Grecia contro tutti, la questione dei rapporti di forza
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Grecia contro tutti, la questione dei rapporti di forza

La protesta greca rappresenta al meglio il concetto della lotta tra basso e alto, in cui puntualmente i sofferenti non vincono mai

Grecia contro tutti, la questione dei rapporti di forza
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18 Luglio 2015 - 10.44


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di Luciana Castellina

La crisi greca e noi. La protesta indifferenziata di quello che ora viene chiamato “il basso” che si contrappone all'”alto”, per usare un concetto che oggi va di moda, non basta. E infatti, fin’ora, il 99%, sebbene sia una così grande maggioranza di sofferenti, non vince. Occorre di più.

Tutti si ricor-dano la famosa frase pro-nun-ciata da Ram-sey McDo-nald, primo pre-si-dente del con-si-glio di un governo labu-ri-sta in Gran Bre-ta-gna nel 1931, nel pieno dell’altra grande crisi eco-no-mica mon-diale: «Credevo che il peg-gio fosse stare all’opposizione senza il potere di cam-biare le cose, ora mi sono accorto che è peg-gio ancora stare al governo e non aver ugual-mente potere». Pochi ricor-dano forse quello che avvenne dopo, quando McDo-nald decise di rom-pere con il pro-prio par-tito le cui riven-di-ca-zioni non era in grado di sod-di-sfare e di dar vita ad un pes-simo governo di unità nazionale.

Ebbene, nella tri-stis-sima serata che tutti abbiamo tra-scorso ieri notte attac-cati alla tele-vi-sione per seguire quanto accadeva ad Atene, su piazza Sin-tagma e den-tro il palazzo del Par-la-mento che vi si affac-cia, abbiamo, almeno molti di noi, tirato un sospiro di sol-lievo: non solo — lo sape-vamo già prima — Tsi-pras non è Ram-sey McDo-nald, anche se ha dovuto spe-ri-men-tare una ana-loga impo-tenza — ma, quel che più conta, la rot-tura con il suo par-tito non è avvenuta.

Sia i 40 depu-tati di Syriza che hanno votato con-tro il memo-ran-dum, sia i 109 mem-bri del Comi-tato centrale che hanno espresso ana-loga oppo-si-zione, hanno riba-dito che que-sto non com-porta sfi-du-cia nei con-fronti del governo. Un’altra bella prova della matu-rità di Siryza. Se que-sta unità reg-gerà anche nelle dif-fi-ci-lis-sime set-ti-mane che ci aspet-tano, il peg-gio potrà forse essere evitato.

La scelta del che fare a fronte di un ricatto tanto arro-gante da non esser stato nem-meno imma-gi-nato è stata per Atene molto ardua, ed è com-pren-si-bile che abbia sol-le-vato un con-fronto così acceso, anzi dramma-tico. Tsi-pras, come sap-piamo, ha respinto l’ipotesi di un’uscita dall’eurozona, e ha scelto di correre i rischi dell’accordo leo-nino che gli è stato impo-sto per gua-da-gnare tempo — e man-te-nere una col-lo-ca-zione di governo — due fat-tori che aiu-tano ad affron-tare una situa-zione molto dif-fi-cile, ma meno dif-fi-cile di quella che si sarebbe creata, subito, ove le ban-che fos-sero rima-ste chiuse senza liquido, stipendi non paga-bili, blocco dei ser-vizi pub-blici, impor-ta-zioni impos-si-bili in un paese che senza comprare all’estero il car-bu-rante per i pro-pri pesche-recci non è in grado nem-meno di pescare il pro-prio pesce.
Dif-fi-cile e peri-co-losa: quando una crisi diventa così grave può acca-dere di tutto. Da parte dell’avversario, ma anche — la sto-ria ce lo inse-gna — per le ten-ta-zioni auto-ri-ta-rie cui si potrebbe cedere per con-trol-lare le ine-vi-ta-bili proteste.

Adesso, se non ci saranno lace-ra-zioni nel corpo di Syriza, sarà pos-si-bile lavo-rare per ridurre al minimo, e comun-que per distri-buire più equa-mente il peso delle misure impo-ste. Con-tando anche sull’estrema confu-sione che regna nel campo delle “isti-tu-zioni” UE: che non sono Maci-ste, ma una lea-der-ship sem-pre più con-fusa e sem-pre meno cre-di-bile. Basti pensare alla esi-la-rante uscita del Fondo mone-ta-rio, che dopo aver par-te-ci-pato ai nego-ziati con la inef-fa-bile signora Lagarde, manda adesso a dire che quell’accordo è ridi-colo, non potrà mai esser rea-liz-zato, per-chè la Gre-cia non potrà mai pagare un debito che negli anni, dopo le amo-re-voli cure dei dot-tori di Bru-xel-les, è pas-sato dal 127 % del PIL all’inizio della crisi al 176 % di oggi, al pre-ve-di-bile 200 % nel pros-simo futuro.

Degli 82 miliardi che ora sono stati con-cessi ad Atene solo il 35 % andrà all’economia reale, il resto a ripagare debiti già con-tratti e a rifi-nan-ziare le ban-che, così come del resto è acca-duto dal 2010, quando dei 226,7 miliardi elar-giti allora ne andò solo l’11,7%.

Anche sul piano poli-tico va ben sot-to-li-neato che da que-sta vicenda la lea-der-ship euro-pea è uscita malissimo. Anche in Ger-ma-nia: basta scor-rere la stampa tede-sca più auto-re-vole per sapere con quanta asprezza viene giu-di-cato l’operato del pro-prio governo: ” Il governo tede-sco ha distrutto in un wee-kend sette decenni di diplo-ma-zia” — ha scritto il set-ti-ma-nale Spie-gel e la auto-re-vo-lis-sima Sud-deu-tsche Zei-tung ha titolato:“La signora Mer-kel ‚il nuovo nemico dell’Europa”. Per non par-lare di come in que-ste set-ti-mane si siano mol-ti-pli-cate le voci, anche isti-tu-zio-nali, di chi dice che biso-gna andar-sene dall’UE.

Tsi-pras ha invece deciso di non abban-do-nare il campo di bat-ta-glia. Poteva deci-dere di lasciar per-dere e cedere a chi sug-ge-riva di imboc-care la strada di uno sbri-cio-la-mento che avrebbe in realtà lasciato ancor più privi di forza rispetto alla finanza glo-bale i sin-goli paesi.

Può darsi che per otte-nere que-sta diversa Europa sia neces-sa-rio ricor-rere anche a que-sta scelta, ma assurdo è pen-sare che dia più forza, ad Atene ma anche a tutti noi, che la Gre-cia, la più debole, imboc-chi que-sta strada da sola. Gre-xit, oggi, diven-te-rebbe solo la pate-tica vicenda di un pic-colo paese mar-gi-nale, la vit-to-ria, per l’appunto, di Scheubele.

Altra cosa è che a met-tere in discus-sione l’eurozona sia uno schie-ra-mento più forte, almeno i paesi mediter-ra-nei, sulla base di un chiaro pro-getto di lotta e di reci-proca soli-da-rietà. Que-sto fronte oggi non c’è e noi ita-liani pos-siamo solo ver-go-gnarci per-chè il nostro pre-si-dente del Con-si-glio, che avrebbe potuto, e dovuto, avere un ruolo di primo piano da svol-gere in que-sta situa-zione, ha messo, pau-roso, la testa sotto la sabbia.

Torna in primo piano il famoso con-cetto di “rap-porti di forza”, un ter-mine che sem-bra spa-rito dal vocabola-rio della sini-stra, sic-chè quanto accade ad Atene c’è chi lo rap-pre-senta come l’antico dilemma fra riforme o rivo-lu-zione. Quasi che sia pos-si-bile –scrive con la tra-di-zio-nale voca-zione al richiamo teo-rico tede-sco Blo-kupy su “Neues Deu-tschland” — con-si-de-rare la Gre-cia come un secolo fa la Rus-sia: l ‘anello più debole del capi-ta-li-smo da cui si sarebbe potuti par-tire. Lenin, del resto, quando disse que-sta frase, non sapeva che la rivo-lu-zione tede-sca sarebbe fallita.

Oggi, comun-que, noi sap-piamo che di un pro-cesso rivo-lu-zio-na-rio capace di soste-nere la rot-tura even-tuale della Gre-cia in Europa non c’è nem-meno l’odore. Non è rivo-lu-zio-na-rio sbat-tere comun-que la testa con-tro il muro senza valu-tare se si rompe la testa o si sbri-ciola il muro. Pre-ser-vare la testa non è un atto di viltà, ma di intel-li-genza. Almeno se si intende com-bat-tere ancora e non solo costruire un monu-mento ai mar-tiri.
“La gente pro-te-sta, scende in strada” — ci dicono anche nostri con-na-zio-nali che sono in Grecia.“Nei bar si dice che Tsi-pras ha tra-dito.” E’ com-pren-si-bile, ma per que-sto per vin-cere ci vogliono i par-titi e non i bar: pro-prio nei momenti dram-ma-tici è indi-spen-sa-bile un sog-getto con-sa-pe-vole, unito da una comune cul-tura poli-tica, da un rap-porto vero con le rispet-tive comu-nità, e non un agglo-me-rato emotivo.

Per costruire l’egemonia neces-sa-ria ad affron-tare situa-zioni com-plesse, con lotte mirate e non solo con la mol-ti-pli-ca-zione delle proteste.
E’ vero che lasciare solo alla poli-tica — par-titi e isti-tu-zioni — il potere di deci-dere può esser peri-co-loso, e lo è stato tante volte in pas-sato. Per que-sto sono utili movi-menti e forme dirette di espres-sione della società civile e spe-riamo che ce ne siano in Greci a pun-go-lare, anche con-te-stan-dole, le deci-sioni che verranno prese.

Ma la pro-te-sta indif-fe-ren-ziata di quello che ora viene chia-mato “il basso” che si con-trap-pone all’”alto”, per usare un con-cetto che oggi va di moda, non basta. E infatti, fin’ora, il 99%, seb-bene sia una così grande mag-gio-ranza di sof-fe-renti, non vince. Occorre di più.

Io la penso così. Ma sono molto con-for-tata nel riscon-trare che la grande mag-gio-ranza di coloro che stanno cer-cando di costruire in Ita-lia un nuovo sog-getto poli-tico uni-ta-rio la pensa in modo ana-logo. A qual-che -cosa la lunga sto-ria della nostra sini-stra — primo fra tutti il “genoma Gram-sci” — ci è pur servita!

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