devastanti attacchi del 7 ottobre, ma riesce anche a eludere la sconfitta e ottenere il sostegno in tutto il mondo mentre assorbe le ritorsioni punitive da parte di Israele. Hamas usa cinicamente la sofferenza dei suoi concittadini palestinesi per il proprio guadagno mentre si protegge dalla punizione.

Prima della guerra, Netanyahu, impegnato con il suo governo estremista di destra,  a reprimere le proteste nazionali contro la sua “riforma” giudiziaria antidemocratica, ha ignorato gli avvertimenti che stava mettendo in pericolo la sicurezza di Israele.

Il primo ministro e le disattenzioni e gli errori del suo governo sono stati colossali, ma ora lavora per minimizzarli mentre alimenta la furia contro i palestinesi e alimentare la propagandistica, e falsa, narrazione per cui solo lui deve e può condurre questa guerra.

Allo stesso modo, anche prima della guerra, Hamas ignorava in modo cinico la miseria dei gazawi, usando la furia generata dai contro attacchi che ha provocato da Israele come mezzo per coprire la sua corruzione e la sua leadership fallimentare che ha rubato le risorse e il futuro dei palestinesi che vivono a Gaza.

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In breve, sia Netanyahu che Hamas hanno fondato, con successo, la loro capacità di mantenere il potere politico alimentando i fuochi della guerra e mantenendo vive le fiamme dell’odio reciproco Nel frattempo, Netanyahu porta avanti la guerra anche se la sua popolarità affonda. Un recente sondaggio ha rilevato che la coalizione guidata da Benjamin Netanyahu che ha conquistato 64 seggi nelle elezioni del novembre 2022 sarebbe crollata a soli 45 seggi nella Knesset  (su 120) se le elezioni si terrebbero oggi.  Meno del quattro per cento degli ebrei israeliani dice  di fidarsi del primo ministro come fonte di informazioni più affidabile sulla guerra contro Hamas.

Poco prima che Hamas lanciasse il suo assalto del 7 ottobre, un sondaggio ha rilevato all’inizio di ottobre che la maggioranza assoluta del pubblico di Gaza (67 per cento) ha espresso poca fiducia in Hamas, rispetto al 29 per cento che ha espresso un alto grado di fiducia. Inoltre, il 73 per cento degli abitanti di Gaza ha sostenuto una soluzione non violenta del conflitto, rispetto a solo il 20 per cento che ha favorito un’azione violenta contro Israele. Ma secondo un sondaggio più recente di novembre, la popolarità di Hamas è aumentata sensibilmente dall’inizio della guerra.

Sia Netanyahu che i leader di Hamas si rendono conto che in un momento di vera pace sarebbero sostituiti da leader che offrono speranza e buon governo. Non hanno quindi alcun incentivo a porre fine a questa guerra poiché la sua fine porrebbe fine alla loro presa sul potere.

È un errore fatale credere che i leader di Hamas o Netanyahu, che si preoccupano più di mantenere il potere che di porre fine alla guerra, probabilmente portino il loro popolo a qualsiasi vera pace o tentativo di una risoluzione politica di qualsiasi tipo.

Le ripetute affermazioni di Netanyahu che solo dopo che la guerra è finita e successo (per una definizione che rimane poco chiara, come si addice a un leader che non può immaginare come sarebbe la pace o descriverla realisticamente) ci sarà tempo per indagare su chi è stato responsabile del fallimento della sicurezza del 7 ottobre.

Le sue promesse  che non permetterà ai palestinesi di governare, come l’impegno di Hamas di impedire a Israele di vincere, sono tutte queste offerte dai leader. I leader di Hamas hanno promesso che fino a quando Israele non sarà cancellato dalla mappa, continueranno a riamare e attaccare con la stessa o ancora maggiore ferocia e odio che hanno mostrato il 7 ottobre. E ancora una volta Netanyahu è stato citato stato  per aver detto: “Sono orgoglioso di aver impedito l’istituzione di uno stato palestinese, perché oggi tutti capiscono cosa avrebbe potuto essere quello stato palestinese, ora che abbiamo visto il piccolo stato palestinese a Gaza”.

Le persone che ci hanno portato questa guerra continuano a creare le condizioni per andare avanti all’infinito, sapendo che il loro restare al potere dipende dalla durata della guerra.

Fino a quando le popolazioni israeliane e palestinesi non vedranno chiaramente di essere intrappolate da questi leader affamati di potere che sono pronti a sacrificare il proprio popolo per combattere fino alla morte dell’altro, saranno in balia del loro egoismo.

Entrambi i popoli sono guidati dalla furia e dalla vendetta, frustati da leader il cui interesse è principalmente nel proprio futuro politico dipendente da quella rabbia.

Senza leader alternativi pronti a cambiare direzione, a spianare una strada alla rimozione di Hamas e Netanyahu, tutte le preghiere per la pace rimangono gesti vuoti e quelli tenuti in ostaggio: i civili su entrambi i lati di questa guerra non saranno mai liberi di godere delle benedizioni della pace.

L’argomento secondo cui i leader non dovrebbero essere cambiati durante un periodo di guerra è precisamente l’affermazione più speciosa e egoistica di tutte, e qualcuno deve aprire gli occhi del popolo su questo fatto.

Quelli di ciascuna parte che indicano solo l’eroismo dei loro combattenti come prova che la guerra in corso viene perseguita con successo devono essere fatti capire che tali argomenti confondono una battaglia vinta qua o là come prova che la pace sta arrivando. Ma le guerre finiscono quando le battaglie si fermano, quando la pace è perseguita sopra ogni altra cosa, quando il futuro promette tempi migliori se i combattimenti si fermano. È tempo che le persone che vogliono una tale pace dicano la verità al potere e chiedano nuovi leader che possano portarci in pace non dopo la guerra ma ora.

Il tempo non è dalla parte di nessuno”.

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Una notizia buona e una cattiva

Ne dà conto un editoriale di Haaretz: “La buona notizia è che anche il Likud ha iniziato a capire che il tempo in carica del primo ministro Benjamin Netanyahu deve finire presto. La cattiva notizia è che uno di quelli in lizza per la corona, il ministro dell’Economia Nir Barkat, sta cercando di posizionarsi per la prossima battaglia di successione virando proprio nello stile del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir.

Barak sta sfidando la politica del governo nella Striscia di Gaza e lo accusa di gestire la guerra in modo irresponsabile. Alla riunione di gabinetto di questa settimana, ha detto: “Nessuna considerazione ci giustifica di mettere in pericolo la vita dei nostri soldati in nome di qualche moralità fittizia; farlo è una gestione irresponsabile della guerra”. Questo non è stato un scivolo di bocca, ma il suo documento d’identità politico appena falsificato.

All’inizio di quella riunione di domenica, ha affermato: “Sono preoccupato. Purtroppo, siamo troppo gentili e troppo premurosi. È inaccettabile che mettiamo in pericolo i nostri soldati e li mandiamo, vulnerabili, in tutti i tipi di edifici senza prima bombardarli. Cedere a qualsiasi pressione esterna, anche se è dei nostri migliori amici, è un grave errore per il quale stiamo pagando un prezzo pesante”.

L’implicazione delle osservazioni di Barkat è che le forze di difesa israeliane stanno agendo con esitazione e ‘delicatezza’ a Gaza, sotto restrizioni dettate dagli Stati Uniti. Ed è questo quando in realtà, l’esercito sta impiegando un fuoco enormemente pesante, con quattro divisioni all’interno di Gaza e massicci bombardamenti dall’aria, dal mare e dalla terra.

Le sue operazioni stanno richiedendo un prezzo pesante da Hamas sotto forma di vite di terroristi e stanno anche causando danni molto gravi alla popolazione civile, con oltre 20.000 persone uccise secondo il ministero della salute di Gaza gestito da Hamas.

Le operazioni dell’Idf nell’ambiente densamente popolato e complesso di Gaza, sia fuori terra che nei tunnel di Hamas, hanno richiesto un prezzo pesante anche ai nostri soldati. Alcuni soldati sono stati colpiti da aerei o carri armati israeliani – un fatto che mostra la complessità dei combattimenti e la difficoltà di usare gli aerei quando così tante forze si stanno muovendo attraverso piccole aree urbane affollate.

Barkat, come al solito, ha paura di lanciare un attacco frontale a Netanyahu per non cadere vittima della macchina del veleno pro-Bibi. Ma avrà sempre il presidente del Partito dell’Unità Nazionale Benny Gantz, l’ex leader dell’opposizione che si è unito al gabinetto di guerra dopo l’inizio della guerra. “Purtroppo, Gantz è ancora prigioniero di una dottrina errata”, , ha twittato Barkat.

“Da lui in particolare, mi sarei aspettato un certo grado di modestia, attenzione alle critiche sostanziali e la comprensione che le vite dei nostri combattenti sono più importanti delle vite dei Gazawi”. I suoi punti di discussione suonano esattamente come quelli di Ben-Gvir: l’esercito è debole; sta mettendo in pericolo inutilmente la vita dei soldati ed è misericordioso con gli abitanti di Gaza. È il populismo al suo peggio.

Se Barkat vuole essere il prossimo primo ministro, deve presentare un piano coerente per il giorno dopo Netanyahu, così come per il giorno dopo Hamas. Deve spiegare cosa farebbe diversamente e abbandonare lo spregevole populismo che accusa l’esercito di abbandonare i suoi soldati. Un Ben-Gvir è sufficiente”.

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