Russia-Ucraina, la pace non vota scheda bianca. E i pacifisti non abbandonano il campo.
“È una inaccettabile follia. La sola idea che si debba tornare ad affrontare una guerra in Europa è una autentica follia.
Tutti i responsabili dell’Unione Europea e della politica internazionale sono chiamati ad agire con determinazione per impedire che la crisi dell’Ucraina sfoci in una nuova guerra che avrebbe conseguenze devastanti per tutto il mondo. Sarebbe una pericolosissima regressione storica. L’Europa dica subito una parola chiara: Mai più guerra in Europa! E agisca di conseguenza.
Non c’è alcuna possibilità di difendere i diritti umani o di risolvere le crisi muovendo carri armati, soldati, navi e aerei di guerra.
Questo è il tempo di dichiarare la pace e non la guerra!
Con la guerra si scaricherebbe su noi tutti una catastrofe umanitaria, una crisi energetica ed economica di enormi e incontrollabili proporzioni. Con la guerra tutto andrà perduto. Con la pace tutto è ancora possibile. L’Unione Europea è un progetto di pace. Nessun processo di allargamento politico o militare può avvenire a spese della vita e della pace.L’Unione Europea deve affrontare alla radice tutti i problemi che da lungo tempo attraversano e colpiscono l’Ucraina e i confini orientali. L’obiettivo principale deve essere la paziente e tenace costruzione della pace e della sicurezza dall’Atlantico agli Urali anche attraverso un reale processo di disarmo.
Allo stesso tempo, è necessario riconoscere che l’escalation in Ucraina è espressione del grave prolungato deterioramento delle relazioni internazionali e dell’altrettanto serio indebolimento delle Istituzioni internazionali. L’Italia e l’Europa lavorino per cambiare rotta:senza il rispetto della legalità internazionale, senza la democratizzazione e il rilancio del dialogo politico e della cooperazione a tutti i livelli sarà impossibile difendere i diritti umani e affrontare efficacemente le tante crisi che incombono. Non è possibile fare la guerra e, allo stesso tempo, promuovere la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Non è più ammissibile che la sicurezza degli stati continui a prevalere sulla sicurezza umana.
Per l’UE, per la sua storia, per i suoi valori, per i suoi cittadini, il Diritto internazionale dei diritti umani è la bussola per la soluzione del conflitto in Ucraina. Le guerre costituiscono una criminale sequela che ha le caratteristiche del circolo vizioso: guerra chiama guerra. Perché il cerchio si spezzi occorre che vengano meno gli attributi militari degli stati-nazione; si affermino strutture democratiche di governo mondiale; si metta in funzione il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. Il Trattato di Lisbona, stabilisce espressamente che “l’Unione promuove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite. …L’Unione opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di: … preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, …” (art. 21).
Ringraziamo Papa Francesco per aver promosso la Giornata di preghiera per la pace in Ucraina in un momento di grave sottovalutazione del pericolo.”
Così Flavio Lotti , Tavola della Pace e Marco Mascia, Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova.
L’Italia traccheggia
Molto interessante, a tal proposito, è l’analisi de il Post: “L’Italia continua comunque a essere considerata, assieme alla Germania, il più cauto tra i grandi paesi della Nato sulla crisi ucraina. Mentre l’amministrazione americana ha messo in “stato di allerta” 8.500 soldati, dichiarandoli pronti a essere spostati in Europa orientale con poco preavviso, e mentre vari altri paesi, come Francia, Regno Unito e Spagna, hanno annunciato o stanno preparando l’invio di armi e mezzi nell’Europa dell’est, l’Italia ha evitato di prendere alcun tipo di iniziativa.
Il governo si è limitato ad annunci convenzionali di fedeltà alla Nato: ancora mercoledì il ministro della Difesa Lorenzo Guerini su Repubblica dice che «l’Italia partecipa [alle manovre della Nato] nell’ambito di dispositivi di operazioni e missioni già autorizzate dal Parlamento», aggiungendo il consueto «l’Italia farà la propria parte».
Oltre a non aver preso misure particolari se non quelle già dettate dai suoi impegni con la Nato, l’Italia si è tenuta estremamente vaga sulle possibili ritorsioni economiche che potrebbe adottare contro la Russia nel caso di un’invasione dell’Ucraina. Questo mentre altre amministrazioni, in particolare quelle di Biden e del presidente francese Emmanuel Macron, hanno assunto toni molto più decisi e aggressivi.
La cautela dell’Italia è in parte dovuta a ragioni congiunturali. Tutto il mondo politico è concentrato sull’elezione del presidente della Repubblica, che potrebbe avere anche grossi effetti sulle altre istituzioni, ed è comprensibile che il governo non prenda grossi impegni sulla questione ucraina oltre a quelli dovuti se c’è la concreta possibilità che nel giro di qualche giorno la sua composizione cambi radicalmente. A questo si aggiunge un tradizionale disinteresse per le questioni estere, accentuato nel governo Draghi, che si è dato obiettivi soprattutto di risanamento economico.
Da anni il governo italiano ha inoltre buoni rapporti con la Russia di Putin, e anche nelle crisi precedenti si era distinto per essere uno dei più prudenti e restii nell’applicazione di sanzioni. Come ricorda per esempio Politico, durante la crisi in Crimea del 2014–2015 l’Italia «fu in prima fila nello sforzo diplomatico per evitare dure sanzioni alla Russia».
L’economia italiana è piuttosto esposta in Russia, e non soltanto perché, come il resto dell’Europa, l’Italia dipende dal gas russo per i suoi approvvigionamenti energetici, ma anche perché molte grandi aziende hanno stabilimenti e significativi interessi nel paese. Per il settore imprenditoriale italiano, dunque, evitare scontri con la Russia è una importante priorità, e l’incontro di mercoledì sembra confermarlo.
Inoltre una parte consistente delle forze politiche italiane, come la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ha forti legami ideologici e politici con Putin. Questo fa sì che, per esempio, ancora martedì Salvini si dichiarasse molto scettico sulle mosse della Nato, dicendo che se l’Italia dovesse prendere iniziative contro la Russia Putin potrebbe chiudere «i rubinetti del gas» e lasciare il paese «al buio e al freddo da domani».
Questo non significa, scrive Politico, che il governo italiano si opporrà a nuove sanzioni o che cercherà, come in passato, di renderle il più leggere possibili. Il governo di Mario Draghi è decisamente più “atlantista” e vicino agli Stati Uniti di quelli che l’hanno preceduto. Ma l’Italia rimarrà comunque tra i paesi più moderati e pronti al dialogo.
Inoltre, l’influenza dell’Italia nel decidere la direzione delle politiche europee è tutto sommato limitata. Come nota il New York Times, l’amministrazione americana è preoccupata soprattutto per la riluttanza nell’impegnarsi contro la Russia della Germania, che con la sua forza economica e il suo peso in Europa potrebbe rendere eccezionalmente più evidenti le divisioni all’interno della Nato su cosa fare in Ucraina”.
Così il Post.
La diplomazia delle armi
La Russia risponde alla mobilitazione di Usa e Nato con esercitazioni delle sue truppe corazzate in Crimea, mentre Washington chiarisce quali saranno le sanzioni destinate a portare un duro colpo all’economia di Mosca se osasse varcare i confini dell’Ucraina: comprese quelle che potrebbero colpire personalmente Vladimir Putin, ha minacciato in serata Joe Biden, in un’escalation di tensione sempre più preoccupante.
Il braccio di ferro tra le due grandi potenze insomma continua, con in mezzo l’Europa, dove Germania, e soprattutto Francia, cercano di ritagliarsi un ruolo indipendente. Nonostante le rassicurazioni sulla “totale unanimità” del fronte occidentale proferite dal presidente americano dopo il vertice in videoconferenza con i maggiori alleati europei – fra cui Mario Draghi – la divergenza di interessi, e conseguentemente di atteggiamento, appare sempre più evidente. Gli Usa sembrano comprendere i timori europei soprattutto per gli approvvigionamenti di gas russo, da cui dipendono per il 40% del loro fabbisogno. Per questo hanno fatto sapere che stanno mettendo a punto con gli alleati piani di emergenza per compensare un’eventuale riduzione delle esportazioni di Mosca guardando a varie aree del mondo, dall’Africa settentrionale al Medio Oriente, dall’Asia agli stessi Stati Uniti. Washington è in contatto anche con importanti acquirenti e fornitori di gas naturale liquefatto (Lng): l’obiettivo è assicurarsi piccoli volumi da molte fonti per superare l’inverno e la primavera, sfruttando inizialmente le scorte in caso di emergenza. I diversi approcci alla crisi tra le due sponde dell’Atlantico sono comunque saltati agli occhi negli ultimi giorni. Dapprima c’è stato il rifiuto di Berlino, che con Mosca ha forti legami economici, di inviare armi all’Ucraina. Poi la decisione dell’Ue di non seguire l’esempio Usa nel ritirare il personale non essenziale dalle ambasciate a Kiev. Infine la proposta del presidente francese Emmanuel Macron di aprire un canale diplomatico personale con Putin, con cui parlerà venerdì al telefono. L’obiettivo è attuare una de-escalation, e in questo c’è una “grande unità” tra Francia e Germania, sottolinea l’inquilino dell’Eliseo da Berlino, dove ha incontrato il cancelliere Olaf Scholz. Certo, sia Macron sia Scholz tornano ad avvertire la Russia che se varcherà i confini dell’Ucraina dovrà pagare un prezzo altissimo in termini di sanzioni, sulle quali secondo il Financial Times c’è una crescente “convergenza” tra Washington e Bruxelles. Ma la mano tesa verso Mosca segna un chiaro distanziamento dalle parole di Biden, che continua a parlare di una minaccia credibile e immediata di un attacco russo: potrebbe avvenire “any time”, in qualsiasi momento, “ma ancora una volta non possiamo fare una previsione su quale decisione prenderà Putin”, ha ripetuto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki. Gli Stati Uniti – prima della minaccia rivolta personalmente a Putin da Biden, che pure ha escluso l’impiego di truppe Usa e Nato sul territorio ucraino – hanno fatto anche circolare ufficiosamente una bozza di quelle che potrebbero essere le misure punitive, dal divieto di esportazione di tecnologia americana nei campi dell’intelligenza artificiale, dei computer avanzati, della difesa e dell’aerospaziale. Inoltre, divieto alle banche russe di eseguire transazioni in dollari. Da parte sua un portavoce della Commissione, dando anch’egli assicurazioni sulla “forte unità” nel campo occidentale, ha affermato che l’Ue è pronta a seguire gli Usa, facendo pagare “massicci costi economici” a Mosca qualora aggredisse davvero l’Ucraina. La Russia risponde mobilitando le sue truppe per manovre ai confini ucraini e ricordando a Washington che sta aspettando le risposte alle sue richieste sulla sicurezza in Europa, basate principalmente sulla riduzione della presenza delle forze Nato nell’Europa orientale e la promessa che Kiev non entrerà mai a farne parte. Una “proposta scritta” al Cremlino arriverà nel fine settimana dalla Nato, ha fatto sapere in un’intervista alla Cnn il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg. “Siamo pronti a sederci al tavolo e ascoltare le preoccupazioni della Russia ma – ha avvertito Stoltenberg – non siamo pronti a scendere a compromessi sui nostri principi”. Putin e i suoi diplomatici comunque non mostrano impazienza, e sembrano aspettare che le piccole crepe apparse nel muro dello schieramento occidentale si trasformino in vere e proprie spaccature. I segnali in questo senso non mancano. Il premier polacco Mateusz Morawiecki ha apertamente criticato la Germania, accusandola di pensare solo ai suoi “interessi economici”. Mentre la piccola Croazia, membro del Patto atlantico dal 2009, ha fatto sapere di non volere avere “nulla a che fare con l’incremento della presenta militare della Nato nell’est dell’Europa”, come ha detto il presidente Zoran Milanović. Anche l’Ucraina lancia qualche segnale contraddittorio, probabilmente allarmata per il crescere delle tensioni. Il ministro della Difesa, Alexei Reznikov, ha affermato che al momento una minaccia di invasione russa “non esiste”, anche se per il futuro rimangono “scenari rischiosi”. Ma poi le autorità di Kiev hanno detto di avere smantellato un “gruppo criminale” legato a Mosca che preparava “attacchi armati” per destabilizzare il Paese.