Migranti, oltre che securista il governo rischia di diventare anche politicamente eversore
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Migranti, oltre che securista il governo rischia di diventare anche politicamente eversore

Non è “solo” un governo securista. E’ un governo eversivo. Modello israeliano, che i lettori di Globalist hanno imparato a conoscere nelle sue imprese “golpiste”.

Migranti, oltre che securista il governo rischia di diventare anche politicamente eversore
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Ottobre 2023 - 15.47


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Non è “solo” un governo securista. E’ un governo eversivo. Modello israeliano, che i lettori di Globalist hanno imparato a conoscere nelle sue imprese “golpiste”.

Scrive Silvia Gasparetto per Ansa: “E’ di nuovo scontro aperto fra Palazzo Chigi e i magistrati.

Questa volta Giorgia Meloni affida ai social, anziché alle “fonti” anonime che tante critiche hanno sollevato a inizio estate, la sua irritazione davanti alla sentenza di Catania con cui la giudice Iolanda Apostolico non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini ritenendo le nuove regole, appena varate dal governo, in contrasto con la normativa europea. Ma di fronte alle parole della premier,”basita” per la sentenza dalle motivazioni “incredibili”, prima l’Anm e poi 10 togati del Csm si schierano a difesa della collega, finita nel mirino anche di tutto il centrodestra che vuole portare il caso in Parlamento.

Mentre le opposizioni condannano l’ennesimo “scontro istituzionale”, oramai, secondo i Dem, “anticamera dell’eversione”. Accanto alla giudice si schiera fin da subito l’Associazione nazionale magistrati di Catania (cui si affianca anche l’Anm di Milano), che definisce Apostolico “persona perbene” e osserva che “il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario andrebbe improntato a ben altre modalità”. Mentre la stessa giudice si chiama fuori dalle “polemiche” perché la questione è giuridica, e “impugnabile” e non deve essere trasformata in una “questione personale”. Si tratta di una “grave delegittimazione professionale” fanno intanto quadrato i consiglieri del Csm che hanno avviato una raccolta di firme a tutela della giudice di Catania, che secondo la premier si è “scagliata” contro un provvedimento del governo “democraticamente eletto”.

Non si ferma lì, Meloni, che torna a puntare il dito contro quel “pezzo di Italia”, non meglio identificato, che “fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale. E non parlo solo della sinistra ideologizzata e del circuito che ha i propri ricchi interessi nell’accoglienza”. Senza contare gli “altri Stati” che “lavorano nella direzione diametralmente opposta” a quella del governo italiano, impegnato a fronteggiare gli sbarchi illegali. La premier, che finora non si era espressa sulla vicenda, scrive su tutti i suoi social di primo mattino. Mentre a Pozzallo il Cpr si sta svuotando proprio in conseguenza di quella sentenza. E ad alimentare la reazione muscolare di governo e maggioranza – mentre al ministero dell’Interno stanno studiando gli estremi per il ricorso in Cassazione – contribuisce anche la ricostruzione del Giornale di alcuni post contro Matteo Salvini condivisi sulla bacheca Fb della giudice che avrebbe poi cancellato il suo profilo.

Una chiusura “a orologeria”, attacca la responsabile migranti di Fdi Sara Kelany, preannunciando una iniziativa (ancora si sta valutando tra gli strumenti a disposizione dei parlamentari se procedere con una interrogazione, una interpellanza urgente o altro) per capire “se siano stati travalicati i limiti” fissati dalla Costituzione che “impone che ogni processo si svolga di fronte ad un giudice terzo ed imparziale”. La Lega annuncia intanto una “interrogazione al ministro della Giustizia” Carlo Nordio, “alla luce di quanto letto sui giornali”. “Meloni la smetta di alimentare lo scontro istituzionale che danneggia il Paese”, risponde a caldo Elly Schlein, additando il governo di cercare “un nemico al giorno per nascondere le proprie responsabilità”. E le sue parole, le fa eco il capogruppo al Senato Francesco Boccia, “fanno il paio con quelle di Salvini di ieri che dice interverremo sulla magistratura. Questo è l’anticamera dell’eversione”. E’ “così, scagliandosi contro migranti e giudici, che Polonia e Ungheria si sono poste fuori dallo Stato di diritto”, incalzano anche da +Europa, mentre Giuseppe Conte sottolinea i “bluff” della premier che di fatto ha “fallito” sulle politiche migratorie.

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“Impugneremo e siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere nel grado di giudizio successivo”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è turbato dalle decisioni di Iolanda Apostolico. E l’Ufficio legislativo del ministero è al lavoro – in contatto con l’Avvocatura dello Stato – per definire la procedura di impugnazione, che potrebbe avvenire con un ricorso in Cassazione”.

Decreto anticostituzionale

L’ultimo decreto immigrazione delgoverno Meloniè contrario alla Costituzione italiana ai sensi degli articoli 10 e 13, sia perché l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, sia perché lo straniero al quale nel suo paese d’origine sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto ad avere asilo nel territorio della Repubblica”. Lo afferma ai microfoni di Radio Radicale Fulco Lanchester, professore emerito di Diritto Costituzionale e comparato all’università La Sapienza di Roma, evidenziando l’illegittimità dei decreti immigrazione varati dal governo Meloni nell’ultimo anno. “Quei decreti – spiega il costituzionalista – e in particolare il decreto Cutro stabiliscono che ci sono due tipi di stranieri, quelli da ordinamenti garantiti e quelli no. Ora, dire che gli stranieri provenienti dalla Tunisia sono garantiti e affermarlo senza una vera valutazione non mi sembra corrispondente all’articolo 10 della Costituzione. In ogni caso, nell’art.13 della Costituzione è sancito che la libertà personale è inviolabile. E ‘non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

Riguardo alla decisione della giudice del tribunale di Catania,  duramente contesta dalla presidente del Consiglio, Lanchester osserva: “Mi sembra che la giudice si sia attenuta alla normativa italiana ed europeae che, per tutta una serie di motivi, la normativa prodotta nell’ultimo periodo sia piena di sconnessioni. Quindi, c’è la necessità di ricollegarla al diritto della Ue e alla Costituzione italiana. Che ci sia un’emergenza è evidente, ma che questa emergenza porti poi aprovvedimenti di tipo amministrativo discrezionale è molto pericoloso, perché la discrezionalità, se non ha come parametri la Costituzione, diventa probabilmente arbitrio”.

Il costituzionalista definisce ipercinetica la produzione normativa del governo Meloni sull’immigrazione e aggiunge: “Il problema ulteriore è che venga operata sulla spinta della polemica elettorale sia per mostrare il cambiamento di rotta, sia per indicare una dinamica di preparazione alle elezioni. La mia idea è che bisogna preservare le istituzioni. È molto meglio fare un ricorso: il governo ha la possibilità di impugnare la sentenza e di evitare di mettere sul palcoscenico un processo alla magistratura, che sia rossa, nera, verde o arancione. Si tratta di un tema di tipo istituzionale per il mantenimento dello Stato di diritto costituzionale nel nostro paese”.

E conclude ribadendo: “Trovo che sia pericoloso alzare il livello di polemica sulla magistratura, perché a questo punto il problema non è il giudice Apostolico, ma tutta la magistratura. Quindi, inviterei tutti a usare meno i mezzi di comunicazione di massa quando si hanno delle responsabilità. L’istituzione deve essere preservata”.

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Lampedusa, dieci anni dopo

Ne scrive Franz Baraggino su Il Fatto Quotidiano: “Le due tragedie dell’ottobre 2013 dovevano segnare un punto di svolta nell’approccio all’immigrazione del Mediterraneo. Al contrario, agli oltre 636 mortidi allora se ne sono aggiunti almeno 25mila in dieci anni. E la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza che si celebra nella data del primo naufragio, il 3 ottobre, è ormai l’appuntamento con il bilancio fallimentare delle politiche europee e nazionali, che nulla hanno a che fare col “mai più” levatosi in tutta Europa all’indomani di quei naufragi. Che sì, diedero vita alla missione Mare Nostrum istituita per salvare vite umane. Ma altrettanto in fretta la videro smantellata con l’accusa di favorire l’immigrazione. Ancora oggi un intervento umanitario coordinato a livello europeo non è all’ordine del giorno e l’unica strategia sembra quella della difesa dei confini esterni. Ma anche di quelli interni, in un clima di reciproche accuse tra Stati membri che potrebbero bloccare un’altra volta l’accordo sul già debole Patto Ue su immigrazione e asilo.

Il 3 ottobre 2013, a un passo dalla terra ferma di Lampedusa, un incendio divampa su un peschereccio con a bordo 500 persone, soprattutto somale ed eritree. Salpate da Misurata, in Libia, se ne salveranno 155, mentre almeno 368 troveranno la morte. “Bisogna reagire e agire. Non ci sono termini abbastanza forti per indicare anche il nostro sentimento di fronte a questa tragedia”, disse l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nemmeno il tempo di concludere le ricerche dei corpi e dei dispersi che l’11 ottobre si inabissava un’altra imbarcazione: 268 siriani morti di cui almeno 60 bambini. I superstiti sono 212 e racconteranno il dramma della motovedetta libica che sparò loro contro danneggiando il peschereccio che iniziò a imbarcare acqua, ma soprattutto i vani tentativi di chiedere soccorso alle autorità italiane, con responsabilità acclarate di Marina militare e Guardia costiera italiane e processo finito in prescrizione lo scorso dicembre. Non di naufragio si parla, infatti, ma di strage, la “strage dei bambini”.

“Spero che la divina provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all’Europa”, disse l’allora vicepremier Angelino Alfano dopo aver visitato l’hangar dell’aeroporto di Lampedusa dove erano raccolti i corpi del naufragio del 3 ottobre. In effetti qualcosa si mosse e fu fatto in fretta, a una settimana dalla seconda tragedia. Il governo guidato da Enrico Letta affidò alla Marina e all’Aeronautica militare il compito di evitare che la tragedia si ripetesse. Prima di chiudere un anno dopo, il 31 ottobre 2014, la missione Mare Nostrum salvò la vita a più di 160mila persone. Cifre che altri valutarono come la prova di un incentivo alle partenze. “La presenza dei mezzi navali di Mare Nostrum vicino alla costa libica può incoraggiare i migranti i cui Paesi i paesi non hanno accordi di riammissione con l’Italia”, dichiarava Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere. Che suggeriva di sostituire la missione con una più arretrata e a basso impatto, da annunciare con largo anticipo così da disincentivare ulteriori partenze e limitare i morti.

L’Europa, che nel frattempo metteva in scena lo scaricabarile dell’accoglienza tuttora in voga, accettava il consiglio. In Italia la destra e in particolare la Lega di Matteo Salvini che aveva dichiarato guerra a Mare Nostrum accoglieva con soddisfazione il nuovo corso, fatto di missioni con ridotto raggio d’azione ma soprattutto con una nuova missione, la difesa dei confini. Archiviata la missione italiana venne l’europea Triton che, per stessa ammissione di Frontex, non sostituiva Mare Nostrum, non si sarebbe spinta in acque internazionali se in casi straordinari e soprattutto non avrebbe avuto il salvataggio di vite come priorità, come del resto sarebbe stato per le successiva Themis, SophiaIrini. Nel frattempo il conflitto siriano spingeva milioni di persone fuori dal Paese e l’accordo informale e miliardario con la Turchia per contenere i flussi orientali sanciva la priorità europea: la difesa dei confini e la limitazione di fatto del diritto d’asilo. Dopo il 2016, anno record per gli sbarchi con 180mila arrivi, nel 2017 il centrosinistra italiano firmava col governo Gentiloni il memorandum con la Libia, accompagnato dal primo regolamento per le ong, le organizzazioni umanitarie che avevano deciso di colmare il vuoto lasciato da Mare Nostrum.

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Nonostante il Paese diviso e instabile, alla Libia fu concesso di istituire una propria area di mare Sar (search and rescue, ricerca e soccorso), da pattugliare grazie ai finanziamenti italiani alla cosiddetta guardia costiera libica. Obiettivo, bloccare i migranti che l’Italia non poteva più permettersi di respingere verso il Paese nordafricano senza incorrere in sanzioni. Così l’idea delle ong di spingersi dentro la zona Sar libica, consapevoli delle tante richieste di salvataggio che finivano rimpallate tra Italia e Malta e inascoltate dai libici, costò loro la stessa accusa mossa anni prima a Mare Nostrum, cioè di incentivare le partenze con la propria, rassicurante presenza. Anticipato da Gentiloni e Minniti anche su questo fronte, il primo governo di Giuseppe Conte volle comunque rilanciare, tra decreti sicurezza voluti dal ministro degli Interni Salvini e la famosa denuncia sui “taxi del mare” lanciata dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Immancabile, l’Agenzia Frontex iniziò a riconoscere alle ong la stessa capacità di attrarre le partenze già attribuita a Mare Nostrum.

L’Europa iniziava allora a rinviare di anno in anno le proposte per una normativa comune su asilo e immigrazione, senza mai trovare il modo di superare il regolamento di Dublino che impone maggiori oneri ai Paesi di primo ingresso, obbligati all’esame delle domande di asilo di chi varca i loro confini. Nessun accordo nemmeno sulla redistribuzione dell’accoglienza, che manca tuttora. Al contrario, non sena calcoli politici ed elettorali, al centro delle polemiche tra Stati Ue torna ciclicamente l’operato delle ong. Il governo di Giorgia Meloni decide un’ulteriore stretta alla loro attività mentre la Germania rilancia il suo impegno finanziandone le operazioni. Nonostante il contributo agli sbarchi sia inferiore al 5%,fondi tedeschi forniscono il pretesto per l’ennesimo scontro alla vigilia delle elezioni europee, tanto che sulle ong salta anche l’ultimo Consiglio Ue che l’Italia abbandonain polemica con le posizioni tedesche. Mentre l’Europa litiga chiusa in se stessa, il bilancio dei morti si allunga. Ma nessuno chiede di rimettere in mare una missione che salvi vite umane. Nemmeno dopo la tragedia di Steccato di Cutro del 25 febbraio scorso, quando un’imbarcazione partita dalla Turchia con a bordo 180 persone colò a picco su una secca a poche decine di metri dalle coste calabresi, venne invocata una soluzione umanitaria”.

Una ricostruzione puntuale, documentata, che non fa sconti a nessuno. Dieci anni dopo, a dare le carte è un governo securista-eversore. Il peggio del peggio.

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