Con la battaglia sul referendum per l'indipendenza la Spagna verso una gravie crisi politica
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Con la battaglia sul referendum per l'indipendenza la Spagna verso una gravie crisi politica

Gli indipendentisti catalani, votando e sfidando Madrid, sanno bene di essere arrivati ad un punto di non ritorno

Indipendentisti catalani
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Diego Minuti Modifica articolo

8 Settembre 2017 - 07.14


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La Spagna, dopo il botta e risposta tra parlamento catalano e Governo centrale sul referendum convocato per il primo ottobre per decidere sull’indipendenza, si trova davanti ad una crisi istituzionale gravissima, forse la più lacerante della storia repubblicana. Al sì del parlamento di Barcellona, voluto fortemente dagli indipendentisti e che  è giunto dopo un voto di aula contrastato, almeno nelle fasi del dibattito, è stato contrapposto il secco no della Corte costituzionale, cui il governo centrale si era subito rivolto per cancellare la decisione. Tutto questo fa parte di uno scenario che era facile preconizzare già prima del voto perchè le due posizioni erano ampiamente annunciate, prevedibili e altrettanto ampiamente inconciliabili. Ma ora la situazione è in una pericolosissima fase di stallo istituzionale perchè nessuna delle due parti vuole fare un passo indietro, anche se più corretto sarebbe dire che nessuno può fare questo passo indietro.
Gli indipendentisti catalani, votando e sfidando Madrid, sanno bene di essere arrivati ad un punto di non ritorno perché, se accettassero supinamente la decisione della Corte costituzionale di non permettere il referendum, perderebbero la faccia e con essa la possibilità di rappresentare ancora le istanze di chi crede in una Catalogna finalmente indipendente. Ma c’è una alternativa realmente percorribile rispetto all’accettare il no di Madrid? Politicamente parlando, a questo punto del gioco, assolutamente no. Anche perché, con il no al referendum , è partita una difffida ai 947 sindaci catalani e ai 62 alti funzionari della Generalitat ai quali è stato intimato di non mettere a disposizione le loro strutture per i seggi, nè di collaborare all’organizzazione del referendium, aprendo la strada ad un conflitto tra istituzioni che sino ad oggi non c’era.
Per comprendere ancora di più la portata di quanto sta accadendo nei palazzi della politica spagnola si deve considerare che, per dare il massimo di efficacia alla loro decisione, i dodici giudici costituzionali hanno disposto che essa venga notificata a tutti i soggetti che potrebbero non tenerne conto: il presidente Carles Puigdemont, i deputati catalani, il capo della polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, Pere Soler, indipendentista convinto, il presidente della tv catalana, Nuria Llorach, il presidente della rete tv statale locale eTV3 della tv di Stato, Vincent Snachis. E per evitare problemi di interpretazione, copia della decisione è stata inviata anche al maggiore dei Mossos, Josep Lui Trapero, che, durante l’emergenza attentati, è diventato il volto pubblico della polizia locale, diventando famosissimo. A nostra memoria è la prima volta che una decisione dell’organo di vigilanza suprema sulla Costituzione coinvolge direttamente vertici di polizia, cosa che potrebbe diventare un precedente pericoloso perché, non si sa se volontariamente o meno, essi sono stati inseriti d’ufficio nel noverno degli interlocutori ‘politici’ del governo. Un riconoscimento che avrebbe fatto felice il colonnello Tejero, autore del più folkoristico tentativo di colpo di Stato degli ultimi 50 anni in Spagna.
Se lo scontro tra governo e parlamento di Barcellona era essenzialmente politico, quello potenziale tra lo stesso governo ed i sindaci è su un piano costituzionale perché si tradurrebbe in un esercizio di veto del governo centrale ad inziative dei poteri locali che mantengono intatta la loro autonomia, riconosciuta dalla legge.
Mariano Rajoy ha fatto la vioce grossa perché altrimenti non potrebbe fare: se si desse luce verde al referendum la si darebbe anche ad altre poulsioni indipendentiste, con un ipotetico effetto domino di portata non calcolabile

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