Partiti e oppositori fuorilegge, stampa imbavagliata, sindacati alla sbarra: l'inverno di Tunisi
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Partiti e oppositori fuorilegge, stampa imbavagliata, sindacati alla sbarra: l'inverno di Tunisi

Con il consenso codardo e strumentale dell’Europa e, in prima fila, dell’Italia arriva l’inverno tunisino. La gelida fine di quella “primavera” fiorita con la “rivoluzione dei gelsomini”.

Partiti e oppositori fuorilegge, stampa imbavagliata, sindacati alla sbarra: l'inverno di Tunisi
Tajani e Kais Saied
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19 Aprile 2023 - 18.41


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Governare riempendo le carceri di oppositori. Eliminare i partiti politici, arrestandone i leader, militarizzare il paese. Bettere il bavaglio alla stampa indipendente, criminalizzare le organizzazioni della società civile, a cominciare dai sindacati.  Con il consenso codardo e strumentale dell’Europa e, in prima fila, dell’Italia. E’ l’inverno tunisino. La gelida fine di quella “primavera” fiorita con la “rivoluzione dei gelsomini”.

Come Erdogan e al-Sisi

E’ la strada imboccata dal presidente-autocrate della Tunisia, Kais Saied, che tanto piace ai sovranisti di Roma. 

L’arresto del leader del partito islamico tunisino Ennhahda Rached Ghannouchi “è un abuso contro e la sua persona e tutti i politici tunisini”. Così Mondher Lounissi di Ennhadha ha definito in una conferenza stampa notturna i fatti che hanno portato all’arresto di Ghannouchi su ordine della procura antiterrorismo per il suo discorso incendiario di sabato scorso, quando aveva sostenuto che in Tunisia “ogni tentativo di eliminare una delle componenti politiche non può che portare alla guerra civile” Secondo Lounissi, Ghannouchi è stato già una dozzina di volte davanti alle brigate di sicurezza ed è sempre stato molto collaborativo.   “L’arresto di Ghannouchi non risolverà i problemi del Paese.   Ennahdha è un partito civile che lavora secondo la legge e in totale trasparenza”, ha aggiunto. “Non c’è niente di ufficiale, ci sono solo speculazioni sulle cause dell’arresto di Ghannouchi. Tutto quello che sappiamo è che è stato arrestato da una brigata antiterrorismo. È inaccettabile perseguire i politici sulla base della legge antiterrorismo, soprattutto quando le accuse riguardano le sue dichiarazioni. Anche ai suoi avvocati è stato vietato di vederlo. Le autorità sono responsabili della sicurezza di Ghannouchi. Ennahdha affronta una nuova ingiustizia in questo Paese. Eppure questo partito ha il diritto di esistere e di fare politica”. 


Secondo Arbaoui, leader del movimento, Rached Ghannouchi si batte per la democrazia da più di 50 anni e il suo nome è legato da dieci anni alla transizione democratica in Tunisia. “Le autorità non rispettano i loro cittadini e le figure politiche nemmeno per il loro ruolo simbolico” ha detto. Secondo Arbaoui anche altre persone vicine al leader sarebbero state arrestate. 


Negli ultimi mesi le autorità tunisine hanno compiuto una lunga serie di arresti nei confronti di critici di alto profilo di Kais Saied, tra cui politici, giudici, sindacalisti, imprenditori e giornalisti. Una feroce repressione che ha costretto molti a fuggire all’estero.

Una deriva autoritaria contro la quale si è pronunciato a marzo anche il parlamento europeo con una risoluzione di condanna che esorta le autorità «a rilasciare tutte le persone detenute arbitrariamente, a rispettare la libertà di espressione e associazione e i diritti dei lavoratori», chiedendo a Saied di porre fine alla «repressione in corso contro la società civile» e alla «strumentalizzazione della terribile situazione socio-economica della Tunisia per invertire la storica transizione democratica».

Eletto nel 2019, Saied ha assunto i “pieni poteri” nel luglio 2021, quando ha chiuso il parlamento, ha destituito il governo ed è passato a governare per decreto, prendendo il controllo della magistratura. Ha poi riscritto la Costituzione affermando che le sue mosse radicali erano necessarie per salvare il paese dal caos.

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La crisi sociale ed economica si è invece di molto aggravata, portando la popolazione alla disperazione. Chi può tenta la fuga via mare, altri restano per portare avanti la protesta contro il regime e la brutalità delle forze di sicurezza. Come il 35enne calciatore professionista Nizar Issaoui che il 10 aprile si è dato fuoco davanti alla sede della polizia di Hafouz, nel governatorato centrale di Kairouan, dove si era recato per denunciare un aumento fraudolento dei prezzi della frutta, finendo per essere accusato di terrorismo.

L’inverno tunisino 

Di grande interesse è il dettagliato report di Gino Lanzaro per difesaonline.it. “Dall’esordio delle Primavere arabe annota l’autore – la Tunisia ha assunto un ruolo significativo in funzione della ricerca del consenso tra forze islamiste e componenti laiche, consistente inizialmente in un dialogo capace di evitare le spirali che, in altri Paesi, hanno condotto a conflitti civili o a dittature militari. Da qui la formazione di governi di coalizione che si speravano capaci di bilanciare e soddisfare le istanze delle varie parti sociali; una costituzione approvata quasi all’unanimità, e le estese coalizioni politiche che fino al 2019 hanno tentato di governare il Paese, hanno tuttavia ingenerato il dubbio che un consenso politico sovradimensionato costituisca un’anomalia.

È stata probabilmente la continua ricerca del consenso che ha indotto a tralasciare le problematiche connesse alla giustizia, alla revisione del settore della sicurezza, alle riforme economiche strutturali ed istituzionali. Di fatto, la costante presenza di governi di unità nazionaleha comportato l’assenza di un’opposizione efficace, cooptata nella maggioranza, secondo un paradigma che ha mantenuto desta la disillusione sociale nei confronti di una difficile democratizzazione.

L’aumento dell’inflazione, la crescita di deficit e debito pubblico, l’alto livello di disoccupazione ed il calo del PIL, hanno contribuito alla perdita di fiducia nei confronti del governo democratico. I partiti sono dunque rimasti deboli, espressioni di un’attività politica incapace di consolidare il rapporto con l’elettorato. Anche Ennahda, formazione dominatrice nel periodo post rivoluzionario, non è riuscita ad imporsi con governi solidi in grado di attuare le riforme necessarie.

Secondo Yussef Cherif, analista tunisino, la democrazia si è trasformata in sinonimo del collasso dello Stato. Di fatto, i governi del consensohanno rinviato sine die la soluzione delle tensioni laico-islamiste, cosa che ha determinato l’ascesa di nuove formazioni. Paradossalmente, il consenso ha reso difficile la formazione di esecutivi validi, la cui carenza è divenuta espressione di una debolezza istituzionale profonda, collegata alle difficoltà di esprimere e guidare dialetticamente una reale opposizione. Il ritorno all’autoritarismo è dunque il risultato di un processo durato anni, culminato con l’elezione, nel 2019, del populista Kais Saied, che ha attuato una graduale e costante eliminazione delle libertà ottenute dopo la Primavera araba.

A suo tempo, anche il Partito Libero Destouriano, laico ed ispirato a Bourghiba, ha chiesto che Ennahda fosse incluso, con la sua dirigenza, nella lista delle organizzazioni terroristiche. Non è un caso che le consultazioni elettorali tunisine siano state ultimamente caratterizzate da astensionismi marcati, come è indicativo il fatto che la coalizione di opposizione al presidente Saied, il cosiddetto Fronte della Salvezzache include il movimento islamista Ennahda, non sia riuscita nell’intento di riaprire i giochi malgrado si trattasse, nel dicembre scorso, delle prime elezioni legislative da quando il parlamento è stato sospeso.

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Visto che i nuovi regolamenti accantonano i partiti, gran parte delle formazioni politiche, ritiratesi in una sorta di Aventino, hanno boicottato le elezioni qualificando l’operato di Saied come un colpo di stato. Ed è in questo contesto che si inquadra l’odierno arresto di Rached Ghannouchi, su cui si dovrà esprimere la magistratura, leader di Ennahda, il partito islamico, un provvedimento che definisce ancor più marcatamente la svolta presidenzialista di Saied, legittimata dalla nuova Costituzione, che annulla definitivamente qualsiasi forma di opposizione, che rende ancora più instabile il Paese.

Sullo sfondo, la drammatica trattativa in corso con il Fmi per ottenere quasi 2 miliardi di dollari di aiuti, una trattativa comunque resa più aspra dalle dichiarazioni dello stesso Saied, che ha apertamente parlato di diktat esteri, negando di fatto le riforme richieste, ovvero la riduzione dei sussidi energetici e alimentari, la ristrutturazione delle aziende pubbliche e la riduzione della massa salariale pubblica, quali garanzie e condizioni per ottenere il prestito.[…]Di fatto, passate le Primavere si potrebbe dire che sia arrivato l’inverno arabo, visto che proprio la Tunisia era il paese che sembrava offrire le migliori chance di democratizzazione. Ma lo abbiamo detto: non tutto ha funzionato secondo gli auspici, specialmente ora che il conflitto ucraino si è riverberato fin sulle sponde settentrionali africane, e mentre il Sudan, dimenticato Abramo e i suoi accordi, ha ripreso in queste ore la strada della guerra civile, avendo sullo sfondo il riavvicinamento diplomatico tra Iran e Arabia Saudita.

Gli Usa, a lungo riluttanti ad esercitare pressioni dirette su Saied, hanno probabilmente percepito la stanchezza di una società in piena ripulsa per le lotte interne di potere e per l’inconsistenza di un Parlamento incapace di risolvere i problemi economici, pur cominciando ad esercitare pressioni perché gli aiuti finanziari non agevolino un regime sempre più chiuso e rigido. Sarebbe dunque opportuno interrompere il processo di consolidamento del potere, ma le alternative in sostituzione non sembrano essere né molte né immediatamente efficaci. In ogni caso il segretario di Stato americano Blinken, ha chiarito che nessun aiuto americano sarà ripristinato a meno che Saied non torni sui suoi passi, confidando per questo anche sul sostegno politico europeo.

Il piano di spesa Usa per la Tunisia per il 2024 prevede 68,3 milioni di dollari rispetto ai 106 milioni richiesti per il 2023.

Tuttavia, se da un lato non si può non rimarcare la condanna espressa a seguito delle dichiarazioni xenofoberilasciate dal presidente in merito alla presunta cospirazione da parte dei migranti sub sahariani intenzionati, a suo dire, a modificare la demografia tunisina, dall’altro non si può nemmeno dimenticare l’importanza attribuita dagli Usa all’esercito tunisino sia nel suo contrasto al fondamentalismo islamico, in un momento in cui intelligence e Pentagono cercano di contenere l’espansione della Wagner in Africa, sia nell’attribuirgli una preziosa ed imparziale apoliticità.

Nel complesso, sarebbe auspicabile che gli Usa riuscissero ad adottare una politica ponderata e capace di contestualizzazione, senza cioè prendere decisioni avventate e capaci di aprire ulteriori fronti in un’area giù di per sé instabile. Oltre alle negoziazioni con il Fmi, sarebbe auspicabile integrare l’azione finanziaria con decise iniziative politiche che riconducano quanto meno ad una parvenza democratica; gli Usa ed i paesi europei, in quanto azionisti Fmi, possono costringere i funzionari del fondo a mettere in pausa i colloqui, tenuto conto che, con l’economia in caduta libera, la Tunisia ha un bisogno disperato dei suoi partner occidentali, malgrado gli ammiccamenti al Brics che, al di là delle benevole espressioni di facciata, molto difficilmente farebbe sedere al suo tavolo un giocatore così insolvente e così bisognoso di Ovest; Algeria ed Egitto, da tempo desiderosi di accedere a possibilità finanziarie non occidentali, sono ancora in attesa di ritirare le loro fiches.

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Proporsi per un’altra partita così articolata e complessa verso i Brics sembra dunque rivelarsi solo un tentativo di pressare i controllori dei cordoni della borsa, tanto più che l’ufficialità della richiesta non sembra nemmeno essere così chiara e confermabile; il fatto che l’ambasciatore cinese abbia annunciato che Pechino sostiene i negoziati Fmi della Tunisia, come del resto Arabia Saudita ed EAU, dovrebbe far riflettere.

Ma in un gioco politico così esteso e complesso Ghannouchi, che si è sempre dichiarato innocente, è politicamente del tutto privo di responsabilità prima dell’ascesa al potere di Saied, a cui sicuramente si deve addebitare un’azione accentratrice senza precedenti? In proposito è utile risalire al 2013, all’assassinio di Chokri Belaid, leader di sinistra, ostile alla Fratellanza Musulmana, ed alle conseguenti implicazioni che hanno coinvolto Ennahda.

Il timore di un collasso economico irreversibile ha scosso anche diversi leader UE, timorosi che si possa generare un ulteriore flusso incontrollato di migranti; non a caso il ministro degli esteri Tajani, ha promesso che l’Italia collaborerà con il FMI in previsione di più significativi ed auspicabili investimenti.

In sintesi, non si può giustificare alcuna involuzione politica di stampo autoritario, anche peraltro alla luce delle conseguenze di cui già ora è foriera, sia all’interno del Paese sia verso il contesto internazionale; non c’è però dubbio che le radici del dissesto istituzionale affondino nel tempo e nell’incapacità di offrire soluzioni e proposte da parte delle espressioni politiche di volta in volta sul proscenio.

Se l’autocrazia di un professore di diritto, basata sulla retorica anticolonialista, non può essere una risposta, nel tempo non lo è stata nemmeno la politica post Primavere adottata dai partiti in auge.

Lo stato di estremo bisogno sociale, uno stato di default economico imminente, uno stato di invocata necessità istituzionale, accompagnati dalla delusione popolare verso la politica, possono condurre ad un equilibrio proprio del periodo caratterizzato dalla presidenza di Ben Alì.

L’arresto di Gannouchi può essere solo una delle ultime tappe di un iter politico drammatico, ancora una volta fin troppo vicino, dopo quello libico, alle nostre coste”.

Così stanno le cose. Ma a Roma pensano di risolverle finanziando l’autocrate di Tunisi perché si trasformi in un altro “gendarme del Mediterraneo. 

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