Rushdie pubblica un suo selfie e scrive: "Ora che sono quasi morto, tutti mi amano"
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Rushdie pubblica un suo selfie e scrive: "Ora che sono quasi morto, tutti mi amano"

Con ironia Salman Rushdie, accompagnato da un suo selfie, commenta su Twitter l'immagine pubblicata dal magazine americano, la prima dal terribile attacco subito lo scorso 12 agosto a Chautauqua

Rushdie pubblica un suo selfie e scrive: "Ora che sono quasi morto, tutti mi amano"
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7 Febbraio 2023 - 12.21


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“La foto sul New Yorker è drammatica e potente ma, più prosaicamente, ecco come sono oggi”. Con ironia Salman Rushdie, accompagnato da un suo selfie, commenta su Twitter l’immagine pubblicata dal magazine americano, la prima dal terribile attacco subito lo scorso 12 agosto a Chautauqua, nello stato di New York.  Nella foto, in bianco e nero, l’autore dei Versi Satanici indossa un paio di occhiali da vista con una lente oscurata, per celare la grave ferita all’occhio destro causata dalle coltellate del suo aggressore. L’intervista precede l’uscita negli Stati Uniti (e in Italia) dell’ultimo romanzo di Rushdie Victory city (La città della vittoria, Mondadori), una saga di amore, avventura e mito, nell’India del XIV secolo.

“C’è una cosa chiamata disturbo da stress post-traumatico”, racconta il 75enne scrittore nella sua prima intervista dall’attentato rivelando di aver avuto grosse difficoltà a riprendere a scrivere. “Mi siedo per scrivere e non succede nulla. Scrivo, ma è un misto di vuoto e spazzatura, roba che scrivo e che cancello il giorno dopo”. Il recupero di Rushdie, che ha perso la vista da un occhio e l’uso di una mano, sta andando avanti: il suo agente Andrew Wyle ha annunciato che non promuoverà il romanzo con presentazioni pubbliche. “Sono stato fortunato, il mio principale sentimento è la gratitudine. Sono stato meglio ma, considerando quello che è successo, non sto poi così male. Le ferite più gravi sono guarite, essenzialmente. Ho sensibilità nel pollice e nell’indice e nella metà inferiore del palmo. Sto facendo molta terapia alla mano e mi dicono che sto andando molto bene”. Rushdie ha precisato, tuttavia, è difficile digitare al computer e scrivere a mano. “Sono in grado di alzarmi e camminare – racconta Rushdie – Quando dico che sto bene, intendo dire che ci sono parti del mio corpo che hanno bisogno di continui controlli. È stato un attacco colossale”. Nell’intervista confessa di avere anche delle “cicatrici mentali” dovute all’attacco e sente di dover ripensare al suo approccio alla sicurezza, avendo vissuto senza di essa per più di due decenni.

All’intervistatore David Remnick che gli fa presente che forse avrebbe dovuto stare più in guardia dopo essersi trasferito a New York nel 2000, avendo precedentemente vissuto in clandestinità per diversi anni, Rushdie ha risposto: “Beh, mi sto ponendo questa domanda e non conosco la risposta. Ho avuto più di 20 anni di vita. Quindi, è un errore? Inoltre, ho scritto molti libri. Ho sempre cercato di non assumere il ruolo di vittima. Poi te ne stai lì seduto a dire: ‘Qualcuno mi ha piantato un coltello! Povero me’… Cosa che a volte penso! Ma è quello che non voglio che pensino le persone che leggono il libro. Voglio che siano catturati dal racconto, che si lascino trasportare”.

Autore dell’aggressione è stato il 24enne Hadi Matar, arrestato e incriminato per tentato assassinio: “È lui il solo colpevole”, detto Rushdie. “Uno dei modi in cui ho cercato di affrontare la fatwa è quello di guardare avanti e non indietro. Ciò che accade domani è più importante di quello che è accaduto ieri”, ha detto Rushdie, che a chi gli fa notare che molti anni fa c’erano persone che sembravano stancarsi della sua persistente esistenza, osserva: “Alla gente non piacevo. Perché sarei dovuto morire. Ora che sono quasi morto, tutti mi amano”. 

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