Putin-Assad, patto tra criminali di guerra: quando un mandato d'arresto per il macellaio di Damasco?
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Putin-Assad, patto tra criminali di guerra: quando un mandato d'arresto per il macellaio di Damasco?

La “pax siriana” targata Vladimir Putin, il grande sponsor del “macellaio di Damasco”, al secolo Bashar al-Assad. Il presidente siriano è volato a Mosca per omaggiare il suo salvatore. E giurargli eterna gratitudine. 

Putin-Assad, patto tra criminali di guerra: quando un mandato d'arresto per il macellaio di Damasco?
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Marzo 2023 - 17.48


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La “pax siriana” targata Vladimir Putin, il grande sponsor del “macellaio di Damasco”, al secolo Bashar al-Assad. Il presidente siriano è volato a Mosca per omaggiare il suo salvatore. E giurargli eterna gratitudine. 

Il “macellaio” ai piedi dello zar

“Voglio cogliere l’occasione della mia prima visita” in Russia “dall’inizio dell’operazione speciale in Ucraina per ribadire la posizione siriana a sostegno di questa operazione contro i vecchi e nuovi nazisti”. Si è espresso così il leader siriano Bashar al Assad, confermando il suo sostegno al presidente russo Vladimir Putin. “Parlo di vecchi e nuovi nazisti perché l’Occidente ha accettato i vecchi nazisti sulla sua terra e ora li sostiene di nuovo”, ha detto Assad, secondo le dichiarazioni riportate dall’agenzia Tass.

Il sostegno di Damasco a Mosca non è solo per l'”amicizia” tra i due Paesi, ma per una necessità urgente di “stabilizzazione” a livello mondiale. “Altrimenti – ha affermato – il mondo sarebbe sul punto del collasso”.

Ménage a tre

Ne scrive Giuseppe Didonna in un documentato report per l’Agi: “ Il presidente russo Vladimir Putin ha ospitato in questi giorni il leader del governo siriano, Bashar al-Assad a Mosca. Una due giorni di incontri mirati a spingere Damasco verso Ankara, con l’obiettivo di favorire una riconciliazione con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con cui i rapporti sono fermi al 2011, inizio della guerra in Siria. Alla due giorni di incontri hanno partecipato anche delegazioni di Turchia e Iran. In programma anche un incontro tra viceministri degli Esteri di Turchia e Siria, un passo in avanti nei rapporti tra i due Paesi, in continuità con il faccia a faccia tra ministri della Difesa avvenuto a fine dicembre, primo e unico incontro interministeriale dal 2011, sempre con la mediazione di Mosca. I colloqui di questi giorni mirano a preparare il terreno per un incontro tra ministri degli Esteri di Siria e Turchia, da pianificare alla presenza dei capi della diplomazia di Russia e Iran. Assad chiede in cambio il sostegno di Putin per spingere fuori dal Paese tutti i contingenti militari stranieri, con l’eccezione della forza russe e siriane, da sempre schierate con Damasco.

Una condizione che si scontra con i piani degli Usa. La scorsa settimana l’ambasciatore americano in Turchia è stato convocato presso il ministero degli Esteri turco, infastidito non poco dal viaggio nel nord est della Siria effettuato dai vertici dell’esercito Usa, che hanno incontrato esponenti dell’organizzazione separatista curda Ypg.

Proprio questi ultimi rappresentano il nodo da sciogliere con Ankara. Per la Turchia si tratta di terroristi che minacciano la sicurezza e i confini. L’alleanza tra gli americani e i curdi di Ypg è però indigesta non solo a Damasco, ma anche a Mosca e ad Ankara. Erdogan ha insistito nei mesi scorsi per la costituzione di una zona cuscinetto profonda 30 km all’interno del territorio siriano. Un obiettivo per il quale il governo turco è stato più di una volta pronto a sferrare un attacco con l’esercito, salvo scontrarsi con il veto di Mosca e Washington.

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La mediazione di Putin, che può contare anche sulla benedizione della Cina, punta a eliminare la presenza americana in nord Siria, dove i marines hanno un contingente da 8 anni che al momento conta circa 900 uomini. Scartata l’opzione militare, Erdogan si è trovato costretto a riaprire la porta ad Assad per poter eliminare Ypg dai propri confini. Tuttavia sulla riconciliazione con il regime di Damasco continuano a pesare seri interrogativi.

Il primo riguarda il sostegno che la Turchia garantisce dall’inizio del conflitto a gruppi ribelli che combattono contro Assad. Gruppi nelle cui mani Erdogan ha messo intere porzioni di territorio nel nord del Paese o che controllano parte della regione di Idlib, al confine turco. Altro interrogativo riguarda le garanzie che Erdogan chiede per il ritorno dei profughi siriani in patria.

Con le elezioni alle porte e un’opposizione che punta sull’intolleranza della popolazione nei confronti dei siriani, Erdogan ha ribadito che non caccerà via nessuno (come promette il suo sfidante) ma promesso un “ritorno volontario” di almeno 1 milione di profughi. Obiettivo difficilissimo, ma che sarebbe del tutto impossibile senza il via libera di Assad.

Il dittatore di Damasco e le sue famigerate prigioni costituiscono il motivo principale per cui i siriani non tornano in patria e solo un accordo di pace renderebbe possibile il “ritorno volontario” che Erdogan auspica in vista delle elezioni e che altrimenti non sarebbe neanche ipotizzabile”. 

Un possente j’accuse

E’ quello lanciato, nel suo blog su il Fatto Quotidiano, lo scrittore siriano Shady Hamadi: “La Siria è lo scheletro nell’armadio di Occidente e Oriente. Proprio per questo motivo, la Siria non esiste. Non può avere una voce nel dibattito mondiale. Non può far sentire la sua voce, quella dei suoi morti e dei figli e figlie che l’abbandonano, perché, altrimenti, questo significherebbe riconoscerla. E il riconoscimento si trasformerebbe in una ammissione di colpa per quello che non è stato fatto.

Il 15 marzo di dodici anni fa dei ragazzini, a Dara’a, città sperduta della Siria del sud, scrivevano su di un muro ‘il popolo vuole la caduta del regime’. Subito vennero arrestati e torturati, nonostante fossero appena adolescenti. Ma si sa, in Siria insultare il presidente, padre della patria e di tutti i sudditi, significa mettere a rischio la propria vita. Per questo motivo la gente scese in piazza, chiedendo la fine della dittatura e la conseguente apertura del paese alla democrazia. A queste richieste, il regime rispose con una violenza inaudita che scatenò la guerra civile. Guerra alla quale presero parte anche potenze internazionali, finanziando o intervenendo con scarponi da una e dall’altra parte. In questo marasma è avvenuto poi che si sia buttato fango su quei giovani ragazzi e ragazze che erano scesi a chiedere il cambiamento in una maniera pacifica.

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E siamo ad oggi, dove un paese dilaniato dalla morte non riesce ad ottenere attenzione. Anzi, sembra percorrere la strada della normalizzazione e cioè il ripristino dei rapporti diplomatici con Bashar al-Assad, dittatore sanguinario. Non è sull’agenda di nessuno stato quella di portare il macellaio di Damasco, il torturatore di una nazione, davanti ad un gran giurì. Se ciò accadesse, bisognerebbe chiedere come mai ci sia voluto cosi tanto e perché gli si sia lasciato adoperare armi chimiche e bombe a grappolo ininterrottamente per anni. E questa sarebbe una domanda scomoda per tutte quelle nazioni e governi che dicono di aver a cuore la Siria ma che, in verità, preferiscono scegliere di lasciar fare e osservare gli avvenimenti.

In nome di questa colpa – quella di non aver fatto nulla – lasciamo la Siria morire o ci dovremmo ritenere responsabili. Dodici anni sono stati un lungo tempo per scegliere cosa fare. Ma rimane ancora oggi evidente che scegliamo di nascondere ogni cosa sotto il tappeto. E della Siria? Chissenefrega”.

L’accusa di Hamadi è rivolta all’Occidente, agli Stati Uniti, all’Europa, a quanti potevano agire e non l’hanno fatto quando Bashar al-Assad, dodici anni fa, decise di dichiarare guerra al popolo siriano “reo” di essere sceso nelle strade, sull’onda delle “Primavere arabe”, per reclamare giustizia, diritti,  libere elezioni. L’Occidente che non ha mosso foglia, se non dichiarazioni di condanna mai seguite da atti conseguenti, quando l’esercito di Assad utilizzava armi chimiche contro la popolazione civile. L’Occidente che ora non arrossisce di vergogna quando licenzia un comunicato che parla di pace e detta le condizioni per normalizzare le relazioni con Damasco. 

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Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito hanno ribadito che non normalizzeranno le relazioni con la Siria fino a quando non vi saranno “progressi autentici e duraturi verso una soluzione politica al conflitto”. È quanto emerso in una dichiarazione congiunta rilasciata in occasione del 12esimo anniversario dello scoppio del conflitto siriano. “Mentre assistiamo al 12esimo anniversario dell’inizio di questo orrendo conflitto da parte del regime di Bashar al-Assad, e mentre affrontiamo conflitti in altre parti del mondo, la difficile situazione del popolo siriano deve rimanere in primo piano”, hanno ribadito i quattro Paesi, evidenziando come circa 250 mila civili siriani siano stati uccisi nel corso della guerra, “la stragrande maggioranza da parte dal regime di Assad”. “Il conflitto in corso ha creato un ambiente favorevole per terroristi e trafficanti di sostanze stupefacenti, minacciando ulteriormente la stabilità regionale”, si aggiunge nella dichiarazione ripresa dal sito del governo britannico.

“Mentre ci concentriamo sull’affrontare i bisogni umanitari immediati a seguito dei tragici terremoti, ricordiamo i nostri obiettivi comuni di far avanzare un processo politico facilitato dalle Nazioni Unite e guidato dalla Siria, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e di migliorare la situazione sul campo per milioni di siriani, compresa la situazione degli sfollati interni e dei rifugiati. Rimaniamo impegnati a sostenere la società civile siriana e a porre fine alle violazioni dei diritti umani e agli abusi che il popolo siriano ha subito – a causa del regime di Assad e di altri – molto prima che i terremoti colpissero il Paese”, si legge nel testo.

Si sono lavati la coscienza. Vergogna. 

Al-Assad ha vinto la guerra. A gestire le sorti del paese saranno Russia, Iran e Turchia, con gli Usa aggrappati alle ambiguità di Ankara. L’Occidente non conta più nulla, anzi subirà l’aumento della pressione migratoria. Pure l’arma economica è spuntata. 

E’ il sommario dell’analisi di Fabrice Balanche su Limes. Il titolo è: “In Siria l’Occidente ha perso”. L’articolo è del 2 maggio 2018. Sembra scritto oggi. 

Post Scriptum La Corte Penale Internazionale ha emesso il mandato d’arresto per Vladimir Putin. Lo zar del Cremlino secondo l’accusa sarebbe responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale bambini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa. Bene. C’è un giudice a l’Aia. Quanto a crimini di guerra, Bashar al-Assad non è da  meno del suo sponsor russo. Quando il mandato d’arresto per il “macellaio” di Damasco?

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