Libia, il faraone al-Sisi si fa arbitro. Ed estrae il cartellino rosso per l'Italia
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Libia, il faraone al-Sisi si fa arbitro. Ed estrae il cartellino rosso per l'Italia

Dopo aver appoggiato apertamente Haftar l’Egitto si posiziona per giocare un ruolo da mediatore tra Tripolitania e Cirenaica.

Haftar e Al Sisi
Haftar e Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Dicembre 2020 - 17.04


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Da giocatore ad arbitro. Il nuovo ruolo del “faraone” in Libia. Annota in proposito Lorenzo Cremonesi su Il Corriere della Sera: “Intanto l’Egitto si posiziona per giocare un ruolo da mediatore tra Tripolitania e Cirenaica. La novità importante nella Libia paralizzata dai contrasti interni e dalle ingerenze straniere si è consumata ieri a 150 metri dal perimetro dell’ambasciata italiana di Tripoli. Era infatti da poco trascorso mezzogiorno quando il personale italiano ha assistito in diretta all’arrivo di una folta delegazione egiziana nell’edificio limitrofo. Una mossa destinata a pesare sul Paese. L’ambasciata egiziana era stata chiusa nel febbraio 2014 e da allora tra il governo di Abdel Fattah al Sisi e quello poi sostenuto dalle Nazioni Unite guidato dal premier Fayez Sarraj a Tripoli era stata guerra aperta. Sembra invece che gli egiziani abbiano adesso deciso di rimandare un ambasciatore e di aprire un consolato nel Fezzan. Si prospetta anche una prossima visita di Sarraj in Egitto, dopo quella semisegreta di alcune settimane fa. 

Da giocatore ad arbitro

“Il nuovo attivismo egiziano – avverte Cremonesi – dovrà venire considerato con attenzione anche in Italia, specie alla luce della crisi tra Roma e il Cairo innescata dall’affare Regeni. L’Egitto infatti mira ad essere un attore rilevante dello scenario libico. Va sottolineato che proprio al Sisi era stato uno dei maggiori alleati politici e militari dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. L’Egitto, assieme alla Russia, aveva pienamente sostenuto la violenta offensiva lanciata da Haftar nel 2019 per conquistare Tripoli. Ma l’intervento turco al fianco delle milizie pro-Sarraj l’aveva bloccato. Oggi l’Onu resta marginale. Il suo nuovo inviato per la Libia, il diplomatico bulgaro Nickolay Mladenov, ha rinunciato all’incarico ancora prima di cominciare. Intanto Haftar e la Turchia si scambiano minacce di guerra. E al Sisi sa bene che per entrare nelle grazie di Biden gli sarà utile slegarsi dal carro di Putin, con cui invece Trump andava a braccetto”.

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 Le comuni sfide di sicurezza, i mezzi per rafforzare la cooperazione tra le parti in questo settore e i modi per consolidare l’accordo di cessate il fuoco in Libia sono stati i temi al centro di un incontro a Tripoli tra il ministro dell’Interno del governo di unità nazionale (Gna), Fathi Bashaga, e una delegazione egiziana. Lo ha reso noto il ministero dell’Interno di Tripoli in un comunicato, precisando che all’incontro ha preso parte anche il capo dell’intelligence libica, Emad al Trabelsi.

Si tratta della prima visita a Tripoli di funzionari egiziani dal 2014, essendo il governo del Cairo, insieme a Russia ed Emirati, tra i principali sostenitori del generale Khalifa Haftar, alla guida del sedicente Esercito nazionale libico (Lna) che controlla la Cirenaica. 
 Bashaga su Twitter ha definito l’incontro con la delegazione per la sicurezza egiziana proficuo e costruttivo. “Abbiamo esaminato, durante questi incontri, i mezzi per rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza e intelligence in modo da proteggere gli interessi dei due Paesi e della regione dal pericolo del terrorismo e della criminalità organizzata”, ha twittato il ministro dell’Interno di Tripoli aggiungendo: “Le nostre relazioni con il Cairo sono molto importanti. Aspiriamo a consolidare le nostre relazioni con tutti i Paesi amici. La Libia sarà un punto di consenso e convergenza, non un’arena di discordia e conflitto. Far prevalere la forza della logica sulla logica della forza è l’unico modo per porre fine alla crisi libica”. 

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Eni, il vero ministero degli Esteri

Naturalmente di tutte queste manovre di riposizionamento, l’Italia era all’oscuro. Totalmente fuori gioco. Per al-Sisi siamo al massimo venditori di fregate. Per Erdogan, un ingombro a Tripoli. Per Putin un Paese a cui dispensare qualche favore (vedi la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo) ma nulla più. Solo una informazione abituata a fare da megafono alle “veline2 di palazzo, può bersi la storia di una Italia protagonista nel Mediterraneo. Basta parlare con fonti qualificate a Tripoli, come a Bengasi o a Tunisi, per conoscere l’amara verità: se l’Italia esiste ancora nella Sponda sud del Mediterraneo è perché ad agire, e a orientare la nostra azione diplomatica, è rimasta l’Eni, il vero ministero degli Esteri. Tra l’ad del cane a sei zampe, Claudio Descalzi, e il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, non c’è partita, non solo quanto a competenza ed esperienza, questo era ampiamente scontato, ma anche come interlocutore prioritario di rais, generali, magnati nordafricani e del Vicino Oriente. E’ l’Eni, e non Di Maio, ad aver favorito la famosa intervista in due puntate di Repubblica ad al-Sisi, ed è ancora l’Eni a mantenere rapporti con le tribù libiche che controllano le aree petrolifere. Ed è sempre l’Eni a fare da collante con i militari che dettano legge in Algeria, altro Paese chiave nella partita petrolifera. Così stanno le cose. Il resto è fuffa. 

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