Russia, la guerra del gas non farà prigionieri e l'inverno si avvicina
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Russia, la guerra del gas non farà prigionieri e l'inverno si avvicina

Siamo attrezzati per respingerlo senza modificare profondamente consumi, stili di vita, organizzazione del lavoro e della produzione, oltreché progettare e praticare una seria, efficace, innovativa “transizione ecologica”? La risposta è No.

Russia, la guerra del gas non farà prigionieri e l'inverno si avvicina
Vladimir Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Agosto 2022 - 18.21


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E’ un ricatto. Certo che sì. Un ricatto annunciato. Siamo attrezzati per respingerlo senza modificare profondamente consumi, stili di vita, organizzazione del lavoro e della produzione, oltreché progettare e praticare una seria, efficace, innovativa “transizione ecologica”? La risposta è No. E di certo non basterà ridurre di un giorno l’anno scolastico o 15 giorni in meno di riscaldamento e termosifoni giù di un grado. Non si cura il cancro con l’aspirina.

La guerra del gas

“Siamo pronti a fornire gas all’Europa nei volumi che sono stati contrattati già ora” sempre che l’Occidente non metta la Russia alle strette con le restrizioni. Sono le parole del vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev, al canale televisivo francese Lci, come riportato dalla Tass.  “Le difficoltà nelle forniture di gas russo all’Europa possono essere considerate come un elemento della guerra in corso contro Mosca“, ha affermato ancora Medvedev secondo il quale delle conseguenze negative sulle forniture di gas potranno avvenire “se i pagamenti saranno vietati” o se sarà fermata “la consegna delle turbine riparate” o stoppato “il lancio del NordStream 2“. Mosca pertanto minaccia l’Europa: tutto “dipenderà sicuramente dalla posizione dei Paesi occidentali ed europei”, incalza il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo. Per la Russia, pertanto, “queste sono le conseguenze della guerra delle sanzioni scatenata dall’Occidente”.

L’evoluzione della situazione delle forniture di gas russo all’Europa “è essenzialmente una parte della guerra attualmente condotta contro il nostro Paese”, ha aggiunto Medvedev: “Questo è un altro aspetto del conflitto“. “Non abbiamo mai rifiutato di fornire gas all’Europa. Abbiamo costruito il Nord Stream 2, abbiamo rispettato tutti gli impegni, ma ci è stato detto che il nostro gas non è necessario; inoltre, non saremo in grado di pagare in euro e in dollari – ha sottolineato – perché ora abbiamo chiuso i rapporti con le vostre banche. Abbiamo quindi deciso che per noi esiste un’unica opportunità: utilizzare il rublo come mezzo di pagamento”.

E ancora:  la rinuncia dell’Ucraina a diventare membro della Nato “non è più una condizione sufficiente per la pace”, perché la Russia ora ha bisogno di ulteriori “garanzie di sicurezza”, proclama  Medvedev, secondo quanto riporta la Tass, aggiungendo che al momento non c’è stata la necessità per Mosca di ricorrere all’uso delle armi nucleari in quella che i russi definiscono “l’operazione militare speciale” in Ucraina.

L’Est guarda a Mosca

L’Ungheria ha annunciato ieri che la prossima settimana la russa Rosatom inizierà la costruzione di due nuovi reattori nucleari da 12,5 miliardi di euro. La guerra in Ucraina non ha scoraggiato l’interesse di Budapest al progetto che si realizzerà nel sito di Paks fuori dalla capitale, ed è anche la prova degli stretti legami tra il primo ministro nazionalista ungherese Viktor Orban e il presidente russo Vladimir Putin. “E’ un grande passo, una pietra miliare importante”, ha sottolineato il ministro degli Esteri Peter Szijjarto sul suo account Facebook dopo che l’autorità nazionale di regolamentazione ha rilasciato l’altro ieri un permesso. “Ora possiamo passare dalla fase di progettazione a quella di costruzione.”, ha proseguito Szijjarto, prevedendo l’entrata in funzione dei due reattori a partire dal 2030.

Sofia cambia verso

Il 2 agosto in Bulgaria si è insediato un governo ad interim, guidato da Galab Donev, che rimarrà in carica fino al prossimo 2 ottobre, quando ci saranno nuove elezioni, le quarte in poco più di un anno. Il governo di Donev – più volte ministro in passato – si è insediato dopo che a fine giugno il governo guidato dall’economista Kiril Petkov era stato sfiduciato dal Parlamento in seguito a una crisi politica interna alla maggioranza che lo sosteneva. Anche se sarà al governo per pochi mesi, Donev ha già fatto capire di avere idee molto distanti da quelle del suo predecessore riguardo ai rapporti con la Russia, e che in questo breve periodo cercherà di riavvicinare i due paesi.

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Petkov infatti, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, aveva assunto posizioni molto dure nei confronti della Russia, tanto che la Bulgaria era stata tra i primi paesi a cui erano state interrotte le forniture di gas naturale russo, come ritorsione alle sanzioni economiche imposte dall’Occidente.

Una delle prime cose fatte da Donev dopo essersi insediato alla guida del governo è stata invece dire di voler riallacciare i rapporti diplomatici con la Russia, e di conseguenza ricominciare anche a comprare gas. Questa intenzione è stata formalizzata il 22 agosto in una conferenza stampa a Sofia, la capitale bulgara, dal ministro dell’Energia Rossen Hristov. Parlando coi giornalisti, Hristov ha detto: «i colloqui con Gazprom [l’azienda energetica statale russa] sono inevitabili».

Hristov non ha escluso la possibilità di continuare a cercare di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico del paese, ma ha posto come priorità la necessità di avere gas a sufficienza, anche se russo: «se le forniture alternative risulteranno insufficienti, non sarò certo io il ministro che permetterà che le persone trascorrano l’inverno al freddo», ha detto.

Il giorno prima l’ambasciatrice russa in Bulgaria, Eleonora Mitrofanova, aveva detto di non vedere alcun problema nel riavviare le forniture di gas russo, e che bastava la «volontà politica» di far sì che questo accadesse da parte del governo bulgaro.

Il ministro dell’Energia Hristov ha poi accusato il primo ministro precedente, Kiril Petkov, di aver inutilmente peggiorato i rapporti tra la Bulgaria e la Russia, rendendo complicate e difficili future negoziazioni sul gas”.

Ungheria e Bulgaria fanno parte dell’Unione Europea.

Scenario inquietante

E’ quello tratteggiato da Il Post in un report molto dettagliato di due mesi fa.

“Se il governo russo decidesse come rappresaglia di interrompere le forniture di gas, in risposta a un duro scontro politico o addirittura militare con l’Europa – rimarca il report –  le conseguenze sarebbero estremamente serie. Questo è un argomento spesso usato dai più scettici in Europa nei confronti di uno scontro con la Russia, che ha delle ragioni ma fino a un certo punto. Il sistema di scorte europeo è infatti piuttosto resiliente e, come ha scritto l’Economist, sarebbe in grado di sostenere un taglio alle forniture anche abbastanza prolungato. Ma la dipendenza dell’Europa dal gas russo è innegabile, e senza dubbio uno scontro sulle forniture energetiche causerebbe seri problemi.

L’Italia, poi, è particolarmente dipendente dal gas russo.

Secondo i dati del ministero della Transizione ecologica, nel 2020 il 43,3 per cento del gas naturale importato dall’Italia proveniva dalla Russia, che è di gran lunga il primo fornitore di gas nel paese. Nelle forniture italiane hanno anche un grosso peso l’Algeria (22,8 per cento), la Norvegia e il Qatar (entrambi attorno al 10 per cento). Se la Russia decidesse di interrompere del tutto le forniture di gas, l’Italia perderebbe quasi la metà delle sue importazioni.

Nel 2020, in Italia, il gas naturale corrispondeva al 31 per cento del totale dell’energia consumata nel paese. È quasi tutto gas importato: la produzione interna corrisponde a meno del 10 per cento del totale.

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In Europa la situazione è più varia, ma la dipendenza dal gas russo è comunque notevole. Il grande paese più esposto è certamente la Germania, che importa dalla Russia circa la metà del suo gas, mentre in altri stati più piccoli, come l’Austria e la Slovacchia, la dipendenza è ancora maggiore.

La Francia è invece relativamente meno esposta, soprattutto grazie al suo ampio uso dell’energia nucleare. Questo non significa, tuttavia, che l’Europa sia irrimediabilmente sotto il ricatto energetico della Russia.

Anzitutto – continua Il Post – perché il ricatto funziona da entrambe le parti: come l’Europa ha bisogno del gas russo, la Russia ha bisogno delle enormi entrate che ottiene dalla sua vendita. Secondo l’Ocse, circa il 40 per cento del budget dello stato russo dipende dai ricavi delle esportazioni di gas e petrolio. 

È per questo che, benché l’Europa dipenda dal gas russo ormai da decenni, il paese non ha mai interrotto le sue forniture, nemmeno nei periodi più conflittuali della Guerra fredda.

In ogni caso, negli ultimi anni sia la Russia sia l’Europa si sono mosse per ridurre quanto possibile la loro duplice dipendenza.

L’Economist qualche giorno fa ha provato a raccogliere dati e analisi per cercare di capire cosa succederebbe se la Russia decidesse davvero di interrompere le sue forniture di gas per i prossimi tre mesi (con l’arrivo della primavera, la necessità di gas per scaldare gli edifici si riduce, e il suo valore come arma di ricatto si annulla). Il risultato è che, benché l’interruzione sarebbe un colpo duro sia per l’economia russa sia per quella europea, non sarebbe catastrofico per nessuna delle due.

Per Gazprom, la società di stato russa che gestisce l’estrazione e l’esportazione del gas naturale, interrompere le vendite di gas all’Europa significherebbe perdere tra i 203 e i 228 milioni di dollari al giorno: in tre mesi, le perdite ammonterebbero a 20 miliardi. È una somma enorme, che però sarebbe abbastanza facile da ripianare per la Russia, la cui banca centrale ha riserve per 600 miliardi di dollari.

Per Gazprom, tuttavia, interrompere le forniture costituirebbe anche un gravissimo problema di reputazione: anche a crisi terminata, diventerebbe molto più difficile stipulare nuovi contratti non soltanto con i paesi europei, ma anche con altri grossi paesi come la Cina, che potrebbero voler evitare di fare affari con un partner inaffidabile. Inoltre grandi e importanti progetti infrastrutturali, come il gasdotto Nord Stream 2, potrebbero considerarsi cancellati se davvero la Russia decidesse di colpire l’Europa tagliando il gas: il business di Gazprom in Europa e non solo sarebbe compromesso, forse definitivamente.

Per l’Europa, invece, l’interruzione delle forniture di gas russo non significherebbe trovarsi senza elettricità e riscaldamento da domani. Tutti i paesi, anche l’Italia, hanno significative scorte di gas, che si sono ridotte negli ultimi tempi ma che potrebbero comunque consentire di sopperire alle mancate importazioni russe per qualche mese (tra i due e i quattro, a seconda delle stime e a seconda della rigidità dell’inverno).

Inoltre, l’Europa potrebbe attivarsi piuttosto rapidamente per cercare forniture alternative. Una delle più probabili è il cosiddetto Gnl, cioè lo stesso prodotto compresso, raffreddato e reso liquido, che può essere trasportato via nave e non ha bisogno dei gasdotti. L’Europa ha un’ampia capacità largamente inutilizzata di rigassificatori (gli impianti che servono a riportare il Gnl allo stato gassoso per essere utilizzato come fonte energetica) che consentirebbero di ridurre in parte gli effetti del taglio delle forniture russe.

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Negli ultimi giorni il governo americano, consapevole della debolezza europea sul piano energetico, ha avviato un piano d’emergenza sostituire le importazioni di gas dalla Russia con Gnl 

proveniente dagli stessi Stati Uniti o da altri paesi come il Qatar e trasportato via nave, se ce ne fosse bisogno. Per ora tuttavia questo piano è piuttosto vago, e serve soprattutto a rassicurare i leader europei sul fatto che non saranno lasciati soli a sostenere le conseguenze di un’eventuale rappresaglia energetica della Russia.

Per l’Europa, dunque, il problema non sarebbe tanto di forniture quanto di prezzi: sostituire parte delle importazioni di gas russo è fattibile, con molti sforzi, ma l’aumento dei costi sarebbe significativo – e questo avverrebbe in un momento in cui il mercato è già in crisi, e i prezzi dell’energia sono ai massimi da anni. Ciò comporterebbe, probabilmente, la necessità di sostegni pubblici molto più ingenti di quelli già messi in atto dai governi”. Così Il Post. Due mesi dopo, la situazione è ulteriormente peggiorata.

L’analisi dell’Ispi

Nel ponderoso report prodotto dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, c’è scritto tra l’altro: “Potendo fare affidamento su un potere di mercato del 50%, la Russia è di fatto un oligopolista. Di conseguenza i prezzi sul mercato europeo sono influenzabili dalle strategie adottate da Gazprom, l’azienda russa che si occupa di vendere ed esportare il gas naturale. E che, a partire dalla scorsa estate, ha gradualmente ridotto le forniture di gas verso l’Ue, da ottobre scese sotto i minimi del quinquennio 2015-2019.

La forte domanda europea di gas degli ultimi mesi (anche causata dalla scarsa produzione di elettricità da fonti rinnovabili dell’estate scorsa), assieme alla graduale chiusura dei rubinetti russi, hanno prima lasciato i livelli di stoccaggio di gas naturale ai minimi degli ultimi dieci anni e poi, nel corso dell’autunno e ora dell’inverno, costretto i governi europei a utilizzarli più del previsto E se con consumi in ripresa l’offerta di gas naturale crolla, il mercato di certo non sta a guardare.

Forse peggio. Il risultato delle azioni di Gazprom è che nel giro di un anno i prezzi del gas in Europa sono quintuplicati, e secondo l’Imf potrebbero crescere ancora del 58% nel corso del 2022. Con essi aumenterebbe la spesa europea per l’energia nel 2022 che, anche senza un taglio del gas russo, ammonterà a circa 1000 miliardi di dollari: il doppio rispetto al 2019. 

Le analogie con la crisi energetica del ‘73 non sono poche. Anch’essa fu provocata dalla volontà di un oligopolista (l’Opec) di ridurre le proprie forniture (di greggio) verso i paesi occidentali per cause geopolitiche (il loro sostengo a Israele durante la guerra del Kippur). Ma allora i prezzi aumentarono “solo” di un fattore 2,5.

Fu comunque sufficiente per contribuire al rallentamento della crescita economica mondiale dal 6,8% nel 1973 al 2,8% nel 1974, all’aumento dell’inflazione (cresciuta negli Usa dal 3% del 1972 al 12% del 1974) e del debito pubblico (quello italiano raddoppiò, dal 30% del 1972 al 60% del 1976). Non le prospettive migliori per lo scenario odierno, già segnato da un rimbalzo economico minore delle previsioni, alta inflazione e debito pubblico ai massimi storici”

L’inverno è alle porte. E sarà un inverno “caldo” per l’Italia e l’Europa. La guerra del gas non fa prigionieri. 

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