Giacomo Matteotti, il martire della libertà assassinato dal fascismo
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Giacomo Matteotti, il martire della libertà assassinato dal fascismo

Il 10 giugno del 1924 il deputato socialista che aveva denunciato le violenze e il malaffare del regime venne sequestrato e ucciso. Il corpo ritrovato il 16 agosto. Era nato il 22 maggio del 1885.

Giacomo Matteotti
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16 Agosto 2020 - 15.11


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La sua morte ha mostrato il volto del fascismo assassino: “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”. Così il politico socialista Giacomo Matteotti si rivolse alla Camera dei Deputati, quasi presagendo il disegno criminale del regime fascista di cui denunciò violenze e abusi fino all’ultimo giorno di vita. Disegno che fu messo in pratica il 10 giugno 1924 da cinque membri della “polizia politica”, che dopo averlo rapito nella zona del Lungotevere lo fecero salire a forza su di una macchina, lo accoltellarono e abbandonarono il cadavere a Riano, nelle campagne fuori Roma.
Non fu né la prima né l’ultima vittima della violenza fascista ma il suo brutale omicidio fu forse il solo, e certamente il primo, a mettere in difficoltà il nascente regime e, in qualche modo, ne condizionò l’evoluzione totalitaria.

Alla sua uccisione seguì infatti la decisione delle forze democratiche di abbandonare il Parlamento dando vita “all’Aventino”. Matteotti, esponente di spicco del partito socialista unitario, morì pochi giorni dopo aver pronunciato un accorato discorso alla Camera in cui denunciava il clima di violenza ed intimidazione che aveva condizionato le elezioni da poco svolte. Ma se dal punto di vista storico è assodata la responsabilità morale di Benito Mussolini nell’uccisione del parlamentare socialista, così come è accertata la responsabilità materiale di uomini vicini al Partito Nazionale fascista, più articolate sono le ragioni che portarono alla morte di Matteotti.
Oltre ad essere un avversario politico Matteotti sarebbe stato in possesso di documenti in grado di provare come i vertici del regime fossero coinvolti in un giro di corruzione volto a concedere ad una compagnia americana l’esclusiva sullo sfruttamento del petrolio italiano. Documenti che Matteotti aveva nella borsa che portava con sé quando fu rapito e che non fu ritrovata insieme al corpo, e documenti che avrebbe dovuto presentare al Parlamento quello stesso 10 giugno.

La sua vita
Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885. Frequenta il ginnasio “Celio” di Rovigo dove è compagno di classe del suo futuro avversario politico cattolico, Umberto Merlin. Nel 1907 si laurea in giurisprudenza, all’Università di Bologna e, seguendo l’esempio del padre che era stato consigliere comunale di Fratta Polesine, comincia ad avvicinarsi alla politica entrando in contatto con i movimenti socialisti, dei quali diviene ben presto una figura di spicco.

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Durante la prima guerra mondiale, in cui non viene arruolato in quanto unico figlio superstite di madre vedova, si dimostra un convinto sostenitore della neutralità italiana. Le sue posizioni antimilitariste e il suo attivismo contro la guerra gli costano l’allontanamento dal Polesine per tre anni e il confino in una zona montagnosa nei pressi di Messina.

Nel gennaio 1916 sposa con il solo rito civile la poetessa romana Velia Titta e, nel 1918, nasce a Roma il suo primogenito Giancarlo, che seguirà le orme del padre dedicandosi anche lui all’attività politica.

Nel 1919 Matteotti viene eletto in Parlamento per la prima volta, in rappresentanza della circoscrizione Ferrara-Rovigo, e viene rieletto nel 1921 e nel 1924. Nel 1921 pubblica una famosa “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, in cui si denunciavano, per la prima volta, le violenze delle squadre d’azione fasciste durante la campagna elettorale delle elezioni del 1921.

Nell’ottobre del 1922 Matteotti viene espulso dal Partito Socialista Italiano con tutta la corrente riformista legata a Filippo Turati. I fuoriusciti fondarono il nuovo Partito Socialista Unitario di cui Matteotti diviene segretario.

Nel 1924 viene pubblicata a Londra, dove Matteotti si era recato clandestinamente, la traduzione del suo libro “Un anno di dominazione fascista”, col titolo: “The Fascists exposed; a year of Fascist Domination”, in cui riportava meticolosamente gli atti di violenza fascista contro gli oppositori. Il 30 maggio del 1924 Matteotti pronuncia quello che sarà il suo ultimo discorso pubblico alla Camera, dove prende la parola per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile.

Mentre parla, dai banchi fascisti si levano contestazioni e rumori che lo interrompono più volte. Al termine del discorso, in cui Matteotti è riuscito a mantenere la calma e non cadere nelle provocazioni, dice ai suoi compagni di partito: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.

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L’omicidio Il 10 giugno 1924 Matteotti esce di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio decidendo di percorrere il lungotevere Arnaldo da Brescia (per poi tagliare verso Montecitorio), piuttosto che incamminarsi lungo la via Flaminia per poi raggiungere il Corso attraverso gli archi di Porta del Popolo. Qui, secondo le testimonianze dei due ragazzi, l’aspettava un’auto con a bordo alcuni individui, poi in seguito identificati come i membri della polizia politica del partito fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Caricato a forza nella macchina, che sarà poi identificata in una Lancia Kappa, questa si allontana velocemente.

Il deputato socialista oppone però resistenza e cerca di difendersi e divincolarsi, riuscendo a gettare fuori dall’auto il suo tesserino da parlamentare che sarà ritrovato vicino Ponte Risorgimento. A nulla però valgono le sue resistenze e, probabilmente già nell’auto, Matteotti viene pugnalato a morte. Il corpo sarà ritrovato solo due mesi più tardi, il 16 agosto, da un carabiniere che portava a passeggio il suo cane, in un bosco non lontano dalla Capitale.

Le indagini L’assenza di Matteotti in Parlamento non viene immediatamente notata, ma già il giorno dopo, l’11 giugno, la notizia della scomparsa appare sui giornali. Più tardi Mussolini sostenne di aver appreso della morte di Matteotti soltanto la sera dell’11 giugno e di esserne stato, fino ad allora, del tutto ignaro. Intanto, due giorni dopo il rapimento, viene individuata l’auto che risulta essere di proprietà del direttore del “Corriere Italiano” Filippo Filippelli.

Da questo importante ritrovamento partono le prime indagini, intentate dal magistrato Mauro Del Giudice, intransigente giurista, difensore dell’indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo, che assieme al giudice Umberto Guglielmo Tancredi, fin dall’inizio individua in Dumini la mano dell’assassino.

In breve tutti i rapitori vengono identificati ed arrestati, ma dopo pochissimo e dietro diretto interesse del Duce, l’incarico gli viene tolto e le indagini vengono fermate. I socialisti unitari vicini a Filippo Turati nel frattempo diramano un comunicato stampa che accusa il governo: “L’autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l’ambiente da cui i delinquenti emersero”.

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Il 26 giugno del 1924 i parlamentari dell’opposizione si riuniscono in una sala di Montecitorio, oggi nota come sala dell’Aventino, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito dell’omicidio Matteotti.

L’8 luglio il governo fascista, approfittando dell’assenza dell’opposizione, vara nuovi regolamenti restrittivi relativi alla stampa rafforzati due giorni dopo dall’obbligo per ciascun giornale di nominare un direttore responsabile.

I funerali Dopo il ritrovamento del cadavere di Matteotti, Mussolini ordinò al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali da tenersi però a Fratta Polesine, città natale di Matteotti, in modo da tenerli lontani dall’attenzione dell’opinione pubblica. La vedova di Matteotti qualche giorno prima dei funerali scrive a Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del Pnf e della Milizia. Dopo i funerali, il corpo di Matteotti venne sepolto nella tomba di famiglia del cimitero del suo comune natale.

Il Caso Standard-Oil I documenti di cui Matteotti sarebbe stato in possesso riguardavano l’americana Standard-Oil, controllata della Sinclair-Oil, compagnia petrolifera che aveva da poco concluso, nell’aprile del 1924, un accordo per lei vantaggiosissimo per lo sfruttamento delle risorse italiane. Accordo che la compagnia d’oltreoceano avrebbe oliato a suon di tangenti. Mazzette che sarebbero finite nelle tasche di altissimi esponenti del regime, tra cui anche il fratello di Mussolini, Arnaldo. Matteotti aveva annunciato, facendo capire di avere in mano le prove, di voler denunciare l’illecito in un intervento parlamentare alla riapertura dell’Aula di Montecitorio il 10 giugno, il giorno in cui fu rapito ed ucciso.

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