Gli eroi silenziosi dell'inferno d'acqua di Houston: con i soccorritori alla ricerca di sopravvissuti
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Gli eroi silenziosi dell'inferno d'acqua di Houston: con i soccorritori alla ricerca di sopravvissuti

Gli effetti devastanti della tempesta Harvey nel racconto di una giornata passata a cercare di salvare la gente

L'uragano Harvey
L'uragano Harvey
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31 Agosto 2017 - 10.23


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di Paul Beauregard

Il barchino a fondo piatto percorre lentamente quello che, prima che Harvey si abbattesse sul Texas, era un vialone marcato da alberi alti e frondosi, alla periferia di Houston, ed ora è una linea d’acqua, che si insinua nelle case, negli scantinati e che in alcuni punti è persino limpida. Una massa d’acqua che sembra cristallizzare, nella sua apparente immobilità, la portata di una tragedia immane, il cui costo economico è ancora lontano dal potere essere definito con esattezza, ma che sicuramente è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari.

Sulla piccola imbarcazione dalla prua squadrata si trovano quattro uomini (nessuno di loro è giovane), che, restando impassibili davanti allo spettacolo spettrale che si materializza col passare dei minuti ai loro occhi, mostrano per intero la loro lunga esperienza nel Dive team, la polizia fluviale fiore all’occhiello della municipalità di Houston. Da cinque giorni ormai, con brevissime pause per consentire agli agenti di fermarsi per riposare un paio d’ore e, quindi, per non crollare sotto la scure della fatica (fisica e mentale) , la squadra guidata dal sergente Edward Godwyn percorre in lungo e largo la porzione di territorio che la centrale operativa che coordina i soccorsi ha loro assegnata per controllare, verificare e, se hanno fortuna, salvare.
Lo sciabordio dell’acqua contro la fiancata d’alluminio del barchino è appena sovrastato dal bassissimo numero di giri imposti al potente motore Mercury, che vorrebbe ruggire e che invece è quasi in silenzio per evitare che un segno di vita, pur se leggerissimo, possa non essere percepito. La fusione dei due rumori, l’acqua contro la barca ed il ronzio leggero del motore, rende ancora più spettrale lo spettacolo. Il silenzio è rotto solo dai colpi di fischietto che il sergente Godwyn e i tre uomini della sua squadra (protetti da tute impermeabili nere e rosse, che rendono un calvario affrontare l’umidità che si leva dall’acqua che li circonda) lanciano a brevi intervalli per segnalare la loro presenza a chi dovesse essere rimasto nelle case sommerse, per sua volontà (in tanti si rifiutano di andare via) o perché intrappolati su tetti o mansarde che si sono salvate dalla acque. Colpi brevi, ritmici, ai quali non c’è risposta ed il volto degli agenti resta cupo, ma senza rassegnazione. L’agente che è al timone del barchino, quasi all’improvviso, vira verso uno spazio che, prima dell’uragano, era un vialetto che si divideva portando ad una serie di abitazioni eleganti, case a due piani, anche se quelli che si affacciavano direttamente sulla strada strada ormai non si vedono più, coperti come sono dall’acqua. Non si capisce se l’agente, per quella deviazione, sia stato spinto da un rumore o, come più probabile, dall’istinto. Ferma il barchino e, come seguendo uno spartito collaudato, i suoi colleghi, che già parlavano a voce bassissima, si zittiscono. Tutti restano fermi, per qualche minuto, cercando di cogliere anche il più flebile segnale di vita. Un silenzio crudele risponde loro e gli agenti tornano con il loro barchino sul vialone diventato fiume e riprendono la loro ricerca.
Anche se non sembra esserci nessuno, dice uno degli uomini di Godwyn, continuiamo a girare, almeno sino a quando non ci diranno di fermarci.
Cosa che potrebbe anche accadere, ma al momento l’ordine, pur se l’intensità della pioggia sembra essersi attenuata, è di non fermarsi perché il livello dell’acqua non mostra di volere scendere e quindi l’allarme resta necessariamente alto.
Controllare tutte le case sommerse (sarebbero almeno tremila, secondo la più prudente delle stime) è cosa richiede molto tempo perché le squadre di soccorso, quando giunge una segnalazione sulla possibile, probabile presenza di persone in difficoltà, lavorano sino a quando trovano qualcuno o sono sicuri che si tratti di un falso allarme.
Il Dive team della polizia di Houston continua nel suo lavoro che consiste anche nel controllare le decine di migliaia di automobili che la corrente ha portato via o ha sbattuto contro il muro delle case e che potrebbero anche essere diventate la tomba dei loro occupanti. Come è accaduto in una strada di periferia dove, in un van bianco, sono stati trovati i corpi di una coppia di anziani coniugi e dei quattro nipotini che erano stati loro affidati per essere portati in salvo e che invece sono morti, annegati in uno spazio angusto, dove il livello dell’acqua è salito lentamente, inesorabilmente, crudelmente.
Harvey si appresta ad essere, per gli Stati Uniti, la calamità naturale con i danni più alti, persino di Katrina, e nonostante questo c’é chi sembra non essere nemmeno lontanamente toccato dalla tragedia che, ad oggi, avrebbe provocato quasi quaranta morti.

La piccola imbarcazione dei soccorritori, nel lento girovagare, mentre il sole comincia a calare e che tra poco lascerà il posto ad un buio totale che inghiottirà tutto, sino all’alba, incontra persone che si spostano su kayak o piroghe, forse nel tentativo di potere portare in salvo qualcuno degli oggetti a lui cari che la forza dell’acqua ha strappato da casa sua. Ma c’è anche chi, a bordo di una moto d’acqua e con tanto di giubetto rosso di salvataggio, gira scattando foto e selfie sullo sfondo di un dramma che meriterebbe ben altri testimoni.

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