Afghanistan dimenticato: un paese dove anche il diritto alle cure sta morendo
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Afghanistan dimenticato: un paese dove anche il diritto alle cure sta morendo

lo stato della sanità in Afghanistan. L’accesso alle cure, già provato da decenni di guerre e povertà, è diventato ancor più difficile tra il 2021 e il 2022 con il ritorno dei talebani al potere

Afghanistan dimenticato: un paese dove anche il diritto alle cure sta morendo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Febbraio 2023 - 17.22


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I riflettori mediatici si sono spenti. L’Afghanistan non fa più notizia. Per l’informazione mainstream. Ma non per Globalist. Siamo in ottima, anche se ristretta, compagnia. Pochi ma buoni, verrebbe da dire. La “compagnia” di quelli che non chiudono gli occhi di fronte allo scempio di diritti, umani, sociali, culturali, civili, di genere, che quotidianamente si consuma nel “regno” dei talebani. 

L’Afghanistan, dove anche il diritto alle cure sta morendo.

A darne conto, su Avvenire, è Angela Napoletano. “Sempre peggio. È lo stato della sanità in Afghanistan. L’accesso alle cure, già provato da decenni di guerre e povertà, è diventato ancor più difficile tra il 2021 e il 2022 con il ritorno dei talebani al potere. La denuncia arriva dall’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere che in rapporto pubblicato ieri descrive un sistema, prigioniero di barriere permanenti, che riesce a «malapena a rimare a galla».

Il dossier, il terzo della serie sull’Afghanistan, è il risultato di un’indagine realizzata tra maggio e agosto 2022 nelle province di Kabul, Kandahar, Khost, Helmand e Herat su circa 200 persone. Non solo pazienti ma anche medici, infermieri e assistenti di stanza negli ambulatori o negli ospedali afghani per conto del ministero della Sanità o della stessa associazione. Operatori in grado di confrontare la situazione odierna con quella di qualche anno fa. I risultati parlano di un «grave peggioramento». «I bisogni sanitari continuano ad aumentare – sintetizza – mentre la situazione sociale, politica ed economica continua a deteriorarsi». La popolazione afghana non è estranea alle miserie causate da 40 anni di conflitti, disastri naturali ed epidemie. Ma i cambiamenti sociali e politici intervenuti nel 2021 con il ritiro degli Stati Uniti le hanno aggravate. L’aumento della disoccupazione, per esempio, ha ridotto le entrate delle famiglie provocando, a catena, casi di grave malnutrizione e infezioni. Il morbillo, è noto, ha ucciso centinaia di bambini afghani. L’indigenza economica e la debolezza fisica, ancora, hanno reso la popolazione più vulnerabile anche al gelo estremo che a fine gennaio ha ucciso almeno 162 persone. Msf segnala che il 97,5% degli intervistati ha avuto accesso all’assistenza sanitaria solo grazie a un prestito o alla vendita di una proprietà. Nel 2021 erano il 20% in meno.

La percezione di una maggiore sicurezza nel Paese ha incoraggiato gli spostamenti verso le strutture sanitarie ma lo stesso viaggio è una spesa che non tutti si possono permettere. Agli ambulatori di Msf sono arrivati pazienti con malattie trascurate diventate emergenza. Le barriere diventano multiple, poi, se riguardano le donne. La malnutrizione le riguarda in modo “sproporzionato” rispetto agli uomini. L’obbligo di spostarsi solo se accompagnate raddoppia inoltre i costi di eventuali viaggi verso cliniche che, va precisato, non è detto siano dotate di laboratori o servizi di emergenza. Anche i medicinali spesso scarseggiano. Un’impiegata dell’ospedale di Herat ha raccontato di aver ricevuto per suo figlio ammalato solo una «mezza compressa». La vulnerabilità dei reparti maternità è aggravata dalla mancanza di personale femminile che la chiusura delle università alle donne imposta dalle autorità rischia di peggiorare. «Le associazioni non possono continuare a essere sostituti de facto della sanità pubblica», conclude il dossier, è il governo che deve trovare «soluzioni a lungo termine». Msf sollecita anche la comunità internazionale ad affrontare “con urgenza” la crisi afghana. Per esempio, facendo chiarezza sulle esenzioni delle attività umanitarie dalle sanzioni”.

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Un’intervista preziosa.

E’ quella a firma Brando Ricci per l’agenzia Dire: “L’Afghanistan dove le donne non contano nulla che i talebani stanno creando è destinato a essere “senza sviluppo, isolato, dipendente dalla comunità internazionale dal punto di vista tecnico e scientifico e alla mercè del vicino Pakistan, impegnato da oltre mezzo secolo a sabotare la prosperità del Paese per poter continuare a perseguire i suoi obiettivi strategici nella regione e in modo particolare contro l’India”. A temere questo futuro per il suo Paese è l’insegnante e attivista Aqela Balagh, fondatrice e presidente dell’associazione Education for Women (Efw), che da alcuni mesi vive in esilio in Turchia. La sua fuga dall’Afghanistan, ricorda lei stessa in un’intervista con l’agenzia Dire, “precede di alcuni mesi la presa del potere da parte dei talebani”, suggellata dall’ingresso dei miliziani a Kabul nell’agosto 2021. Da quanto riferisce Balagh, infatti, l’Afghanistan per cui si impegnavano lei e la sua organizzazione non era compatibile con quello desiderato da chi oggi guida il Paese, promotore di una serie di leggi che limitano la libertà delle donne. A dicembre il governo di Kabul ha vietato alle donne del Paese di frequentare l’università e poi di lavorare per le agenzie umanitarie e le Ong, dopo aver già limitato loro l’accesso a palestre e parchi pubblici. “Ancor prima di iniziare a guidare il Paese i talebani mi hanno accusato di diffondere i valori occidentali fra le donne afghane e hanno reso impossibile la mia vita e quella della mia famiglia”, denuncia Balagh, originaria della provincia nord-orientale di Parwan. “Sono stata una delle prime donne dell’Afghanistan a recarmi nei villaggi più remoti per alfabetizzare le donne e per fare formazione sui diritti umani, a partire dalla Dichiarazione universale e dalla legge afghana per l’eliminazione della violenza sulle donne del 2009″, ricorda l’attivista. Un lavoro, quello realizzato da Efw, “che ha raggiunto 1.500 donne in tre province del nord, Parwan, Kapisa e Panjshir”, afferma Balagh, che aggiunge: “Quello della mia associazione è stato un percorso rivoluzionario per l’Afghanistan e portarlo avanti è stato molto pericoloso, visto che nelle aree dove operavamo dominava una visione della società patriarcale, tribale e conservatrice, per la quale l’educazione femminile altro non era che un atto di disobbedienza verso l’uomo”.

Una visione, questa, che in Afghanistan si sta imponendo, come dimostrerebbero le ultime misure introdotte da Kabul. “Questi provvedimenti diminuiranno l’aspettativa di vita delle donne, le priveranno dell’accesso alla conoscenza, all’autonomia e alla consapevolezza, rendendole di fatto un fardello per la società”, commenta la fondatrice di Efw in riferimento alle leggi volute dal governo talebano. “Inoltre”, continua, “aumenterà la povertà, la fame e il desiderio di migrare, oltre che l’incidenza dei disturbi mentali fra la metà femminile della popolazione”. Se le conseguenze sulle donne potrebbero essere pesanti, non minore sarà la sofferenza di tutto il Paese, nella visione di Balagh. “La spinta a lasciare l’Afghanistan crescerà a tutti i livelli, ovviamente, mentre Kabul dovrà abbandonare qualsiasi possibilità di svilupparsi, diventando sempre più dipendente dal supporto degli altri Paesi”. La teoria dell’attivista è che questa regressione porterà benefici soprattutto a uno dei vicini di Kabul, il Pakistan da anni accusato di aver favorito l’ascesa dei talebani, fin dai tempi della guerra civile combattuta sul finire degli anni ’90 che li portò per la prima volta al potere. “Islamabad ha fatto da incubatrice al movimento talebano, anche nell’ambito dell’atteggiamento ostile che il Paese ha nei confronti dell’Afghanistan fin dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947. Diversi dossier centrali per il Pakistan inoltre, come quelli su alcune dispute territoriali e su risorse idriche condivise, ci vedono come un Paese rivale”. Un’Afghanistan debole, inoltre, ragiona la dirigente di Efw, “potrebbe diventare per il Pakistan terreno fertile per politiche ostili contro il suo rivale storico, l’India”. Secondo l’insegnante, l’interpretazione dell’Islam maggioritaria in Pakistan sarebbe comune a quella dei talebani, che l’attivista definisce “falsa, estrema, primitiva e ignorante”.

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Balagh rifiuta completamente l’idea per cui l’eguaglianza fra uomo e donna sarebbe non compatibile con l’islam, come sostengono di fatto i miliziani alla guida dell’Afghanistan. “La visione dei fenomeni, nell’Islam, non parte dall’idea del genere”, premette l’attivista. “Nel Corano, il testo sacro della nostra religione, l’importanza dell’istruzione è sottolineata tantissime volte” spiega l’insegnante. “Ci sono poi diverse sure che evidenziano la necessità che non ci sia discriminazione fra uomo e donna rispetto a questo. Nel Libro sacro le donne chiedono al profeta Maometto che vengano predisposti dei giorni per la loro formazione, e questo acconsente”. La storia islamica poi, prosegue l’attivista, “è ricca di figure femminili di grande importanza nei campi della poesia, della medicina e della ricerca, come Zaynab bint al-Kamal, insegnante dello storico siriano Ibn Kathir”, mentre nel mondo d’oggi, “molte leader e grandi studiose sono musulmane, dalla vice-segretario generale delle Nazioni Unite Amina Jain Mohammad alla docente di matematica iraniana Maryam Mirzakhani”. La presidente di Efw amplia poi lo sguardo al mondo, riflettendo su quello che la comunità internazionale può fare per fermare i talebani. Balagh premette: “I Paesi donatori inviano con cadenza fissa 40 milioni di dollari all’Afghanistan con il pretesto degli aiuti umanitari. Prima li spedivano alla Banca centrale, mentre ora vengono indirizzati a banche commerciali sottoposte a continue pressioni da parte del governo”. L’attivista continua, citando dati del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp): “Nonostante tutto questo, circa il 97 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. E’ ovvio che questi soldi vengono usati solo per armare i gruppi terroristici che agiscono con il sostegno talebano, mentre alle persone in difficoltà non arriva nulla, come confermato da tante donne afghane con cui sono in contatto”.

La strategia, quindi, secondo la dirigente, dovrebbe essere quella di “sospendere gli aiuti all’Afghanistan in modo coordinato”. Un contributo poi dovrebbe venire anche dalla diaspora afghana nel mondo, che nella visione dell’attivista “non sta facendo quello che dovrebbe, vittima di una cronica mancanza di idee di programmi e danneggiata dalla concezione del mondo che hanno molte donne, pure convinte che gli uomini siano loro superiori”. Balagh lancia dunque un appello: “La comunità afghana all’estero può fare molto di più di realizzato finora. Il primo passo deve essere quello di dar vita a una sola voce e una sola narrazione su alcuni valori chiave, come i diritti delle donne. Da qui poi creare una forma strutturata in grado di veicolare il messaggio e, da ultimo, negoziare sul futuro dell’Afghanistan con il resto del mondo a partire da una posizione solida e consolidata”.

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L’appello di Amnesty International.

“Dal 15 agosto 2021, quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno avviato una nuova era di violenze e violazioni dei diritti umani. Oggi, un anno dopo, il paese è sull’orlo di una rovina irreversibile.

Non solo i talebani, che sono le autorità di fatto del paese, hanno infranto la loro promessa di proteggere i diritti della popolazione afgana, in particolare i diritti delle donne, ma hanno ripreso il ciclo di violenze e commesso un’infinità di violenze e violazioni dei diritti umani in totale impunità. 

In un anno, hanno sistematicamente smantellato le istituzioni chiave per la protezione dei diritti umani e represso la libertà di espressione, associazione, il diritto a un processo equo e altri diritti umani.

I diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono stati soppressi. Migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e persino uccise: esponenti del giornalismo, dello sport e dell’arte, attiviste, difensori dei diritti umani, accademici e accademiche, minoranze religiose ed etniche restano particolarmente a rischio.

I diritti umani sono sotto attacco su tutti i fronti. Mentre la popolazione afghana continua a sfidare questa tempesta, noi dobbiamo essere al suo fianco e difendere il suo diritto a vivere in libertà, dignità e uguaglianza.

Chiedi alle autorità talebane a rispettare e garantire la protezione dei diritti umani in Afghanistan.

Agisci ora ed esorta i talebani a: 

  • porre immediatamente fine alle gravi violazioni dei diritti umani in atto in Afghanistan, comprese rappresaglie e attacchi a minoranze etniche e religiose, donne e bambine, persone Lgbtqia+, difensori/e dei diritti umani, attivisti/e della società civile, giudici, avvocati/e, ex funzionari/e del governo, giornalisti/e;
  • garantire alle donne e alle ragazze tutti i loro diritti, compreso l’accesso all’istruzione per le ragazze di tutte le età, riaprendo immediatamente tutte le scuole e le università, garantendo l’accesso all’assistenza sanitaria e consentendo alle donne di tornare al lavoro;
  • garantire i diritti della popolazione afgana alla libertà di espressione e di associazione. I rapimenti, le detenzioni arbitrarie e le percosse contro giornalisti/e ai danni di/delle manifestanti pacifici devono finire;
  • istituire meccanismi efficaci e trasparenti di indagine e di accertamento delle responsabilità che garantiscano giustizia per le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra inclusi – a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, sparizioni forzate, arresti arbitrari, detenzioni illegali, omicidi extragiudiziali – attraverso processi equi, senza ricorso alla pena di morte”.

Afghanistan, febbraio 2023. Per non dimenticare.

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