L’esercito turco finalmente è intervenuto nel conflitto mediorientale, ma lo ha fatto per bombardare le postazioni curde, quelle dei ribelli del partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) , e questo attacco costituisce il primo serio intoppo in colloqui di pace lanciati più di due anni fa in un’area già seriamente minacciata dalla guerra che infuria nella vicina Siria.
Pochi giorni dopo i violenti scontri pro-curdi del paese, uno stormo di F-16 della forza aerea turca hanno colpito diversi obiettivi del PKK, dopo i ripetuti attachi verificatisi in precedenza alle forze di sicurezza e contro una stazione di polizia nel villaggio di Daglica , nel Sud-Est del Paese. Nella vicina regione di Tunceli, elicotteri d’attacco turchi hanno poi aperto il fuoco contro altre unità del PKK, dopo alcuni scontri tra ribelli ed esercito segnalati intorno Geyiksuyu.
In una dichiarazione scritta, il braccio armato del movimento ribelle ha confermato l’attacco di Daglica accusando l’esercito turco di avere “rotto il cessate-il-fuoco” unilateralmente dichiarato nel marzo 2013. A sua volta, il primo ministro Ahmet Davutoglu giustifica le operazioni, che ha descritto come “misure necessarie: non possiamo tollerare o fare la minima concessione al PKK”, ha aggiunto.
Questi incidenti, i più gravi registrati da due anni, rappresentano una seria minaccia al fragile processo di pace tra Ankara e il PKK, e questo improvviso aumento della tensione ha origine in Siria, dove lo Stato islamico prosegue l’ offensiva con cui il gruppo jihadista (EI) minaccia la città curda di Kobané. Indignati per il rifiuto del governo di islamico-conservatore di Ankara ad intervenire militarmente per salvare Kobané (Ain al-Arab in arabo), migliaia di giovani curdi sono scesi in strada in tutto il paese la scorsa settimana, scatenando disordini che hanno lasciato sul terreno 34 morti e centinaia di feriti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha levato la sua voce nel condannare le azioni di “canaglie al soldo di un’ organizzazione terroristica”, vale a dire il PKK, e denunciato un tentativo di “sabotare” colloqui che dice di voler salvare.
Il suo interlocutore principale, il leader imprigionato del PKK Abdullah Öcalan, avverte però il suo lato che la caduta di Kobané significherebbe di fatto la morte di ogni discussione e invita Ankara a presentare al più presto un calendario per il riavvio degli incontri. “Il PKK ed il governo mostrano i muscoli- commenta Nihat Ali Ozcan, analista presso il centro di ricerca TEPAV di Ankara- il processo di pace forse un giorno cadrà nel nulla, ma quel giorno non è arrivato”. Ankara ha ripreso nell’autunno 2012 negoziati diretti con Ocalan per cercare di porre fine una ribellione che ha ucciso 40.000 persone dal 1984 il PKK ha dichiarato un cessate il fuoco nel marzo successivo ed ha cominciato a ritirare la sua forze verso le basi sui monti di Kandil, nel nord dell’Iraq. Ormai da un anno però questo processo si é interrotto, poiché i curdi ritengono che il regime di Ankara non abbia mantenuto le sue promesse di riforma per la loro comunità, che ha 15 milioni di abitanti, ovvero il 20% della popolazione.
Le discussioni sono state in gran parte paralizzate dal momento in cui, nonostante le ripetute promesse di Erdogan dopo la sua elezione dello scorso agosto, l’offensiva della ” jihad” in Iraq e Siria ha fatto deragliare questo scenario. Nella situazione di emergenza che è venuta a creare, oggi la Turchia accoglie sul proprio territorio circa 200.000 profughi curdi ed preoccupata per il pericolo di rafforzare le forze curde, che si trovano in prima linea contro il gruppo EI.
Ankara si rifiuta di far passare combattenti curdi attraverso il confine per farli unire al fronte di Kobané, e con questo alimenta i sospetti ed il risentimento dei curdi. Nonostante queste tensioni, Ankara ha promesso di fare di tutto per salvare i colloqui di pace. “Questo processo non è correlato a Kobané o qualsiasi evento che si svolga al di fuori dei nostri confini – dice Davutoglu – per noi si tratta di un obiettivo molto importante e non permetteremo a nessuno di sabotarlo”.
Fonti: Agenzie