Foibe, 'il giorno del ricordo' che gli italiani volevano dimenticare
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Foibe, 'il giorno del ricordo' che gli italiani volevano dimenticare

Giornata istituita per conservare la memoria delle vittime delle Foibe e l'esodo dalle proprie terre di Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra.

Foibe, 'il giorno del ricordo' che gli italiani volevano dimenticare
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10 Febbraio 2023 - 10.18


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di Gianfranca Fois

Il 10 febbraio ricorre il Giorno del ricordo istituito il 30 marzo 2004, legge 92, col voto unanime del Parlamento italiano, per conservare la memoria delle vittime delle Foibe e l’esodo dalle proprie terre di Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra. Giustissimo. Peccato però che questi tragici fatti vengano presentati, anche dalle più alte istituzioni, in modo incompleto, mistificatorio tanto che gli Italiani e gli studenti, cui il Miur rivolge l’invito a conoscere, difficilmente capiscono quanto accadde. Così continuano a sopravvivere stereotipi e propaganda mentre manca la contestualizzazione storica che invece potrebbe fornire gli strumenti sia per comprendere sia per riflettere in momenti come quelli attuali caratterizzati spesso da ottusi nazionalismi che le tristi esperienze del 900 pensavamo avessero eliminato.In questa visione stereotipata al centro della narrazione ci sono le “vittime” che in questo modo vengono completamente deresponsabilizzate (“trucidate perché italiane”), così come vengono deresponsabilizzati gli Italiani che si possono autorappresentare come “brava gente” di fronte ai “barbari partigiani titini” E’ un sistema consolatorio e autoassolutorio che ci serve per rimuovere aspetti del nostro passato in cui non mancano terribili misfatti perpetrati come fascisti e colonizzatori, tanto per ricordarne alcuni con i quali non abbiamo mai fatto i conti.

Perciò, per cercare di approfondire la vicenda delle foibe, vorrei ricordare gli Italiani che furono perseguitati, costretti ad abbandonare le loro terre, spesso torturati, giustiziati, morti di stenti nei campi di concentramento italiani. Non vengono mai ricordati, sono Italiani ma di lingua slovena.


Gli Sloveni si insediarono nei territori friulani e giuliani alla caduta dell’impero romano, nel 1420 entrarono a far parte della Repubblica Veneziana per poi, con Napoleone I, essere sottomessi all’Austria e infine, dopo la prima guerra mondiale, divenire cittadini italiani. Trieste, per non sottostare a Venezia nel 1382 aveva chiesto la protezione del duca d’Austria e rimase sotto l’impero asburgico sino al 1918. Si tratta quindi di territori cosmopoliti, in cui convivevano etnie differenti e religioni differenti, Ebrei, Ortodossi e Cattolici. Nell’800 si crearono attriti fra i diversi gruppi etnici in concomitanza col diffondersi del concetto di nazione e con la snazionalizzazione, da parte della borghesia tedesca, degli Sloveni e Slavi in generale e degli Italiani. Contemporaneamente la borghesia slovena si rafforzava e dava vita a movimenti politici e culturali che però non si allearono con quelli italiani. I pochi tentativi fallirono.

Nei primi anni del 900 a coronamento dell’importanza sempre più evidente della componente slovena fu costruita a Trieste la casa della cultura slovena (Narodni Dom) ad opera dell’architetto Max Fabiani che ottenne per la sua opera riconoscimenti anche all’estero. La casa fu bruciata nel 1920 da squadre fasciste che impedirono l’intervento dei vigili del fuoco, come raccontano lo scrittore italiano di lingua slovena Boris Pahor e numerosi testimoni. Fu un episodio che determinò una profonda frattura tra la comunità italiana e quella slovena. Seguirono negli anni numerosi pogrom che ebbero come obiettivo istituzioni economiche e culturali slovene.

La dittatura fascista impose la lingua italiana in ogni ordine di scuola e furono imposti insegnanti che non parlavano lo sloveno, fu proibito l’uso pubblico di quella lingua slovena che veniva parlata sin dal 1500 negli ambienti più colti e anche da nobili famiglie triestine, nomi, cognomi e toponimi furono italianizzati mentre la maggior parte degli uffici pubblici era destinata a impiegati di etnia italiana. Nel 1941 ebbero inizio le operazioni militari italiane contro la Jugoslavia, furono così occupati diversi territori. In questa espansione, come documentano gli storici, furono compiute efferatezze e violenze di ogni tipo contro le popolazioni slave, soprattutto contro i civili. In gran numero furono anche deportati in campi di concentramento dove tanti morirono di fame e di stenti quando non di morte violenta.

I nazisti inoltre, con la collaborazione degli Italiani, costruirono il lager della Risiera di San Sabba, presso Trieste, in cui furono detenuti Sloveni, Croati, partigiani, ebrei e detenuti politici in attesa di essere trasferiti nei campi di sterminio ma molti (circa 5.000) furono uccisi lì stesso con un colpo di mazza alla testa o col gas finendo poi nei forni crematori. In questa situazione di guerra e di occupazione tra il 1943 e il 1945 si inserisce la terribile vicenda delle foibe, spaccature naturali più o meno profonde dell’altipiano carsico in cui dai partigiani di Tito furono gettati, spesso vivi, Italiani di ogni classe sociale e credo politico, fascisti torturatori o spie e antifascisti o persone comuni.

Alla fine della guerra, con la perdita dell’Istria che però era stata italiana per meno di trenta anni, iniziò l’esodo di tantissimi Istriani, Fiumani e Dalmati di lingua italiana che vollero (o furono costretti) lasciare le loro terre e trasferirsi in Italia e, taluni, all’estero seguendo la stessa sorte degli Italiani di lingua slovena che per sfuggire le violenze fasciste si erano rifugiati in Europa o nell’America latina.

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