Una memoria decisiva che si smarrisce
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Una memoria decisiva che si smarrisce

Una festa importante per il popolo italiano, che con il passare degli anni ha perso la sua anima: un 25 aprile difficile

25 aprile
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Nuccio Fava Modifica articolo

24 Aprile 2015 - 10.40


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È diventata una festa senza anima eppure è una data fondamentale alla base della democrazia repubblicana. Discende infatti dal significato e dal valore del 25 Aprile la stessa Costituzione che proclama i principi, i diritti e i doveri fondamentali, l’articolazione pluralistica dello stato e la prospettiva di un futuro di pace e di ripudio della guerra. E tuttavia la causa principale del ricordo quasi distratto del 25 Aprile si lega a una certa stanchezza per la democrazia, alla libertà vissuta troppo spesso come licenza eo arbitrio del più forte, alla legalità come mera declamazione retorica copertura non di rado della corruzione dilagante. Con i partiti ridotti ad agenzie di affari di vario segno e colore privi di rapporti vitali con la società e le sue espressioni significative, anch’esse troppo spesso in crisi di ideali e di valori. Ne consegue una scarsa capacità di rappresentanza ridotta a tutele corporative.
Si tratta della società liquida teorizzata da Bauman. Risultato dovuto all’intreccio dei fattori sopra richiamati, con l’aggravante di una crisi economico-sociale senza precedenti accompagnata dal crescere vertiginoso degli emarginati e dalle vecchie e nuove povertà. Il timore è di procedere inesorabilmente verso una società meno accettabile e solidale di quella che l’ha preceduta.
Soprattutto i giovani sperimentano l’assenza di prospettive per il futuro con una disoccupazione che non trova risposte, specie al sud e in particolare per le donne.
La politica purtroppo annaspa, continuamente tentata da un’autorappresentazione trionfalistica e compiaciuta, incapace di vero dialogo e ascolto con i cittadini, rinchiusa com’è nel circuito stretto e vischioso degli addetti ai lavori, finendo in qualche modo per meritarsi la definizione di “casta”. Il grande sociologo Joseph Schumpeter, analizzando la struttura del potere e i rischi delle moderne liberal-democrazie, definiva la politica ridotta a mero conflitto per la conquista del potere come “lotta tra oligarchie”.
Si affermano prepotentemente le aspirazioni per i successi personali e liederistici, tentazioni di arricchimento e di successo che deformano il costume e la mentalità diffusa. I giovani rischiano di essere le maggiori vittime, condannati a un precariato permanente e alla ricerca di rapporti di amicizia e di tutela, percepiti come l’unica strada per usciere dalla condizione di totale incertezza e disperazione.
Comprensibile allora la difficoltà di raccontare l’importanza del 25 Aprile che pure è Festa Nazionale sancita da un decreto del presidente Alcide De Gasperi, controfirmato dal luogotenente Umberto di Savoia – il Re triste – che dopo il referendum monarchia-repubblica sarebbe partito per l’esilio in Portogallo.
Era stato il Comitato Nazionale di Liberazione del nord Italia a chiamare all’insurrezione il popolo italiano, la cui risposta fu generosa e largamente condivisa. Era anche la fine di una guerra lunga e devastante, alla cui parte finale aveva dato un contributo non secondario l’Esercito di Liberazione e le differenti formazioni partigiane. Non mancarono purtroppo episodi dolorosi e tragici, da guerra civile con vendette e atrocità compiute dall’una e dall’atra parte. Non possono però far smarrire il segno essenziale del 25 Aprile: segna l’affermazione della libertà in un Paese che aveva subito anche l’onta della Repubblica di Salò e del servaggio totale alla Germania nazista fino all’infamia delle leggi raziali e del rastrellamento verso i campi di concentramento. Di tutto questo bisognerebbe fare memoria a cominciare dai ragazzi delle scuole fino ai politici e ai rappresentanti di tutti le istituzioni. Solo le parole di Piero Calamandrei possono racchiudere l’urgenza di una riflessione esigente che continua a riguardaci tutti.

Leggi anche:  "L'ultima tragica cascina", il romanzo sulla Resistenza e la scuola come recupero della memoria

Lo avrai

camerata Kesserling

il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

a deciderlo tocca a noi

non con i sassi affumicati dei borghi inermi

straziati dal tuo sterminio

non con la terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti

riposano in serenità

non con la neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono

non con la primavera di queste valli

che ti vide fuggire

ma soltanto con il silenzio dei torturati

più duro d’ogni macigno

soltanto con la roccia di questo patto

giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono

per dignità non per odio

decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo

su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai

morti e vivi con lo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama ora e sempre

Resistenza.”

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