Turchia al ballottaggio: Il "sultano" Erdogan non sfonda ma allunga le mani sulla riconferma
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Turchia al ballottaggio: Il "sultano" Erdogan non sfonda ma allunga le mani sulla riconferma

Il “sultano” non sfonda. Ma resta in piedi e si appresta ad andare al ballottaggio del 28 maggio da una posizione di relativa forza. 

Turchia al ballottaggio: Il "sultano" Erdogan non sfonda ma allunga le mani sulla riconferma
Sostenitori di Erdogan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Maggio 2023 - 16.46


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Il “sultano” non sfonda. Ma resta in piedi e si appresta ad andare al ballottaggio del 28 maggio da una posizione di relativa forza. 

Lo scenario meno promettente

Annota Futura D’Aprile, tra i giornalisti più attenti e documentati sulla complessa realtà turca, in due analisi per Il Fatto Quotidiano.it e Linkiesta: “Le elezioni in Turchia si sono chiuse con lo scenario meno promettente di tutti: il ballottaggio. A urne chiuse, il candidato dell’opposizione Kemal Kilicadaroglu è arrivato al 45 per cento, mentre il presidente uscente Recep Tayyip Erfogan ha raggiunto il 49,5. Sinan Ogan, esponente del partito ultra-nazionalista, ha conquistato un inaspettato 5 per cento, mentre il candidato di destra Ince, ritiratosi pochi giorni prima ma dopo le votazioni all’estero, ha ottenuto lo 0,5. Nessuno dei due candidati principali ha ottenuto i numeri necessari per vincere, seppur per poco. Il secondo turno è atteso adesso per il 28 maggio, ma le due settimane di campagna elettorale rischiano di avvantaggiare chi è ancora al potere a discapito di un’opposizione che ha saputo catalizzare il dissenso ma che ha meno margine di manovra rispetto al presidente uscente.

Arrivare a un risultato definitivo non è stato semplice. L’opposizione ha contestato i dati ufficiali mentre il presidente uscente ha atteso fino all’ultimo lo spoglio dei voti provenienti dall’estero nella speranza di ottenere quel due percento necessario per la vittoria. Dopo ore di attesa, entrambi i contendenti hanno dovuto ammette di non essere riusciti a vincere al primo turno.

A rendere ancora più complessa la situazione sono state le proiezioni, molto contestate e diffuse ben tre ore prima del previsto. L’agenzia di stampa pro-governativa Anadolu ha riportato fin dall’inizio dati altamente favorevoli nei confronti del presidente, ma le opposizioni hanno risposto rilanciando il loro conteggio e puntando ancora una volta sulla comunicazione via social. I sindaci di Istanbul e di Ankara, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, entrambi esponenti di spicco del partito kemalista di opposizione Chp, hanno messo pubblicamente in dubbio la validità dei dati diffusi dal Comitato elettorale e invitato i loro sostenitori a non lasciare i seggi per assicurarsi che non ci fossero brogli. Lo stesso messaggio è stato diffuso ore dopo da Erdogan, che ha contestato a sua volta le informazioni che venivano diffuse dai suoi avversari, mentre il portavoce del suo partito accusava l’opposizione di non voler accettare un risultato sfavorevole. La sfiducia nei confronti dell’Agenzia Anadolu d’altronde è giustificata: in occasione delle elezioni locali del 2019, il sito fermò per circa 12 ore la pubblicazione dei risultati per non comunicare la vittoria dell’opposizione.

Solo nelle ultime ore di spoglio le proiezioni dei due schieramenti hanno iniziato ad assomigliarsi, confermando lo scenario del ballottaggio nonostante il ritardo causato dal riconteggio chiesto dal partito di governo, l’Akp, in diversi seggi del paese.

Il vantaggio iniziale di Erdogan in realtà era largamente previsto. Le prime città ad essere scrutinate sono state quelle dell’entroterra generalmente fedeli al presidente in carica e che gli hanno confermato ancora una volta il loro sostegno. Con il passare delle ore la differenza tra i due candidati si è progressivamente ridotta e verso mezzanotte Erdogan è ufficialmente sceso sotto il 50 per cento delle preferenze, dopo un picco del 60 per cento. L’opposizione ha impiegato diverse ore per ammettere di non aver ottenuto la vittoria, continuando a mettere in discussione i risultati ufficiali e attendendo lo scrutinio completo dei seggi prima di riconoscere la validità del conteggio ufficiale.

La mancata vittoria al primo turno è stata invece accolta come una notizia a suo modo positiva da Erdogan, che verso mezzanotte è sceso in strada a Istanbul per festeggiare con i suoi sostenitori prima di recarsi ad Ankara. Dalla sede dell’Akpdella capitale, intorno alle 2 locali, il presidente uscente ha nuovamente ringraziato i suoi elettori, ribadendo il successo raggiunto in queste storiche elezioni. Anche l’opposizione ha arringato i suoi elettori promettendo di vincere al secondo turno, ma in questa nuova corsa alla presidenza i due candidati partono da posizioni ben diverse. Il presidente uscente può contare ancora una volta su ingenti risorse economiche pubbliche e ha altre due settimane di tempo per implementare delle misure a sostegno del suo elettorato ed accattivarsi i voti degli indecisi. A pochi giorni dalle prime elezioni, Erdogan aveva garantito gas gratis per un mese e approvato un aumento ulteriore dello stipendio dei dipendenti pubblici, oltre ad aver promesso la costruzione di almeno 300 mila nuove case nelle zone terremotate. Le sue parole, stando ai risultati, hanno effettivamente fatto breccia nel cuore del popolo turco e delle stesse popolazione terremotate, che hanno votato in larga maggioranza per il presidente uscente.

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L’opposizione invece parte più svantaggiata. Kilicdaroglu non ha lo stesso potere di Erdogan e può solo continuare a promettere riforme democratiche e una ripresa dell’economia, come perfettamente riassunto nel suo slogan “Sana Sozu”, “Te lo prometto”. Per l’opposizione sarà anche difficile mantenere alto il morale dei propri sostenitori, che speravano in una vittoria al primo turno e nell’avvio di un processo di cambiamento ancora una volta rimandato a data da destinarsi.

A scoraggiare gli elettori dell’opposizione potrebbe essere anche il risultato delle elezioni parlamentari. L’alleanza formata dal partito di Erdogan e dai nazionalisti del Mhp ha ottenuto il 49 per cento delle preferenze contro il 35 per cento dell’alleanza formata dai kemalisti (Chp) e dal secondo partito dell’opposizione, l’Iyi Parti. Anche lo Yesil Sol (Ysp), la Sinistra verde sotto cui sono confluiti i filo-curdi dell’Hdp, ha raggiunto solo il 10 per cento delle preferenze confermando il dato del 2019 e ottenendo 61 seggi anziché cento come inizialmente sperato. L’Ysp ha registrato una vittoria schiacciante nel sud-est a maggioranza curda, che già poche ore dopo l’avvio dello spoglio festeggiava la vittoria, ma non è riuscito a espandere il suo bacino elettorale in altre aree del paese. In ogni caso il sostegno dei curdi al candidato dell’opposizione è stato decisivo e continuerà ad esserlo anche al secondo turno. Le prossime due settimane riserveranno certamente molte sorprese, ma è il rischio è che ad avere la meglio dopo mesi di campagna elettorale così serrata siano la stanchezza e il senso di impotenza, a tutto vantaggio del Sultano. Il voto del 14 maggio però ha dimostrato che il futuro della Turchia è ancora tutto da scrivere e che è bene non dare nulla per scontato fino all’ultimo minuto”.

Quanto all’analisi territoriale del voto, D’Aprile rimarca: “Il presidente uscente ha raggiunto ottimi risultati nell’Anatolia centrale e lungo la costa del Mar Nero, zone storicamente fedeli all’Akp, mentre Kilicdaroglu, ha potuto contare sul sostegno delle città della costa egea e mediterranea e del Sud-Est a maggioranza curda, grazie ai voti dello Yeşil Sol e dell’Hdp. Il supporto dei filo-curdi dunque si è rivelato fondamentale per l’opposizione, come largamente anticipato, e lo sarà ancora di più al prossimo ballottaggio.

Adesso l’obiettivo di entrambi gli sfidanti è quello di rafforzare la propria base elettorale e cercare di limitare la fuga di voti. La campagna elettorale degli ultimi mesi è stata molto stancante non solo per i candidati, ma anche per i cittadini e un secondo turno potrebbe essere percepito più come una delusione che come uno stop momentaneo alla vittoria del proprio partito di riferimento.

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È difficile immaginare un’affluenza altrettanto alta per il secondo turno e a partire svantaggiata in questa nuova corsa elettorale è proprio l’opposizione. Il messaggio di Kilicdaroglu, si è basato sulla promessa di un cambiamento che non è ancor arrivato e che potrebbe non arrivare mai, se non correttamente raccontata. Per l’opposizione, dunque, è importante riuscire a mantenere alto il morale dei propri elettori e rinsaldare ulteriormente la propria base elettorale”.

 L’ago della bilancia00:01 / 00:30

Uno dei personaggi più importanti del ballottaggio per le elezioni presidenziali potrebbe essere Sinan Ogan, un politico nazionalista che si è piazzato terzo al primo turno elettorale di domenica: ha ottenuto poco più del 5 per cento dei voti, ma poiché i due principali candidati sono molto vicini è possibile che Ogan avrà un ruolo decisivo nelle prossime settimane.

Questo è il ritratto-analisi de il Post: “Ogan è un politico di destra e molto nazionalista. Appartiene alla destra secolare e ha posizioni molto rigide su immigrazione e accoglienza dei profughi (in particolare i milioni di siriani che ancora vivono in Turchia dopo essere scappati dalla guerra civile nel paese), contro le minoranze curde e sul mantenimento dei valori tradizionali e conservatori turchi.

Il suo cartello elettorale, che si chiama Alleanza ancestrale (Alleanza Ata), è composto da cinque partiti nazionalisti molto piccoli che alle elezioni parlamentari (si tenevano in concomitanza con quelle presidenziali) hanno ottenuto appena un deputato. Lo stesso Ogan ha ottenuto un risultato che in termini assoluti è piuttosto limitato: appena il 5 per cento dei voti. ma questo 5 per cento è comunque notevole, considerata la polarizzazione della politica turca, e potrebbe essere sufficiente per rendere decisivi gli elettori di Ogan.

Per affinità ideologiche, Ogan dovrebbe essere più vicino a Erdogan, che pur essendo un leader islamico è un conservatore e un nazionalista, piuttosto che a Kilicdaroglu, un leader moderatamente di centrosinistra. In realtà le cose sono più complicate, perché la carriera politica di Ogan è stata segnata dalla decisione di rifiutare un’alleanza del suo vecchio partito, l’Mhp, proprio con il partito Akp di Erdogan.

Per gran parte della sua carriera politica, Ogan è stato uno dei massimi dirigenti dell’Mhp, il partito della destra secolare e nazionalista turca, guidato dall’anziano Devlet Bahceli, una delle figure storiche della destra in Turchia. Nel 2015 Ogan era il vicesegretario del partito e l’Mhp era una forza politica saldamente all’opposizione contro Erdogan, che era sì un leader conservatore ma anche un leader islamista, contrario ai valori laici proposti dall’Mhp. Ma dopo le elezioni del giugno del 2015 le cose cambiarono.

A quelle elezioni, per la prima volta l’Akp, il partito di Erdogan, non ottenne la maggioranza assoluta e si fermò al 40 per cento dei voti. Le opposizioni, che erano composte dal Chp (il partito di Kilicdaroglu) dall’Mhp (il partito di Bahceli e di Ogan) e dall’Hdp (il principale partito della minoranza curda), avrebbero per la prima volta potuto formare un’alleanza per cacciare Erdogan dal potere. I negoziati però fallirono perché l’Mhp e l’Hdp, due partiti storicamente avversari, non riuscirono a trovare un accordo. Le elezioni furono ripetute nel novembre del 2015, e l’Akp di Erdogan questa volta riuscì a ottenere un’ampia maggioranza in parlamento.

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L’Mhp invece subì una grave sconfitta e tra le elezioni di giugno e quelle di novembre perse 40 deputati. Bahceli, il leader del partito, decise a quel punto di abbandonare il campo dell’opposizione e di allearsi con Erdogan. Questa decisione provocò un’enorme rivolta interna tra i dirigenti del partito, tra cui Ogan e Meral Aksener, un’altra importante leader nazionalista: tutti erano contrari a stringere un’alleanza con Erdogan.

I rivoltosi forzarono un congresso straordinario, che però persero. Bahceli rimase leader dell’Mhp, e i rivoltosi furono espulsi o costretti ad andarsene. Ogan cercò di rimanere dentro al partito, facendo causa alla sua dirigenza, ma dopo alcuni mesi fu comunque espulso e perse il suo seggio parlamentare.

Da quel momento, il movimento nazionalista turco si è diviso in più parti: una maggioranza consistente è rimasta nell’Mhp, che negli anni si è trasformato in un fedelissimo alleato di Erdogan. Meral Aksener ha fondato il suo partito nazionalista, il partito Iyi, che ha partecipato all’alleanza dell’opposizione contro Erdogan e sostenuto Kilicdaroglu alle elezioni di domenica.

Ogan è stato relativamente meno visibile negli ultimi anni, fino a che a marzo non è stato candidato alla presidenza dall’Alleanza ancestrale. In campagna elettorale Ogan ha mantenuto una posizione equidistante sia da Erdogan sia da Kilicdaroglu, ma secondo le prime analisi i suoi elettori sarebbero soprattutto elettori dell’Akp scontenti nei confronti dell’amministrazione di Erdogan.

Non è chiaro per ora se Ogan darà il proprio appoggio a uno dei due candidati. Non è nemmeno chiaro in realtà se Ogan controlli davvero i 2,7 milioni di persone che l’hanno votato, o se, come ritengono alcuni analisti, il voto a suo favore sia stato soprattutto un voto di protesta, quindi piuttosto volatile.

Nei giorni precedenti alle elezioni Ogan aveva comunque imposto alcune condizioni, la più importante delle quali era l’eliminazione di tutti i partiti filo curdi dalla vita politica turca. Questo renderebbe complicata un’alleanza con Kilicdaroglu, che è sostenuto in maniera non ufficiale dal partito curdo Hdp. D’altro canto, Ogan ha definito la sua carriera sul rifiuto a un’alleanza con Erdogan, e anche questo potrebbe pesare”.

Viste dall’esterno

“La Turchia è un partner importante per noi e l’elevata partecipazione elle elezioni è un’ottima notizia, perché fa capire che il popolo vuole esercitare il proprio diritto democratico. Attendiamo la seconda tornata e vedremo”.
Lo ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in conferenza stampa, rispondendo ad una domanda sulle elezioni in Turchia di domenica scorsa.
“È importante elogiare il popolo turco per la sua partecipazione”, ha aggiunto Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. 

La Russia si aspetta che, indipendentemente dal risultato delle elezioni in Turchia, la cooperazione tra Mosca e Ankara “continuerà, si approfondirà e si espanderà”. Così il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato dalle agenzie russe. 

L’Iran ha definito le elezioni in Turchia “una vittoria per la democrazia”, congratulandosi con Ankara per l’affluenza alle urne, che ha sfiorato il 90%. “Nelle elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia di domenica, l’alta affluenza è un segno della vittoria per la democrazia nel Paese musulmano”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani, come riporta il governo di Teheran. 

Dichiarazioni “interlocutorie” che proprio per questo danno conto di una reale incertezza, nella comunità internazionale, su chi uscirà vincitore nel ballottaggio. Il “Sultano” o “Gandhi”. 

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