Migranti: la denuncia di Francesco e i morti di sete, di freddo e di fatica in Tunisia
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Migranti: la denuncia di Francesco e i morti di sete, di freddo e di fatica in Tunisia

Il Papa ha dedicato la sua catechesi alla figura di San Francesco Saverio, considerato "il più grande missionario dei tempi moderni", patrono delle missioni cattoliche. 

Migranti: la denuncia di Francesco e i morti di sete, di freddo e di fatica in Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Maggio 2023 - 14.17


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Un j’accuse possente. Un grido d’allarme accorato che dovrebbe scuotere i palazzi del potere, smuovere le coscienze di coloro che potrebbero salvare milioni di vite ma che si rendono complici, diretti e indiretti, di una apocalisse umanitaria senza fine.

Il grido di Francesco

“I viaggi in passato in nave erano durissimi e pericolosi. Molti morivano in viaggio per naufragi o malattie. Oggi purtroppo muoiono perché noi li lasciamo morire nel Mediterraneo!”. Papa Francesco come sempre va dritto al tema dei migranti con parole piene e di monito. Il tema dei viaggi della speranza è stato al centro dell’udienza generale del mercoledì: il Papa ha dedicato la sua catechesi alla figura di San Francesco Saverio, considerato “il più grande missionario dei tempi moderni”, patrono delle missioni cattoliche. 

Le parole di Bergoglio danno conto di una catastrofe quotidiana.

 Morti di sete, di freddo, di fatica

I corpi di nove persone migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana sono stati trovati senza vita nei giorni scorsi in Tunisia, al confine con l’Algeria. Secondo le organizzazioni non governative locali, le persone sono morte di sete, di freddo, di fatica. Il ritrovamento è avvenuto nei pressi di Haidra, nella Tunisia centro-occidentale, non lontano dal confine algerino. Attualmente è stata aperta un’indagine e ordinata un’autopsia per determinare le cause del decesso, ha detto il portavoce del tribunale di Kasserine, Riadh Nwiwi. Un anno fa, a marzo 2022, quattro uomini tra i 20 e i 35 anni furono trovati senza vita nella stessa zona montuosa di Haidra. Le cause della morte furono, anche per loro, la sete, l’affaticamento e il freddo.

La rotta migratoria algerina

Negli ultimi tempi è aumentato il flusso di migranti sub-sahariani che tenta il passaggio attraverso l’Algeria per poi raggiungere la Tunisia e continuare con la rotta del Mediterraneo centrale. Tra gennaio e aprile il numero di ingressi irregolari nell’Unione Europea attraverso il Mediterraneo è aumentato di quasi il 300 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, raggiungendo quota 42.200, secondo i dati aggiornati di Frontex. Dalla Tunisia, le cui coste distano dall’Italia solo 150 km, Frontex ha registrato nello stesso periodo una crescita del 1.100 per cento rispetto allo scorso anno.

La denuncia del Forum tunisino per i diritti economici e sociali

 Il Forum, che segue le questioni migratorie in Tunisia, conferma che le nove persone sono morte di freddo, di sete e di fatica. Poiché non è la prima volta che i migranti vengono uccisi dalla sete o dal freddo, il Forum ha chiesto che lo stato tunisino intervenga con una risposta umanitaria immediata ed efficace, istituendo dei presidi di assistenza nei luoghi di transito delle persone, anche sul confine tra Algeria e Tunisia. L’obiettivo dovrebbe essere quello di tutelare la vita delle persone e di contrastare le politiche omicide dell’Unione Europea – si legge sul sito del Forum – “che hanno confiscato il diritto di movimenti delle popolazioni del Sud”. Non è la prima volta che l’Ong accusa l’Unione Europea per la scelta di militarizzare le frontiere e impedire alle persone di chiedere asilo nei Paesi sicuri.

La Tunisia come l’Unione Europea

 Si scappa dai luoghi di origine e si percorrono lunghissime distanze, anche a piedi, mettendo in pericolo la propria vita e quella dei figli, per ragioni complesse che non hanno soluzioni facili. Ma ignorarle – scrive il Forum – significa condannare qualsiasi politica migratoria al fallimento. Sottovalutare lo squilibrio demografico tra il Nord e il Sud del mondo, per esempio, significa non guardare la realtà. Fingere di non conoscere l’impatto che il cambiamento climatico ha nel Sud del mondo, più che altrove, tra siccità e alluvioni che distruggono l’agricoltura e la pastorizia, significa non voler ammettere che il mondo sta cambiando e le politiche migratorie, così come sono concepite, non potranno mai fermare questo mutamento. Per il Forum la Tunisia sta commettendo un grosso errore di valutazione nel trattare la migrazione alla stregua delle decisioni europee, proprio perché queste scelte ignorano la realtà strutturale. Perché allineandosi alla UE, Tunisi rinuncia a un ruolo di leadership capace di alimentare una riflessione alternativa al dogma europeo che ha eretto la sicurezza a unica garanzia di pace e di concordia.

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 Quel decreto disumano

Ne scrive Vincenzo R.Spagnolo per Avvenire: “Alcune norme del cosiddetto decreto Cutro, convertito il 5 maggio dalle Camere nella legge numero 50, suscitano «profonda preoccupazione» nell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. La legge contiene disposizioni che presentano diverse «criticità», «per quanto riguarda la loro compatibilità con la normativa internazionale sui rifugiati e sui diritti umani», in merito «alla fattibilità delle misure previste» e «al loro potenziale impatto sul sistema d’asilo» e «sullo spazio di protezione garantito a richiedenti asilo, rifugiati e persone apolidi». 

Osservazioni contenute in una «nota tecnica» di 9 pagine inviata dall’Acnur al governo Meloni. Il documento, che Avvenire può anticipare in esclusiva, contiene almeno una decina fra raccomandazioni e osservazioni. Nel pronunciarsi, l’organismo dell’Onu si muove nell’alveo delle proprie competenze. Le sue «raccomandazioni», si legge, sono infatti «elaborate sulla base del mandato conferito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite di protezione internazionale dei rifugiati, e delle altre persone sotto la propria responsabilità» e «di assistenza ai Governi nella ricerca di soluzioni durevoli».

La lettera a Piantedosi. Durante l’iter di conversione del dl Cutro in Parlamento, l’Acnur aveva scritto al governo, cercando un dialogo rispettoso dell’attività legislativa in corso. «Avevamo rappresentato queste criticità, confidando che nel procedimento legislativo alcuni correttivi potessero essere apportati», spiega ad Avvenire Chiara Cardoletti, dal 2020 rappresentante dell’Acnur per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. E l’esecutivo ha risposto? «No», fanno sapere dall’organismo Onu, che tuttavia non è interessato a sollevare polemiche, ma solo – visto che il testo è diventato legge – a rendere noto il documento con le osservazioni, per informare la pubblica opinione. Ieri, per correttezza istituzionale, l’Acnur ha inviato al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi una lettera per informarlo che oggi il documento sarà pubblicato. In esso, l’Acnur «ribadisce la disponibilità a collaborare con le autorità italiane» per «elaborare le migliori soluzioni normative od operative, a partire dalle raccomandazioni qui contenute».

I nodi critici. Nelle 9 pagine, affiora più volte il timore che alcune «criticità» della nuova normativa possano, nel corso della loro applicazione, finire per porsi in un possibile contrasto col quadro di leggi e trattati internazionali che tutelato i diritti umani e le persone rifugiate. Per esempio – pur concordando con l’istituzione di procedure di frontiera più efficienti – si raccomanda di introdurre «misure per la individuazione dei bisogni dei richiedenti asilo, dei minori e delle altre persone con esigenze particolari». E si ricorda come i «luoghi di trattenimento» debbano rispettare quanto prevede la Direttiva accoglienza: «Disponibilità di spazi aperti, possibilità di comunicare e ricevere visite (da personale Acnur, familiari, avvocati, consulenti legali e rappresentanti di ong) e il diritto di essere informati delle norme vigenti nel centro». Il trattenimento andrebbe evitato ai richiedenti asilo e soprattutto a minori e persone sopravvissute a violenze e traumi. Inoltre, anche nel caso di domande di protezione internazionale «manifestamente infondate» (perché di persone provenienti da Paesi ritenuti “sicuri”) si chiede di vagliare prima se la persona invoca «gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro». 

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Serve «corridoio lavorativo». In apertura, il documento riconosce alcuni «sforzi compiuti dalle autorità italiane nell’individuare soluzioni per rispondere alla pressione migratoria». Fra questi, la «gestione efficace e trasparente del sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale» o le «misure relative alla gestione dell’hotspot di Lampedusa», fra cui «l’attivazione di una postazione del 118 sull’isola e il rafforzamento dei trasferimenti dai punti di crisi». C’è «apprezzamento» pure per la disposizione che introduce «una quota d’ingressi per lavoro per rifugiati e apolidi» nell’ambito del Decreto flussi, e «per la loro inclusione» negli ingressi “extra-quota” dopo la formazione professionale. L’Acnur «raccomanda che già dal prossimo Decreto flussi sia assegnata una specifica quota riservata» per favorire un «corridoio lavorativo» a beneficio di apolidi e ai rifugiati residenti in Paesi di primo asilo o di transito.

Il taglio dei servizi. Soprattutto l’Acnur esprime «profonda preoccupazione» per la norma che elimina servizi ai migranti come «supporto psicologico, informazione legale o corsi di lingua italiana». Così, ragiona Cardoletti, non si facilita «lo sviluppo di percorsi di autosufficienza e autonomia dei richiedenti asilo» e si rischia «una loro completa dipendenza dal sistema di accoglienza». Siccome l’esame della domanda di asilo può durare un anno solo in prima istanza), il richiedente resta a lungo in tali strutture, «senza accedere a servizi indispensabili». Un inciso riguarda pure la stretta alla protezione speciale. «Le nuove disposizioni eliminano il riferimento alla vita privata e familiare», rammenta il documento in cui si auspicano procedure veloci per identificare gli apolidi e la necessità di garantire una protezione complementare a persone che, se rispedite nel proprio Paese «rischino una violazione dei propri diritti fondamentali».

Un sogno infranto

A raccontarlo, su La Stampa, è Don Mattia Ferari: “Sperava di trovare una vita degna, il ragazzo ritratto nel video pubblicato sul sito de La Stampa. Dal Camerun è arrivato in Tunisia, ma l’Europa, che lui credeva essere culla dei diritti, ha scelto di respingere le persone che bussano alla sua porta. Il ragazzo è stato così catturato dalla mafia tunisina, che lo tortura perché i suoi parenti inviino un riscatto. Tutto questo avviene perché l’Occidente, che ha depredato e continua a depredare il Sud del mondo, chiude le porte alle persone che migrano in cerca di una vita degna. Lo ha denunciato due anni fa dopo la sua visita a Lesbo il cardinale Jean-Claude Hollerich, attualmente relatore generale del Sinodo Universale dei Vescovi: «In questi anni abbiamo pronunciato bellissime parole sui diritti umani e sui valori europei. C’è gente che ha creduto in quello che stavamo dicendo. Ma arrivati lì, ai confini con l’Europa, si sono accorti che quello che fino ad oggi abbiamo detto erano solo bugie». Questa violenta disumanità raggiunge il suo apice in Libia. Lo ha denunciato a più riprese Papa Francesco, che nell’intervista a Fabio Fazio a «Che tempo che fa» l’anno scorso ha affermato: «Quello che si fa con i migranti è criminale». Nel 2017 l’Italia ha sancito questo sistema con gli accordi con la Libia, nei quali, come ha rivelato Nello Scavo, ai tavoli con l’Italia sedevano superboss della mafia libica, indicati come tali dalle autorità internazionali, Bija e Al-Khoja. In questi anni più di 100 mila persone sono state catturate in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica e deportate nei lager, dove hanno subito quelli che l’Onu definisce «orrori inimmaginabili» e dove molti di loro sono spariti per sempre.

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Ora si rischia che sul fronte tunisino avvenga la stessa cosa. Lo Stato tunisino sta subendo una trasformazione autoritaria e in seguito ai discorsi discriminatori contro i migranti provenienti dall’Africa subsahariana pronunciati dal presidente Kais Saied, il razzismo contro le persone migranti, già esistente in Tunisia, si è intensificato portando a un dilagare della violenza perpetrata ai loro danni. Molte persone sono quindi in fuga, ma l’Europa ha scelto anche in questo caso i respingimenti, appaltandoli alla Tunisia. Solo nel primo trimestre del 2023, 14.963 persone sono state catturate in mare e violentemente riportate indietro.

Il video di questo ragazzo torturato è un monito alle nostre coscienze. Chiediamo che le autorità italiane, europee e internazionali ascoltino il grido che sale dal Mediterraneo e dalle sue sponde. Mediterranea, che ho l’onore di servire come cappellano, insieme a tante realtà della società civile ha scelto di ascoltare questo grido e di porsi concretamente accanto ai nostri fratelli e sorelle migranti, per salvarli dal naufragio e dal respingimento. Continueremo a farlo perché ci muove qualcosa che nessuno può fermare: l’amore viscerale. Sentiamo nel nostro cuore che quelle persone sono nostri fratelli e sorelle e che solo facendo diventare carne questa fraternità attraverso i nostri corpi, ci salveremo, insieme. In questa ora difficile della storia da una parte c’è la bruttezza dei respingimenti, dei risvegli autoritari e patriarcali, del dilagare dell’individualismo neoliberista, dall’altra c’è la bellezza di un’umanità che ha scoperto che la vita si compie nell’amore viscerale e universale: solo chi vive questa bellezza la scopre. L’invito a ogni persona che legge queste righe è di unirsi a questa umanità, in mare e nelle varie città, che pratica il soccorso e l’accoglienza, che costruisce la giustizia e incarna la fraternità. Allora ci salveremo, insieme”.

Un monito alle nostre coscienze, scrive Don Ferrari. Ma i securisti al governo in Italia e in Europa, una coscienza non ce l’hanno. 

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