8 marzo da schiave: le donne nell'Afghanistan democratico
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8 marzo da schiave: le donne nell'Afghanistan democratico

Un nuovo provvedimento sottoscritto da Karzai legalizza una pratica già diffusa tra la popolazione maschile: ammazzare di botte le mogli. [Francesca Marretta]

8 marzo da schiave: le donne nell'Afghanistan democratico
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8 Marzo 2012 - 15.23


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da Londra

Francesca Marretta
francesca.marretta@globalist.it

Nulla da festeggiare quest’otto marzo per le donne afghane. Martedì scorso Hamid Karzai, il Presidente-fantoccio che l’occidente paladino dei diritti umani e civili sostiene, ha approvato un nuovo “Codice di Condotta” per le donne degno dell’epoca talebana. Il provvedimento legalizza una pratica già diffusa tra la popolazione maschile: ammazzare di botte le mogli. Il “Condice di Condotta”, messo a punto dal Consiglio degli Ulema il 3 marzo e controfirmato da Karzai il 6, promuove poi la segregazione sessuale.
Stabilisce ad esempio che le donne non sono autorizzate a viaggiare senza un accompagnatore maschio, né frequentare posti “promiscui” come mercati, uffici e persino scuole. Chiunque sia stato di recente in Afghanistan può confermare che in larga parte del paese bambine e ragazze restano chiuse in casa senza poter andare a scuola. Ma che queste pratiche talebane siano introdotte per legge, perché la Nato ha perso la guerra e urge un accordo con l’insurrezione talebana, non solo è inaccettabile per i paesi che hanno sottoscritto la Carta delle Nazioni Unite e le più elementari convenzioni sui diritti umani, ma sbatte in faccia, una volta di più, il fallimento dell’avventura bellica afghana. Il bollettino di morte di questa guerra continua ad essere aggiornato quotidianamente. Ieri sono stati uccisi altri sei soldati britannici. Oggi almeno nove poliziotti afghani sono rimasti uccisi in un attacco talebano nel distretto di Charchino nel sud. I civili afghani hanno pagato un prezzo insopportabile, il che spiega perché odiano le forze Nato.

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Dalle statistiche su questo conflitto restano fuori migliaia di donne che ogni anno si tolgono la vita, anche auto-immolandosi, per l’impossibilità di vivere come esseri sub-umani. I dati ufficiali, punta dell’iceberg, dicono che in media duemilatrecento donne afghane tra i quindici e i quarant’anni, si tolgono la vita ogni anno le come «risorsa estrema di fronte a violenze subite».

Il nuovo “Codice di Condotta” è in linea con la Sharia, dice Karzai. Ma Fatana Ishaq Gailani, fondatrice dell’Afghanistan Women’s Council gli risponde: «Siamo donne islamiche e vogliamo un Islam corretto, non quello che fa comodo alla politica». Va sottolineato che Fatana Ishaq Gailani fa parte di un fronte che sostiene il dialogo coi talebani per arrivare a un accordo di pace, ma «non se questo significa sacrificare le donne afghane».

Il nuovo “Codice di Condotta” sarà pure conforme alla Sharia che interpreta Karzai, ma di sicuro confligge con la Costituzione afghana. La legge fondamentale dell’Afghanistan post-talebano prevede eguali diritti per uomini e donne. Lo denuncia Shukria Barikzai, parliamentare eletta a Kabul, respingendo il provvedimento.

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Con la firma del Codice degli Ulema, invece delle mimose Karzai ha consegnato alle donne del suo paese l’ennesima mela avvelenata.

Secondo Malai Joya, eletta in Parlamento nel 2005, e poi sospesa dalla carica parlamentare per aver paragonato a una stalla il Parlamento afghano che in nome della riconciliazione aveva graziato dei criminali di guerra, l’Afghanistan di oggi è peggio di quello dei talebani.

«Tante donne afghane oggi mettono il burqa per sentirsi al sicuro per strada. La politica degli Usa e della Nato è stata quella di sostituire i talebani con un regime fondamentalista in cui siedono signori della guerra. La loro mentalità verso le donne non è opposta a quella talebana. Tanti si vestono all’occidentale, ma non sono meno misogini». Parole pronunciate durante un incontro con Malai in uno dei suoi nascondigli a Kabul due anni fa. La ex deputata è costretta ad indossare il burqa in Afghanistan, per non farsi riconoscere. E’ sopravvissuta a numerosi tentativi di omicidio. Non sono solo talebani e i signori della guerra che denuncia a volerla morta, ma, dice, anche il governo di Kabul.

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Le donne che oggi Karzai umilia, sono le stesse in nome delle quali Bush annunciò l’invasione nel 2001 con lo slogan: “Liberare le donne dal burqa”.

Nel 2012, il protrarsi di un conflitto inutile stringe le afghane in una morsa che vede premere i talebani da una parte, e i signori della guerra e un governo inetto e corrotto dall’altra. Ecco perché a undici anni dalla fine del regime talebano ancora si danno fuoco usando le bombole di gas da cucina.

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