Siria, undici anni dopo: il martirio di un popolo continua
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Siria, undici anni dopo: il martirio di un popolo continua

La mattanza siriana. Ed è un dovere, non solo professionale ma etico, farlo, soprattutto quando quella tragedia è colpevolmente scomparsa dai “radar” mediatici.  Perché in Siria si continua a morire. A morire di fame. 

Siria, undici anni dopo: il martirio di un popolo continua
Povertà in Soria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Marzo 2022 - 18.09


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Il tempo non deve cancellare la memoria collettiva di una mattanza che dura da 11 anni. La mattanza siriana. Ed è un dovere, non solo professionale ma etico, farlo, soprattutto quando quella tragedia è colpevolmente scomparsa dai “radar” mediatici.  Perché in Siria si continua a morire. A morire di fame. 

La denuncia di Oxfam

A 11 anni esatti dallo scoppio della guerra in Siria, il 60% della popolazione soffre la fame, con i prezzi dei beni alimentari che sono raddoppiati nell’ultimo anno. Il paese fino ad oggi ha fatto affidamento sulle importazioni di cibo dalla Russia, ma ora, con la crisi ucraina, i prezzi alimentari potranno diventare ancor più proibitivi.

È l’allarme lanciato oggi da Oxfam, che ha realizzato un’indagine tra 300 siriani nelle zone del Paese controllate dal Governo: il 90% degli intervistati ha dichiarato di potersi permettere al momento solo un po’ di pane e riso, solo occasionalmente verdura.

L’impatto della crisi ucraina e della pandemia sul crollo dell’economia siriana

In un sistema economico già ridotto ai minimi termini da oltre un decennio di guerra, due anni di pandemia e dalla crisi bancaria libanese, in questo momento le sanzioni sulla Russia hanno un effetto dirompente, provocando l’interruzione delle importazioni di cibo e carburante, con la sterlina siriana che si sta svalutando ad una velocità vertiginosa.

 “6 siriani su 10 non sanno letteralmente come procurarsi il cibo –  afferma Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Nell’area intorno a Damasco le persone fanno ore e ore di fila per il pane, mentre i bambini cercano qualcosa da mangiare tra i rifiuti. Per sopravvivere molte famiglie si stanno indebitando, o decidono di mandare i figli a lavorare, razionano il numero di pasti. Per avere una bocca in meno da sfamare, fanno sposare le figlie, anche minorenni. Sono questi gli indicibili effetti di un conflitto dimenticato, in un Paese dove il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di disoccupazione è arrivato al 60% e il salario minimo mensile nel settore pubblico è di 26 dollari”. 

In questo momento 12,4 milioni di persone in Siria vivono in una condizione di insicurezza alimentare, il lavoro minorile è diffuso nell’84% delle comunità, mentre i matrimoni precoci nel 71%. Il Paese inoltre fino ad oggi ha fatto affidamento sulle importazioni di grano dalla Russia. Con lo scoppio della crisi in Ucraina, il Governo ha deciso perciò il razionamento delle riserve alimentari e non solo: oltre al grano, zucchero, riso e carburante. 

Cartoline dall’inferno 

“Terribile vivere sotto le bombe, ma non poter sfamare i figli è peggio”

Oxfam ha raccolto diverse testimonianze che raccontano il dramma che in questo momento sta vivendo il popolo siriano.  Per noi non ha senso pensare al domani, se non sappiamo cosa mettere in tavola oggi per sfamare i nostri figli”, racconta Hala, che vive a Deir-ez-Zor una delle zone più devastate dalla guerra dove Oxfam è al lavoro per soccorrere la popolazione.

“Lavoro 13 ore al giorno per sfamare i miei figli, ma non sembra bastare – continua Majed che vive nel governatorato di Rural Damasco – A volte vorrei che la giornata durasse più di 24 ore per lavorare di più. Sono stanchissimo e non so se riusciremo a sopravvivere.”

 “Uno stipendio medio basta appena per le spese essenziali”, aggiunge Moutaz Adam.

Oxfam ha intervistato 300 beneficiari nelle aree governative dei governatorati di Aleppo, Deir-ez-Zor e Damasco rurale – 100 beneficiari in ciascuno – scoprendo che l’88% mangia solo pane, riso e occasionalmente verdure. Il 60% delle persone afferma di guadagnare meno di quanto necessario per coprire il proprio fabbisogno alimentare: il 10% fa affidamento solo su pane e tè per sopravvivere. Poiché il pane sovvenzionato fornisce circa 840 kcal al giorno, ciò equivale solo al 40% delle calorie necessarie per sopravvivere. Solo l’1,5% può permettersi raramente di acquistare carne.

L’appello alla comunità internazionale

“Per quanto scioccante sia, i siriani dicono che vivere sotto le bombe era terribile, ma non aver da mangiare per i figli lo è ancor di più. – conclude Pezzati – A 11 anni dall’inizio della crisi siriana, il dolore e la sofferenza sembrano non avere fine. Per questo lanciamo un appello urgente alla comunità internazionale e ai paesi donatori perché concentrino gli aiuti sul finanziamento di programmi urgenti di risposta alla fame e di protezione sociale per salvare vite e ridare speranza ad un intero popolo”.

La risposta di Oxfam alla crisi siriana

Oxfam lavora in Siria dal 2013 per fornire assistenza umanitaria alle persone colpite dal conflitto. Nell’ultimo anno, ha raggiunto 1,2 milioni di persone, portando acqua pulita, servizi igienico sanitari e voucher per l’acquisto di beni di prima necessità. Oxfam promuove inoltre progetti in campo agricolo e conduce campagne di sensibilizzazione sul Covid-19.

Dalla parte dei più indifesi

In Siria, dopo 11 anni di conflitto, 6,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria, 2,5 milioni di bambine e bambini non vanno a scuola e quasi 800.000 sono malnutriti

Ancora una volta, Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, lancia l’allarme per le sorti dei bambini siriani che sono intrappolati in un conflitto voluto dagli adulti che non sembra avere fine. 

I bambini nel Paese vivono ancora in condizioni drammatiche, abitano in campi sporchi e non sicuri, esposti a bombardamenti e ad attacchi aerei, e devono affrontare quotidianamente fame, malattie e malnutrizione.

Nel nord della Siria, il conflitto sta ancora causando molte vittime tra i civili e costringe ogni giorno le famiglie a lasciare le proprie case. Nel 2021, Save the Children e Hurras Network, il suo partner sul territorio, hanno registrato almeno 15 attacchi ad istituti scolastici in tutta la Siria nord-occidentale. Ad ottobre, tre bambini e un insegnante sono stati uccisi in un attacco mentre andavano a scuola.

Una combinazione letale di Covid-19, svalutazione delle principali valute e carenza di beni di prima necessità, ha gettato il paese in una profonda crisi economica, soprattutto nel nord del Paese, dove le famiglie sono costrette a lottare quotidianamente per la sopravvivenza. Circa 12 milioni di persone, il 55% della popolazione, vivono in uno stato di insicurezza alimentare.

Da dicembre 2020 a dicembre 2021[3], il prezzo del paniere alimentare medio[in Siria, è aumentato del 97%. Questo significa che, in un anno, una famiglia media spende il 41% del proprio reddito solo per il cibo che garantisce la sopravvivenza della propria famiglia. 

I nuclei familiari stanno limitando significativamente le quantità di cibo e la maggior parte di loro dipende interamente dall’assistenza umanitaria. Alcune, nel frattempo sono state costrette a mandare i propri figli a lavorare, con il lavoro minorile, che secondo le Nazioni Unite è prevalente nel 22% delle comunità in tutta la Siria

Si stima che la crisi ucraina stia causando la più rapida crescita del numero di rifugiati in Europa dalla seconda guerra mondiale È fondamentale che quello che sta accadendo non distolga l’attenzione da coloro che sono fuggiti dal conflitto siriano e che protezione e uguali diritti siano garantiti a tutti i rifugiati.

Yousef*, 12 anni, che vive a Ma’arat Misrin a Idlib, nel nord-ovest della Siria, ha perso entrambi i genitori in diversi bombardamenti. Il primo attacco, che ha ucciso sua madre, gli ha causato anche lesioni permanenti alle gambe. Nove anni fa è stato costretto a fuggire da casa con i suoi fratelli.

“Negli ultimi tre anni, abbiamo vissuto nella casa di mio nonno, ma a causa delle violenze e dei problemi finanziari, l’edificio non è ancora finito. Entrambi i miei genitori sono morti. Mia madre è morta da nove anni e mio padre da tre. Ho delle ferite alle gambe perché una granata ci è caduta addosso mentre eravamo seduti in casa. Mio padre mi portava in ospedale (per le cure mediche alle gambe), ma adesso che è morto, non c’è più nessuno che mi accompagni. Vorrei giocare e correre, ma non posso” ha detto Yousef.

Ahmed*, 13 anni, è il maggiore di 10 fratelli e vive in un campo profughi nelle campagne di Idlib. Lavora in un negozio dopo la scuola per aiutare a comprare il cibo per i suoi fratelli, poiché il padre è morto tre anni fa a causa di una malattia. “Dato che sono il maggiore e nessuno può aiutarci, lavoro qui, così possiamo sopravvivere”, ha dichiarato, aggiungendo che la maggior parte delle persone prende in prestito cibo dal negozio “finché non lavora e guadagna soldi per ripagare i propri debiti”.

Save the Children sottolinea come, nel nord-est della Siria la crisi idrica si stia trasformando in siccità, il livello dei fiumi si sia abbassato e la popolazione non riesca ad accedere alle infrastrutture idriche perché danneggiate.

Khazna*, una 26enne madre di un bambino di un anno che vive a Shedadeh, una città sul fiume Eufrate, ha raccontato agli operatori di Save the Children: “L’ambiente in cui vivo non è pulito. Sporcizia e insetti entrano anche nel nostro cibo. Non abbiamo frigoriferi per conservare le provviste. I nostri vestiti si sporcano e mio figlio ha delle allergie per questo, oltre al fatto che soffriamo entrambi spesso diarrea e mal di pancia. A causa questo, stavo perdendo peso e dimagrivo di giorno in giorno e avevo delle profonde occhiaie. Ho avuto anche l’anemia”.

A causa della mancanza di acqua corrente pulita, molte madri restano senza cibo per dare la priorità alla spesa per l’acqua potabile. Secondo un recente studio condotto da Save the Children in cinque comunità nel nord-est della Siria, quasi un terzo (30%) delle donne che allattavano al seno non riuscivano a produrre abbastanza latte per i loro bambini e quello che avevano era spesso era di scarsa qualità. Inoltre il 7% dei bambini tra i 6 e i 59 mesi presentava una malnutrizione acuta grave e il 13% aveva una malnutrizione acuta moderata.

“Undici anni dopo l’inizio del conflitto, la Siria non è ancora un luogo sicuro per i bambini. Continuano a vivere nella violenza della guerra, a sperimentare il dolore e perdita di tutto, ad essere sradicati dalla propria casa, in alcuni casi costretti a spostarsi più volte. Non riescono a vedere nessuna opportunità per il proprio futuro. Tutto questo ha avuto un profondo impatto sulla loro salute mentale e sul benessere. I bambini hanno bisogno di vivere in pace e quelli che si trovano in Siria meritano un futuro”, dice Sonia Khush, Direttrice per l’emergenza in Siria di Save the Children.

“L’attenzione del mondo si rivolge adesso alla guerra in Ucraina, ma non possiamo lasciare che i bambini siriani vengano dimenticati. Undici anni di conflitto sono un oltraggio. Tutte le parti in guerra devono porre fine alla violenza per garantire che i bambini vivano in un ambiente sicuro. È necessario che la comunità internazionale aumenti i finanziamenti e la fornitura di beni e servizi salvavita, essenziali affinché tutti i bambini sopravvivano, siano aiutati ad affrontare gli effetti del conflitto e a crescere sani. Inoltre, i rifugiati che sono fuggiti dalla Siria devono essere protetti, così come previsto dal il diritto internazionale” ha proseguito Sonia Khush.

Save the Children lavora in Siria dal 2012 e ha raggiunto in questi anni 5 milioni di beneficiari, tra cui più di tre milioni di bambini. L’Organizzazione implementa sia interventi di risposta all’emergenza e salvavita, sia programmi che contribuiscono al ripristino di servizi di base, come quelli relativi alla protezione dei minori, alla sicurezza alimentare e alla sussistenza, all’accesso ai servizio igienico-sanitari, così come alla salute e nutrizione. 

Siria. Per non dimenticare.

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