Se il decoro fosse una paratia, ad Agrigento saremmo già sommersi dall’acqua limacciosa. Protagonisti e comprimari delle malefatte in città non conoscono il senso della parola “decoro”. Per agevolarli, per quel che vale, suggerisco loro che, in sintesi, il decoro è una certa convenienza nei comportamenti, il tenere un profilo di dignità, anche se ci si muove ad un livello basso, come quello del quale parliamo.
In sintesi, provo a riepilogare quel che accade ad Agrigento. Dopo anni e anni di sostanziale impunità del ceto politico locale e regionale, responsabile di tutti i disastri e delle condizioni di vita incivile della città, della provincia, della Regione, ad Agrigento la magistratura ha cominciato a scoprire, una responsabilità dietro l’altra, il sistema che dominava e domina il ricchissimo mondo degli appalti.
Appalti che giocano sulle sofferenze dei cittadini: acqua, trasporti e tant’altro. Tra questi, il milionario appalto per la rete idrica di Agrigento, impostata male, e in fretta e furia, perché le cose meno chiare sono, meglio si ruba. Così, nel triangolo d’oro politica–colletti bianchi–imprenditori senza scrupoli, quelli disposti a dispensare mazzette e che sono più “affidabili” per certa politica.
La magistratura ha le prove, ha trovato le mazzette, sta leggendo le carte recuperate alla Regione, in case, segreterie e uffici. Sospetti e dubbi su questo appalto furono espressi apertamente, due anni addietro, anche in Consiglio Comunale. Ma l’idea di poter nuotare in eterno nell’impunità non ha fermato il sistema.
I due scandalosi anni di sete patiti da Agrigento (due anni dopo decenni e decenni) non erano una cattiveria divina, ma frutto del sistematico rinvio della soluzione dei problemi determinati dai governi locali. Era l’alibi per procedere “lestamente”.
Il sistema è scandalosamente semplice: nel caso dell’acqua, non si interviene per riparare danni e perdite, per poi arrivare a un’emergenza così catastrofica da richiedere somme ingenti, con urgenza e con la “garanzia” di “pratiche sbrigative”.
Per l’appalto milionario della rete idrica di Agrigento ci sono già state perquisizioni, arresti e provvedimenti giudiziari. Uno di questi è per un potente politico che, come se sapesse che da lì a poco sarebbe stato investito dalla tempesta, si era inaspettatamente dimesso dal governo Schifani. Probabilmente per tenerlo al riparo: si avvicinano le elezioni regionali, il centrodestra considera la Sicilia un fortino da difendere ad ogni costo.
Ci sono grandi manovre che vedono come protagonista il ritorno dell’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo, che è leader del politico agrigentino indagato. Nel risiko siciliano è entrato prepotentemente anche un altro grande ex, Totò Cuffaro, che gioca una sua partita, attrezzando un esercito che è cresciuto di giorno in giorno. I conti si dovranno fare con lui.
Dicevamo di Roberto Di Mauro, che del sindaco di Agrigento è stato padrino politico fin dalla candidatura, ed è nume tutelare oggi. Così vicino alle cose del Comune da muoversi – dicono – come il vero sindaco. Ovvio che una tale situazione ad Agrigento, nell’interpretazione popolare, rinviasse al teatro dei pupi, dove dietro il pupo ci deve sempre essere il puparo.
Andiamo agli ultimi passaggi. Rispetto all’inchiesta giudiziaria che accende i fari sull’appalto milionario per l’acqua, davanti al coinvolgimento del potente Di Mauro, oltre che del capo di gabinetto dello stesso Di Mauro, cosa fa il sindaco Francesco Miccichè?
Per qualche giorno se ne sta zitto, fa un paio di comunicati su questo e su quello, taglia un paio di nastri col tricolore a tracolla, ma non dice una parola sull’inchiesta. Come se la rete idrica fosse quella da realizzare su Marte per conto dei marziani.
Poi parla, o gli dicono di parlare. E cosa dice?
“Alla luce dei recenti fatti di cronaca, riponendo fiducia nell’operato della magistratura a tutela della legalità e della convivenza civile… auspica che le indagini non pregiudichino la realizzazione dei lavori relativi alla struttura della rete idrica di Agrigento… esprime rammarico per le ombre che potrebbero offuscare, ecc… ecc…”.
Come a guardare dal balcone del Palazzo dei Giganti – la sede del Comune – cose distanti mille miglia, e pure subite.
Ma, quando il troppo storpia e il decoro è gettato nel bidone dell’indifferenziato, anche un Procuratore della Repubblica si incazza.
“Ritardi alla rete idrica? Certo non per colpa delle indagini.” Intervento duro e inedito quello che il Procuratore di Agrigento, Giovanni Di Leo, fa recapitare alle redazioni di giornali e agenzie. Lo fa nelle stesse ore nelle quali si annuncia il ritorno in carcere di quello che appare un uomo chiave nel sistema di mazzette appena scoperto, un tecnico “di movimento”.
“La nostra attività investigativa – dice il Procuratore, rispondendo sostanzialmente al sindaco, senza mai citarlo – va avanti da oltre un anno, con prove già raccolte, e continuerà per tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.”
Ecco, alla luce delle parole del Procuratore di Agrigento, quello che sconvolge è come si possa restare sindaco dopo una così sonora sberla.