Ucraina, Russia e Stati Uniti: c’è tanta voglia di guerra nell’aria
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Ucraina, Russia e Stati Uniti: c’è tanta voglia di guerra nell’aria

I due paesi sono speculari e molto più simili di quanto entrambi siano propensi ad ammettere.

Ucraina, Russia e Stati Uniti: c’è tanta voglia di guerra nell’aria
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Seba Pezzani Modifica articolo

26 Gennaio 2023 - 21.42


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Nuove armi verranno inviate all’Ucraina. La Germania, dopo dibattiti interni nemmeno troppo aspri, ha accettato di farlo. Forse con un minimo di riluttanza, ma alla fine l’ha fatto. Eppure, proprio la Germania aveva espresso una promessa non formale, ma pur sempre una promessa, a Mikhail Gorbaciov dopo la caduta del muro: l’unificazione delle due Germanie si sarebbe svolta senza intoppi a patto che la Nato non si espandesse a est, lasciando tutto sommato uno spazio disimpegnato tra le ex-repubbliche sovietiche e l’Occidente. La promessa, vincolante almeno sul piano morale, non è stata mantenuta e il tentativo di far rientrare molte di quelle repubbliche nella sfera di influenza della Nato e, dunque, degli Usa è iniziato quasi subito. Qualcuno potrebbe obiettare che tale tentativo non è stato attuato con la forza e che diversi stati non vedevano l’ora di uscire da sotto un ombrello per infilarsi sotto un altro. Ed è altrettanto vero che ogni nazione ha il diritto di scegliere da che parte stare e di farsi rappresentare da qualsiasi sigla preferisca.

La propaganda russa la conosciamo, ma, quando Putin dichiara, di fronte a un manipolo di studenti universitari, che un giorno la Germania ammetterà di avere tuttora sul proprio territorio una forza di occupazione, quella americana, non me la sento di dargli torto e non posso fare a meno di pensare che anche noi non ci siamo mai liberati di quel fastidioso giogo. L’Europa intera, prima o poi, potrebbe avere qualche ripensamento.

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Sappiamo bene che la sindrome da accerchiamento non è un’ossessione esclusiva della Russia. Inutile portare esempi su ciò che gli Usa hanno fatto nel continente americano, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Solo un ingenuo crederebbe che, di fronte all’intenzione di un paese dell’America Centrale di entrare in un ipotetico Patto di Varsavia allargato, gli Usa se ne sarebbero stati con le mani in mano. In America Latina, la facilitazione da parte degli Usa di colpi di stato e governi fantoccio, con l’invio massiccio di aiuti economici e militari, oltre che di imbarazzanti addestratori di squadroni della morte, e la creazione di strutture “difensive” permanenti è un fatto storico. È costume statunitense imporre la propria visione unica sul resto del mondo, a partire da quelli che in teoria dovrebbero essere fedeli alleati.

Il neo primario della politica estera americana – se vogliamo anche il suo punto di forza, dato che in tal modo la popolazione non esprime mai, o quasi mai, un dissenso vero rispetto alle scelte bellicistiche del suo governo – è la non conoscenza dell’autentico significato della parola guerra da parte del cittadino medio. Per l’americano comune, la guerra è quella che il “valoroso soldato sotto la bandiera a stelle e strisce” conduce all’estero.

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L’America una guerra vera non l’ha mai vissuta: la popolazione civile non ha mai patito interruzioni dell’erogazione dell’energia elettrica o dell’acqua corrente, razionamenti alimentari e blocchi delle scuole. I suoi militari sono morti lontano da casa, ma la vita quotidiana in patria non ha mai subito pesanti limitazioni. Il secondo neo, che si riverbera sulla sua politica estera, ha a che fare con la natura stessa dell’essere americani, esplicitata dal motto della nazione, “In God we trust”, che sa tanto del “Gott mit uns” tedesco ribaltato. Forti dell’appoggio divino, i cittadini statunitensi si muovono nella certezza che i loro governanti siano comunque nel giusto, un’infallibilità da soglio papale. Ecco che lo scontro a tutto campo con la Russia diventa pressoché inevitabile. I due paesi sono speculari e molto più simili di quanto entrambi siano propensi ad ammettere.

Entrambi hanno una tradizione imperialista e i due popoli sono fortemente emotivi e ragionano più di pancia che con la mente razionale. L’invio di altre armi, dunque, mette ancor più davanti agli occhi del mondo la realtà di un faccia a faccia tra russi e americani, una guerra per procura.

Certo, un paese che ne invade un altro ha sempre torto. Ma ha torto pure chi prepara surrettiziamente il terreno perché ciò avvenga. C’è tanta voglia di guerra nell’aria. La vuole la Russia di Putin. La vogliono gli Stati Uniti, forse più quelli di Joe Biden che quelli di Donald Trump, anche se si tratta quasi di un sofisma: se c’è da fare la voce grossa e imporre la “pax americana”, destra e sinistra a Washington quasi si equivalgono. La vuole l’Ucraina, per lo meno quella che ancora si stringe intorno a Volodymyr Zelensky. Sembra che la voglia l’Europa, accodatasi all’America. Naturalmente, la vuole pure l’Italia, considerato l’appoggio incondizionato a una soluzione bellica, non diplomatica, del conflitto.

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Che tanto la Germania quanto il Giappone abbiano iniziato una corsa al riarmo non mi pare una notizia rassicurante. Preferivo un mondo in cui le due potenze sconfitte e umiliate dalla disfatta della Seconda guerra continuassero a mantenere una posizione se non neutrale almeno più sfumata e, comunque, rigidamente non interventista. Preferirei un’Italia che, per una volta, esprimesse non solo a parole la contrarietà alla “guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, contrarietà sancita dall’articolo 11 della nostra Costituzione. E preferirei un’Italia e un’Europa meno supine alle scelte egemoni degli Usa. Solo così la loro opposizione alle scelte egemoni, per esempio, del Cremlino sarebbe davvero credibile.

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