Cosa ha detto Zelensky al famoso conduttore televisivo americano David Letterman
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Cosa ha detto Zelensky al famoso conduttore televisivo americano David Letterman

Il presidente Ucraino Zelensky ha detto che se lo Zar Putin morisse non ci sarebbe più guerra. Una risposta alla domanda di Letterman

Cosa ha detto Zelensky al famoso conduttore televisivo americano David Letterman
Zelensky intervistato da Letterman
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13 Dicembre 2022 - 12.45


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Frasi poco diplomatiche ma il presidente ucraino ne è convinto. Del resto non si può chiedere a Zelensky di essere tenero con Putin visto che lo Zar ha tentato di rovesciarlo attraverso un golpe militare poi fallito. Ha cercato di invadere Kiev, fallendo. Lo ha definito drogato e corrotto non riconoscendolo nemmeno più come presidente ed è fermo sulla capitolazione di Kiev quale condizione per la pace.

Per questo Zelensky ha detto che il conflitto si concluderebbe se lo zar morisse, ha spiegato il leader ucraino con disarmante sincerità in un’intervista con l’anchorman americano David Letterman. Di certo Kiev può continuare a contare sul «saldo sostegno» del G7, che ha promesso nuovi aiuti nel corso di una riunione virtuale dei leader. Aiuti che dovranno continuare ad essere «economici e militari», ha sottolineato Giorgia Meloni al suo debutto in questo consesso, mentre l’Ue per il momento non ha trovato l’accordo sul nono pacchetto di sanzioni da imporre all’aggressore.

“Immaginiamo che Putin si prenda un raffreddore e muoia, o cada accidentalmente da una finestra e muoia, la guerra proseguirebbe?”, ha chiesto l’intervistatore, come riferisce Ukrainska Pravda, in un’intervista realizzata per uno special su Netflix. “No – ha risposto Zelensky – non ci sarebbe nessuna guerra. Il regime autoritario è terribile. C’è un alto rischio che tutto venga deciso da una persona sola. Quindi quando la persona se ne va, tutte le istituzioni si fermano. Qualcosa di simile è avvenuto in Unione Sovietica. Tutto si è fermato. Penso che se lui non ci fosse più sarebbe difficile per loro. Dovrebbero concentrarsi sulla politica interna, non su quella estera”.

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I raid russi sull’Ucraina non accennano a diminuire, dopo quasi dieci mesi di ostilità, mentre le forze di difesa contrattaccano nel sud-est. Di dialogo tra le parti non sembra esserci traccia, e lo dimostrano i nuovi segnali inviati al mondo da Kiev e Mosca. Zelensky, nel corso di colloquio con Letterman nel suo programma su Netflix, registrato a ottobre, ha risposto senza equivoci al conduttore che gli chiedeva se la guerra sarebbe continuata nel caso di morte di Putin, per «un brutto raffreddore o per un’accidentale caduta da una finestra». Per Zelensky «un regime autoritario non si può permettere che uno solo abbia il controllo su tutto. Perché, quando lui viene a mancare, le istituzioni si fermano». E quindi, se Putin morisse, «non ci sarebbe la guerra», ha affermato.

Il leader ucraino poi ha incassato il rinnovato appoggio dei leader del G7, che si sono riuniti in modalità virtuale alla vigilia della conferenza di Parigi sulla ricostruzione. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha presieduto il summit, ha evocato un nuovo piano Marshall ed ha rinnovato l’appello a Vladimir Putin perché «ritiri le sue truppe» dall’Ucraina e torni «al diritto internazionale». «Siamo chiamati a continuare a difendere il Paese dalla guerra di aggressione russa», gli ha fatto eco Giorgia Meloni, affermando che «bisogna cominciare a pianificare la ricostruzione post bellica dell’Ucraina». Ma allo stesso tempo, per ora, continuare gli aiuti «economici e militari», ha sottolineato la premier, che domani affronterà il dossier ucraino nelle comunicazioni alla Camera, in vista del Consiglio Europeo del 15-16 dicembre. Parole particolarmente apprezzate da Zelensky, che ha ringraziato per «l’apporto tempestivo e senza esitazione di sicurezza e sostegno finanziario da parte dell’Italia». «È solo grazie al vostro sostegno – ha detto poi rivolgendosi ai leader – se qui esiste ancora il mio Paese e esiste ancora il popolo ucraino».

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Il presidente ucraino ha comunque rinnovato la richiesta di altre armi e di circa due miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas per l’inverno, proponendo poi un «summit mondiale sulla pace» in cui discutere i «dieci punti chiari e realistici» del piano presentato da Kiev al G20 di novembre, fondato tra le altre cose sulla «integrità territoriale dell’Ucraina e sulla sua sicurezza energetica, alimentare e nucleare». Il rilancio del piano di pace di Kiev sembrerebbe una buona soluzione per gli Stati Uniti. Joe Biden, in un colloquio telefonico con il partner ucraino, ha «accolto con favore la sua dichiarata apertura ad una pace giusta basata sui principi fondamentali racchiusi nella carta dell’Onu», ha fatto sapere la Casa Bianca.

Anche il Vaticano si è speso nuovamente per favorire l’apertura del dialogo. Il segretario di stato Pietro Parolin ha espresso la «disponibilità» che la Santa Sede sia «il terreno adatto» per ospitare i colloqui di pace tra le parti, lasciando a loro di «individuare la metodologia di lavoro e i contenuti».

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Da Mosca, tuttavia la risposta è stata di gelo. «Temo che i fratelli ceceni e buriati, oltre a me, non lo apprezzerebbero. Per quanto ricordo, non ci sono state parole di scuse dal Vaticano», ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova riferendosi alle accuse di crudeltà ai soldati buriati e ceceni in Ucraina formulate nelle settimane scorse da papa Francesco e che la Russia non ha per nulla digerito. Certo non avrà modo di parlarne di Putin nella tradizionale conferenza stampa di fine anno: non si terrà, ha fatto sapere il Cremlino. Non succedeva da più di 10 anni.

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