Iran, manifestanti impiccati, spari sulle donne ma gli ayatollah programmano la fuga in Venezuela
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Iran, manifestanti impiccati, spari sulle donne ma gli ayatollah programmano la fuga in Venezuela

La Repubblica islamica ha avviato trattative con i suoi alleati venezuelani per organizzare l'asilo per i funzionari del regime e le loro famiglie nel caso in cui la situazione si aggravi

Iran, manifestanti impiccati, spari sulle donne ma gli ayatollah programmano la fuga in Venezuela
L'Ayatollah Ali Khamenei
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Dicembre 2022 - 19.49


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Gli ayatollah mobilitano i boia di Stato. E la minaccia diventa realtà.

La magistratura della Repubblica islamica ha annunciato che Mohsen Shekari, arrestato durante le proteste, è stato giustiziato: è la prima sentenza di morte eseguita per un manifestante, come riporta Bbc Persia.

Shekari è stato impiccato questa mattina dopo essere stato giudicato colpevole da un tribunale rivoluzionario di “inimicizia contro Dio”, hanno riferito i media statali, citati dalla Bbc Persia.

Fermare la mano ai boia di Stato

Era accusato di essere un “rivoltoso” che il 25 settembre bloccò una strada principale a Teheran e ferì con un coltello un membro delle forze paramilitari Basij. La magistratura ha detto che l’udienza si è tenuta il 10 novembre e l’imputato ha confessato le sue accuse. 

“Il disprezzo dell’umanità del regime iraniano è senza confini. Moshen Shekari è stato condannato e giustiziato con un perfido processo veloce, perché aveva una opinione diversa dal regime”. Lo scrive la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, su Twitter. «Ma la minaccia dell’esecuzione capitale non soffocherà la volontà di libertà della gente», aggiunge.

Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights con sede in Norvegia, ha twittato che le esecuzioni dei manifestanti inizieranno a verificarsi quotidianamente a meno che le autorità iraniane non siano messe di fronte a “rapide conseguenze pratiche a livello internazionale”.   La magistratura iraniana ha finora annunciato che 11 persone sono state condannate a morte per le proteste iniziate a metà settembre dopo la morte mentre era sotto la custodia della polizia morale di Mahsa Amini, arrestata per aver indossato il suo hijab “impropriamente”. Le proteste guidate dalle donne si sono estese a 160 città in tutte le 31 province del Paese e sono viste come una delle sfide più serie per la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979. I leader iraniani le hanno descritte come “rivolte” istigate dai nemici stranieri del Paese e hanno ordinato alle forze di sicurezza di “affrontarle con decisione”.    Finora, almeno 475 manifestanti sono stati uccisi e 18.240 sono stati arrestati, secondo l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana che ha anche riferito la morte di 61 membri del personale di sicurezza. 

Hossein Ronagi,uno degli oppositori della Repubblica islamica recentemente scarcerato, ha lanciato anche lui un appello su Twitter: “Non chiudiamo un occhio sulle esecuzioni. L’uccisione di qualsiasi manifestante avrà gravi conseguenze”. Ronaghi ha descritto l’esecuzione di Mohsen Shekari come “una ferita che è stata inflitta a tutti i manifestanti in Iran e “tutto l’Iran sente dolore, la rabbia riempie tutto il popolo
iraniano”.

La sorella si ribella

La Stampa pubblica oggi una lettera aperta di Badri Hossein Khamenei, sorella della Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei, nella quale dichiara che “il popolo iraniano merita libertà e prosperità, e la sua rivolta è legittima e necessaria per realizzare i suoi diritti”. “Spero di vedere presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia che governa l’Iran. Che la giusta lotta del popolo per raggiungere la libertà e la democrazia si realizzi il prima possibile”, aggiunge nel testo.

  “Nel nome di Dio – scrive Khamenei – Perdere un figlio ed essere lontano da tuo figlio è una grande tristezza per ogni madre. Molte madri sono rimaste in lutto negli ultimi quattro decenni. Penso che sia opportuno ora dichiarare che mi oppongo alle azioni di mio fratello ed esprimo la mia simpatia per tutte le madri che piangono i crimini del regime della Repubblica islamica, dai tempi di Khomeini all’attuale era del despotico califfato di Ali Khamenei”. La sorella del leader iraniano racconta nella lettera: “L’opposizione e la lotta della nostra famiglia contro questo sistema criminale sono iniziate pochi mesi dopo la rivoluzione. I crimini di questo sistema, la soppressione di qualsiasi voce dissenziente, l’imprigionamento dei giovani più istruiti e ispirati di questa terra, le punizioni più severe e le esecuzioni su larga scala iniziarono fin da subito”. “Come tutte le madri in lutto iraniane – sottolinea -, sono anche triste per il fatto di esser lontana da mia figlia. Quando arrestano mia figlia con violenza, è chiaro che applicano migliaia di volte più violenza ad altri ragazzi e ragazze oppressi che sono sottoposti a crudeltà disumana.

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Resta inflessibile però il presidente iraniano Ebrahim Raisi, secondo il quale “il popolo dell’Iran non si fa ingannare dagli slogan sulla libertà”.  “Coloro che tentano di seminare discordia tra le persone con belle parole devono essere identificati”, ha aggiunto Raisi – in dichiarazioni diffuse dall’agenzia ufficiale Irna – in riferimento agli slogan utilizzati nelle proteste che da quasi tre mesi si susseguono nel Paese. E le autorità di Teheran hanno anche contestato la decisione dell’azienda di telecomunicazioni satellitari Eutelsat, con sede a Parigi, che ha chiesto alle sue emittenti di rimuovere le trasmissioni di Press Tv, canale televisivo iraniano in lingua inglese e francese vicino al governo islamico. La decisione è “contro la stampa” e basata sulle sanzioni dell’Unione europea contro l’Iran, ha scritto su Twitter il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani sostenendo che “l’Europa ospita molti canali che promuovono violenza e terrorismo contro l’Iran”. 

 Via di fuga 

Secondo fonti diplomatiche occidentali citate da Iran International English, però, la Repubblica islamica ha avviato trattative con i suoi alleati venezuelani per organizzare l’asilo per i funzionari del regime e le loro famiglie nel caso in cui la situazione si aggravi e aumenti la possibilità di un cambio di regime.  Quattro alti funzionari iraniani – viene riferito – si sono recati in Venezuela a metà ottobre per assicurarsi che il governo di Caracas conceda asilo agli alti funzionari del regime e alle loro famiglie e li lasci entrare nel Paese in caso di “sfortunato incidente”. 

La strategia dell’avvelenamento

Ne dà conto MicroMega.net: “Nei giorni scorsi gruppi di studenti in diverse città hanno denunciato un tentativo di avvelenamento “per impedirci di scendere in piazza e manifestare”. Come riportato dalla rete nazionale, nelle Università di Ark, Kharazmi e almeno altre quattro in tutto il territorio nazionale qualche migliaio di giovani ha subìto una intossicazione alimentare con vomito, lividi e allucinazioni, provocata dal cibo servito in mensa. La loro accusa è stata immediatamente netta: un tentativo deliberato di sabotarne le manifestazioni. Le autorità hanno risposto alle accuse chiamando in causa un batterio circolante nell’acqua utilizzata per cucinare, ma gli studenti hanno respinto le motivazioni fornite, facendo riferimenti a episodi già avvenuti nei giorni scorsi all’Università di Isfahan. Anche in quel caso la ragione degli avvelenamenti era stata attribuita a un batterio ma il susseguirsi degli episodi a distanza di pochi giorni in luoghi diversi del Paese rappresenta per gli studenti un indizio di intenzionalità da parte delle autorità universitarie. A Karaj – denunciano gli studenti – il numero di persone avvelenate e bisognose di cura ospedaliera è stato così alto che la struttura ha presto esaurito sia i posti letto sia le scorte di trattamento endovenoso per la reidratazione. La farmacia universitaria è chiusa e alle studentesse, a tarda ora, non è permesso lasciare i dormitori in cerca di assistenza medica.

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In risposta a questi sospetti di avvelenamento intenzionale, gli studenti iraniani hanno deciso di boicottare tutte le mense e le caffetterie universitarie e hanno protestato anche dentro le mense stesse depositando i vassoi del cibo per terra, come riporta il Telegraph. I giovani rappresentano una parte maggioritaria della società iraniana e la prima linea delle rivolte contro il regime del 2022, come ha scritto per MicroMega+ una studentessa iraniana in Italia, Pegah Tashakkori. 

 Giovanissimo, 23 anni, era anche Moshen Shekari; arrestato a fine settembre a Teheran e condannato il 20 novembre con l’accusa di moharebeh, il delitto di “aver mosso guerra a Dio” secondo la sharia. Si ritiene siano almeno sette le persone in attesa che venga eseguita la pena capitale. Ma nessuna repressione finora è riuscita a far rientrare in casa le persone; gli studenti in particolare manifestano quotidianamente e quotidianamente cercano di far arrivare informazioni su quanto accade in Iran il più possibile oltre confine, in rete fra loro dentro e fuori dall’Iran in una costante collaborazione fra expat e persone sul posto”.

La rivoluzione è donna

Scrive A.Alba su RaiNews: “ Time, oltre al riconoscimento alla persona dell’anno, ha attribuito alle donne dell’Iran il riconoscimento di “eroine dell’anno”, per le proteste cominciate quasi tre mesi fa, il 16 settembre, a seguito della morte della 22enne curda Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia morale a causa di una ciocca di capelli che fuoriusciva dall’hijab, il velo islamico obbligatorio nella Repubblica islamica a guida sciita.

Secondo alcuni analisti le proteste coinvolgono oramai l’80% del Paese e rappresentano la più grande minaccia alla Repubblica islamica dalla sua costituzione nel 1979. Gli iraniani chiedono riforme strutturali sia sociali che economiche, dopo anni di crisi trascinata dalle sanzioni cominciate col patto per il nucleare (Jcpoe), arenatosi nel 2018.

Protagoniste indiscusse di queste proteste, le giovani iraniane della generazione Z  sottolinea il magazine americano – vivono una vita che è sempre più “in contrasto” con il messaggio ideologico della Repubblica islamicatra una repressione sempre più forte e le sanzioni statunitensi che hanno devastato l’economia del Paese mentre il sistema di potere appare “paralizzato” e “preferisce l’isolamento” internazionale.

“Tra i tanti motivi per cui la ribellione sta andando avanti da così tanto tempo c’è la risposta balbettante di un governo che riconosce la fondatezza della denuncia. Ci sono vecchie élite rivoluzionarie che hanno messo in guardia da un sistema che ha completamente smarrito la strada, non può più permettersi di sovvenzionare la sua base sociale tradizionale, ha alienato tutti gli altri, compresi i religiosi, e ha subordinato il benessere dei suoi cittadini alla sicurezza”, prosegue il Time nella sua analisi.

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“Il movimento che stanno guidando è istruito, liberale, laico, cresciuto con maggiori aspettative”, sottolinea il magazine, spiegando che tra le rivendicazioni alla base delle proteste delle donne ci sono “università e viaggi all’estero, lavori dignitosi, stato di diritto, accesso all’Apple Store, un ruolo significativo in politica, la libertà di dire e indossare qualunque cosa”. 

La protesta cominciata con le donne è poi divenuta sempre più massiccia e trasversale. Secondo le ong dei diritti umani sono quasi 500 le vittime della forte repressione da parte degli ayatollah al potere che considerano i manifestanti “nemici di Dio”, reato che porta fino alla pena di morte in vigore nel Paese. Tra le vittime sono molte le eroine adolescenti rimaste uccise nelle proteste dal pugno di ferro dei pasdaran e dei basij”.

Spari mirati

Le forze di sicurezza iraniane stanno prendendo di mira le donne durante le proteste contro il regime, sparando ai loro volti, ai seni e ai genitali. È la denuncia a cui arriva il Guardian dopo interviste realizzate con i medici in tutto il Paese. Medici e infermieri – che curano i manifestanti in segreto per evitare l’arresto – hanno rilevato che le donne spesso arrivavano con ferite diverse rispetto agli uomini, colpiti invece alle gambe, alle natiche e alla schiena. Nonostante la censura sul web abbia nascosto gran parte della sanguinosa repressione dei manifestanti, le foto fornite dai medici al Guardian hanno mostrato ferite devastanti su tutto il corpo, conseguenza di colpi esplosi a distanza ravvicinata. Alcune delle foto mostravano persone con decine di minuscoli pallini conficcati in profondità nella carne.  Un medico della provincia centrale di Isfahan ha affermato di ritenere che le autorità stessero prendendo di mira uomini e donne in modi diversi “perché volevano distruggere la bellezza di queste donne”. “Ho curato una donna sui vent’anni, che è stata colpita ai genitali da due pallottole. Altri dieci pallini erano stati depositati nella sua parte interna della coscia. Questi 10 pallini sono stati rimossi facilmente, ma quei due pallini erano una sfida, perché erano incastrati tra la sua uretra e l’apertura vaginale», ha detto il medico. Traumatizzato dall’esperienza il medico, che ha parlato a condizione dell’anonimato come tutti gli intervistati per paura di rappresaglie, ha affermato di aver avuto difficoltà ad affrontare lo stress e il dolore a cui ha assistito: “Avrebbe potuto essere mia figlia” ha detto. Un medico di Karaj, una città vicino a Teheran, ha detto al Guardian che le forze di sicurezza iraniane “sparano ai volti e alle parti intime delle donne perché hanno un complesso di inferiorità. E vogliono liberarsi dei loro complessi sessuali facendo del male a questi giovani”. Il ministero degli Affari Esteri iraniano è stato contattato per commentare le accuse dei medici ma non ha ancora risposto, scrive il Guardian. Il quotidiano londinese ha parlato con dieci medici professionisti, i quali hanno avvertito che le ferite potrebbero causare a centinaia di giovani iraniani danni permanenti. Spesso, hanno aggiunto, sono stati curati donne, uomini e bambini colpiti agli occhi.

Questo è il regime iraniano. Brutale, sanguinario, misogino. Ma la lotta continua. 

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