Libia, per Di Maio contano più i pozzi petroliferi che i morti in mare
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Libia, per Di Maio contano più i pozzi petroliferi che i morti in mare

Per il grillino 45 morti non valgono neanche un tweet. Per lui l’unica ossessione che lo pervade, assieme ai componenti del Governo, sembra essere quella di come frenare l’arrivo di migranti

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Agosto 2020 - 17.02


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Per il nostro ministro degli Esteri, la riapertura dei pozzi di petrolio vale più della vita di 45 persone morte nell’ennesima tragedia nel Mediterraneo. Così è. 

Per Luigi Di Maio quei morti non valgono neanche un tweet. Perché per lui non sono persone sono “migranti” e l’unica ossessione che lo pervade, assieme ai componenti del Governo di cui fa parte, sembra essere quella di come frenare l’arrivo di migranti illegali. Il titolare della Farnesina non si spinge fino al punto di usare la parola “invasione”, perché su quella c’è il copyright di Salvini, ma il senso del suo agire, si fa per dire, internazionale è lo stesso: che le persone muoiano in mare, che quelle respinte finiscano nei lager libici, a “Giggino” importa poco o niente, d’altro canto, è stato uno dei sostenitori più accaniti del vergognoso rifinanziamento alla vergognosa Guardia costiera libica. E non contento di questa prodezza, Di Maio ci ha provato anche con la Tunisia, recandosi in visita ufficiale a Tunisi, affiancato dalla collega ministra dell’Interno, la più sobria Luciana Lamorgese, e staccando un assegno, o meglio un pagherò, di 11 milioni di euro per le autorità tunisine a patto che s’impegnino di più per contrastare l’immigrazione clandestina. Per un Paese che vive una gravissima crisi economica, con un malessere sociale che spinge tanti tunisini, soprattutto giovani, a tentare la sorte imbarcandosi su una carretta del mare, 11 milioni sono un nulla.

Tragedia in mare

Almeno 45 persone sono morte il 17 agosto al largo della Libia: a denunciarlo sono state l’Oim e l’Unhcr, esprimendo profondo dolore per quello che è “il naufragio di maggiori proporzioni registrato al largo della costa libica quest’anno. Al naufragio sono sopravvissuti 37 migranti, la maggior parte provenienti da Senegal, Mali, Ciad e Ghana. I sopravvissuti sono stati soccorsi da pescatori locali e dopo lo sbarco sono stati arrestati dalle autorità della Libia, un paese che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e dove i migranti sono quotidianamente esposti ad abusi e violenze.

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Le due organizzazioni hanno rivolto un appello affinché si riveda l’approccio degli Stati alla gestione dei soccorsi nel Mediterraneo. È necessario rafforzare con urgenza le attuali capacità di ricerca e soccorso. Si continua a registrare l’assenza di programmi di ricerca e soccorso dedicati e a guida Ue. Temiamo che senza un incremento immediato di queste capacità, ci sia il rischio che si verifichino disastri analoghi a quelli in cui si è registrato un elevato numero di morti nel Mediterraneo centrale, prima del lancio dell’operazione Mare Nostrum”. 

Ma per il capo della diplomazia italiana, quell’appello non merita neanche un twitter. Cosa che invece ottiene la decisione del generale Khalifa Haftar di riaprire i pozzi petroliferi nell’area della Libia che ha ancoro sotto controllo. “L’Italia accoglie con favore l’annuncio della riattivazione dei terminal petroliferi in Libia. La riteniamo una scelta doverosa e di buon senso”, commenta il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in un tweet dal profilo della Farnesina. “Abbiamo sempre ritenuto che fosse inaccettabile affamare la popolazione libica, che merita invece un futuro libero e democratico. L’Italia è con la Libia e continuerà ad assisterla nell’ambito degli esiti della conferenza di Berlino”, si legge in un altro tweet. 

Due tweet a zero. Due tweet per cercare di mascherare il fatto che in Libia, come Globalist ha documentato in decine di articoli e interviste, l’Italia è fuori partita o, comunque, relegata in panchina.

Fuori da Misurata

L’ultima riprova in ordine di tempo, anticipata da Globalist, è stata la “cacciata” da Misurata. Cacciati per far posto ai turchi. E’ andata così, come ben ricostruisce AnalisiDifesa: il Governo di accordo nazionale (Gna) libico ha formalmente concesso alla Turchia il porto di Misurata come base per le navi militari operanti nel Mediterraneo Orientale e l’uso dell’aeroporto militare di al-Watya, nella Tripolitania Occidentale. Lo ha confermato lo stesso Gna dopo le rivelazioni di fonti di stampa vicine all’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar.

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L’accordo è stato stipulato il 17 agosto a Tripoli tra il Gna, la Turchia e il Qatar, durante la visita in Libia dei ministri della Difesa turco e qatariota, Hulusi Akar e Khaled al Attiyah. Secondo informazioni riferite su canali social pro-Turchia, il porto di Misurata (nella foto sotto) sarebbe stato dato in concessione alla Turchia per un periodo di 99 anni. Stando alle fonti della tv libica, sarebbe stato altresì concordato di istituire un centro di coordinamento tripartito (qatariota, turco e libico) che si riunirà mensilmente a Misurata al livello di capi di Stato maggiore.

Il Qatar si farà carico dei costi della ricostruzione di basi, caserme e accademie di Tripoli distrutte o danneggiate durante la guerra. Per la prima volta la delegazione del Qatar includeva anche consiglieri e istruttori militari che hanno tenuto incontri tripartiti con la parte libica e turca.

“Abbiamo raggiunto un’intesa con il ministro alla Difesa turco Hulusi Akar e con il ministro del Qatar Khaled bin Mohammad Al-Attiyah volto ad una cooperazione tripartita per realizzare un istituto militare per l’addestramento. In base all’accordo la Turchia e il Qatar invieranno consiglieri militari e forniranno addestramento alle loro accademie militari per i cadetti libici” ha affermato il viceministro alla Difesa tripolino, Salah al-Namrouch. Non sembra essere casuale la presenza a Tripoli il 17 agosto anche del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas che parlando con i giornalisti ha affermato che le potenze straniere “stanno continuando ad armare massicciamente” la Libia. La sua presenza a Tripoli il giorno della firma dell’accordo potrebbe però indicare il sostegno indiretto di Berlino al ruolo militare turco (e in prospettiva del Qatar) in Tripolitania, di fatto schierando la Germania al fianco di Ankara nelle tensioni in atto nel Mediterraneo in cui la Francia è invece saldamente posizionata in contrasto all’espansionismo turco. Nessuna reazione invece dal governo italiano che negli anni scorsi aveva programmi bilaterali con Tripoli per l’addestramento e la formazione delle forze libiche.

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La Turchia ha rafforzato la sua presenza nella regione occidentale, in particolare Tripoli e Misurata, e recentemente ha trasferito due sistemi di difesa aerea alla base aerea di Al Watiyah (nella foto sopra),  inviando da 50 a 60 veicoli militari nelle vicinanze della base”, ha dichiarato ancora il portavoce, spiegando che i cargo turchi “stanno ancora trasportando mercenari ed estremisti siriani da Gaziantep a Misurata”.

L’altro ieri, Haftar ha ricevuto il capo dei servizi segreti militari egiziani, generale Khaled Megawer, in una rara visita presso l’ufficio di Haftar nella base di Rajma, vicino Bengasi. Megawar avrebbe portato “un messaggio molto importante” del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il cui contenuto non è stato reso noto ma che potrebbe indicare una imminente risposta egiziana all’accordo tra Gna, Turchia e Qatar.

Nelle settimane scorse, il parlamento egiziano ha dato il via libera per un eventuale intervento militare.

Dopo Parigi, anche Berlino

Ecco l’elenco aggiornato dei Paesi che ci hanno fatto fuori dalla partita libica: Egitto, Turchia, Russia, Usa (pure Trump ci ha scaricati) Emirati Arabi Uniti, Qatar, Francia. E ora ci si mette anche la Germania, attore silenzioso eppure tremendamente efficace, che adesso riveste un ruolo di primo piano in Libia. Il governo tedesco da una parte vende armamenti alla Turchia e dall’altro si sta ponendo come mediatore nel conflitto libico. Ha iniziato a farlo con la conferenza di Berlino dello scorso gennaio e non intende smettere. Non c’è quindi da stupirsi se uno dei promotori dell’accordo a tre siglato tra Qatar, Turchia e Tripoli sia il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Mass. Dunque oltre ad essere scalzati da Erdogan, nella “quarta sponda” ci fa le scarpe pure la Merkel. E’ come fare zero al totocalcio. Ci vuole del talento, in negativo. E questo tipo di “talento” non manca certo al ministro Di Maio.

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