Non era un pensar male. È quello che è accaduto. Che oltre ai disordini di sabato in città ha provocato una frattura istituzionale gravissima e senza precedenti tra Prefettura e Questura da un lato e Comune di Bologna dall’altro.
Col sospetto, non ancora smentito, che il Viminale abbia avuto un ruolo decisivo in questa brutta storia. I fatti. Il 5 novembre, quattro giorni prima dell’annunciata manifestazione delle organizzazioni neofasciste Casa Pound e Patrioti, si riunisce in Prefettura il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza presieduto dal prefetto, a cui partecipano i vertici della Questura, delle forze dell’ordine, della polizia municipale e del Comune.
Il sindaco, Matteo Lepore, denuncia i rischi di una simile parata nel centro città, proprio davanti alla Stazione della strage fascista del 2 agosto 1980, e chiede che, se la si vuole autorizzare, almeno venga spostata altrove. Tutti concordano sul rischio scontri e il prefetto – come si può leggere nel verbale della riunione – dà mandato alla Questura e alla Digos di contattare gli organizzatori “al fine di addivenire ad una opportuna modifica del luogo di svolgimento della manifestazione, che dovrebbe avvenire al di fuori del centro storico”.
Viene anche indicata l’alternativa: Piazza della Pace, a ridosso dello Stadio. Ma a quel punto accade qualcosa. “Evidentemente qualcuno da Roma ha chiamato e le cose sono cambiate, ci hanno mandato trecento camicie nere”, denuncia il sindaco.
Bologna antifascista medaglia d’oro della Resistenza non può restare in silenzio, subire l’onta della sfilata fascista davanti alla Stazione, per lo più a cavallo degli anniversari delle battaglie partigiane di Porta Lame e della Bolognina e a una settimana dalle elezioni regionali.
Così sabato 9 novembre, inevitabilmente, la città si infiamma. Prima il presidio antifascista istituzionale del mattino in Piazza del Nettuno, poi le due contromanifestazioni organizzate dagli antagonisti e dagli anarchici nel pomeriggio, in concomitanza con quella di Casa Pound e dei Patrioti.
Infine, gli scontri sulla scalinata del Pincio tra antagonisti e polizia: poca cosa in realtà, con qualche contuso, enfatizzati però da una destra che non sembrava aspettare altro che i disordini per specularci sopra politicamente ed elettoralmente.
In mezzo la “resistenza” civile, spontanea e creativa di tanti altri bolognesi: i condomini che gettano secchiate d’acqua e rifiuti sui fascisti che cantano “faccetta nera” sotto le loro finestre, i cittadini e le famiglie con tanto di passeggini che alla spicciolata si radunano in Piazza XX Settembre – la piazza contestata davanti alla Stazione – e si mettono a cantare “bellaciao”. E a posteriori la denuncia del sindacato di sinistra dei poliziotti che prende la distanza dalla decisione di autorizzare quella manifestazione dei fascisti in centro e accusa: “C’erano esponenti di Casa Pound e dei Patrioti che davano ordini alle forze di polizia”. In un video, in effetti, si vede un manifestante che chiede a un dirigente della Mobile di fare abbassare gli scudi ai poliziotti, e gli scudi vengono fatti abbassare.
La polemica intanto divampa. La destra si scatena contro il j’accuse di Lepore a Roma e contro la vicesindaca Emily Clancy rea di aver partecipato, a margine, alla manifestazione degli antagonisti. Meloni che accusa “certa sinistra di tollerare e foraggiare i facinorosi”. Salvini che parte lancia in resta contro i centri sociali arrivando a chiedere al ministro degli Interni una mappatura finalizzata “a chiudere uno dopo l’altro quei covi di zecche rosse e delinquenti”. È il ribaltamento della realtà, col Governo che finisce per difendere una manifestazione neofascista promossa da organizzazioni che – quelle sì – secondo la Costituzione dovrebbero essere chiuse e per attaccare invece la Bologna democratica e arrabbiata che legittimamente reagisce allo sfregio. E oggi pomeriggio è atteso l’arrivo a Bologna della premier Meloni e dei suoi due vice, Salvini e Tajani, a chiusura della campagna elettorale della destra per le regionali.
In attesa di capire cosa diranno, restano alcune questioni di fondo da chiarire. Perché non è stato dato seguito alla disposizione di spostare più in periferia la manifestazione dei neofascisti? C’è stata o no la chiamata da Roma di cui parla Lepore per confermare la manifestazione dei neofascisti nel centro città, in Piazza XX Settembre, con tutti i rischi del caso? E, se c’è stata, come la spiega il Viminale? Non era forse quello il modo più incauto per l’ordine e la sicurezza pubblica? Infine, perché nel comunicato della Prefettura uscito a posteriori domenica non si fa alcun cenno al rischio di scontri denunciato nella riunione del Comitato e – contrariamente a quanto scritto nel verbale di quella riunione – ci si limita ad affermare che “con unanime avviso di tutti i componenti e, quindi, anche del sindaco Lepore”, si sarebbe deciso che la manifestazione “avrebbe potuto svolgersi previa mediazione con gli organizzatori”? La questione è seria. Ne va di mezzo la credibilità delle istituzioni e la correttezza dei rapporti tra Comune, Prefettura e Governo. Non si può lasciarla alla campagna elettorale. Alla quale, va detto per alleggerire un po’, il contributo di Salvini comunque non manca mai. La sua intemerata contro le “zecche rosse” e per la chiusura dentro sociali, c’è da scommetterci, avrà l’effetto di accendere l’interesse su elezioni regionali finora alla camomilla. L’effetto Sardine, diciamo.