Migranti, lasciate ogni speranza voi ch'entrate... al Viminale
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Migranti, lasciate ogni speranza voi ch'entrate... al Viminale

La speranza di un qualche ravvedimento da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi dopo le tante bastonature europee.

Migranti, lasciate ogni speranza voi ch'entrate... al Viminale
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Marzo 2023 - 14.37


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Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. Il nono verso del Canto III della Divina Commedia fa riferimento all’iscrizione posta sulla porta dell’inferno. Questa “erudita” citazione serve per tornare su un tema caro a Globalist: le nefandezze fatte e pensate sul fronte della guerra alle Ong e ai migranti da parte dei securisti al governo.

“Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” al Viminale

La speranza di un qualche ravvedimento da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Ma procediamo con ordine.

Partendo dalle nuove bastonature europee.

Da La Stampa: “Basta con i respingimenti alle frontiere marittime e terrestri dell’Unione europea. E con i maltrattamenti dei migranti prima e durante queste operazioni illegittime. A chiedere un cambio di rotta ai governi nazionali sulla gestione dei migranti è l’organo anti-tortura del Consiglio d’Europa (Cpt), nello stesso giorno in cui l’Italia è condannata dalla Corte europea dei diritti umani per il trattamento riservato nel 2017 a quattro tunisini detenuti per dieci giorni in modo arbitrario e in condizioni precarie nell’hotspot di Lampedusa, prima di essere espulsi senza alcun riguardo sulla possibilità che il loro rimpatrio li potesse esporre a rischi. Ammonimenti che arrivano mentre da Venezia il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, afferma che il governo italiano «è impegnato sia nel rallentare o arrestare i flussi di migranti dai focolai più critici, sia a provvedere alla salvaguardia delle persone che scappano da condizioni difficili», escludendo tuttavia la possibilità di riaprire gli hub per l’accoglienza. Non è la prima volta che Roma viene condannata per come gestisce i flussi migratori e nel 2012 lo fu anche per un respingimento via mare verso la Libia. Una pratica, quella dei respingimenti via mare e terra, alla quale i governi stanno ricorrendo sempre più frequentemente, tentando anche in alcuni casi, secondo la valutazione dell’organo anti-tortura, di «legalizzarla».

Accuse a cui si aggiunge il rilievo che dal 2009 sono «numerose» le «denunce di maltrattamenti di migranti da parte della polizia e delle guardie di frontiera» ricevute dal Cpt, che ha visitato i centri di immigrazione vicino ai confini rilevando «condizioni spaventose». I maltrattamenti, denuncia l’organo del Consiglio d’Europa, consistono soprattutto in pugni, schiaffi, colpi di manganello quando la persona è fermata, ma anche nello sparare vicino ai migranti quando sono già a terra, spingerli nei fiumi e attraverso i confini anche completamente nudi, privarli di ogni bene, di acqua e cibo. E il trattamento delle persone non migliora quando cercano di arrivare via mare, con «numerose denunce» ricevute da Strasburgo e considerate «coerenti e credibili» sugli «atti compiuti dalla guardia costiera per impedire alle imbarcazioni che trasportavano gli stranieri di raggiungere le acque territoriali, tra cui l’uso eccessivo della forza e la rimozione del carburante o del motore dell’imbarcazione». Gli atti di violenza da parte delle forze dell’ordine «sono indagati raramente», è la constatazione ulteriore di Strasburgo. Da qui l’appello agli Stati di creare dei sistemi indipendenti per fare luce sulle denunce di maltrattamenti e respingimenti. «Molti Paesi europei affrontano sfide migratorie molto complesse, ma questo non significa che possano ignorare i loro obblighi in materia di diritti umani», è il richiamo del presidente del Cpt, Alan Mitchell. Al quale anche Bruxelles fa eco: respingimenti e violenze, fanno sapere i portavoce Ue, «vanno contro il diritto internazionale». 

Militarizzazione dell’emergenza

Ora torniamo all’indefesso Piantedosi. 

Ecco la sua ultima pensata: navi e aerei militari per svuotare l’hotspot di Lampedusa. Il Viminale chiederà il supporto della Difesa nei momenti di maggior afflusso di migranti nell’isola di Lampedusa. È quanto ha in programma il Ministero dell’Interno per affrontare l’emergenza degli sbarchi dei migranti. Secondo quanto si è appreso da fonti del Viminale anche in futuro, come già successo nei giorni scorsi, verrà chiesto l’impiego di mezzi aerei e navali alla Difesa in occasione di aumento del numero dei migranti. Il Viminale intende, inoltre, potenziare il sistema dell’accoglienza dove sono al momento presenti 120mila migranti, e rafforzare i Cpr, i centri per il rimpatrio. Sono, invece, smentite ipotesi di tendopoli o utilizzo di beni privati.

A sostegno della visione securista di Piantedosi, accorre la presidente del Consiglio. 

A Trieste e Udine per sostenere la candidatura di Massimiliano Fedriga e del centrodestra, Giorgia Meloni torna sulla questione migranti. Un’emergenza dice, “sotto gli occhi di chi vuol vedere, ma il nostro approccio al problema dell’immigrazione illegale è chiaro, gli ingressi clandestini in Italia sono un danno prima di tutto per chi cerca un nuovo inizio nella nostra nazione, rispettando la legge. Questa per me è la condizione essenziale, tutto il resto è una conseguenza”. Anche il Friuli Venezia Giulia, sottolinea la Meloni, “deve poter contare su frontiere sicure, immigrazione regolata e gestita secondo i bisogni dei territori, delle popolazioni, delle imprese. Il nostro negoziato con l’Unione europea è all’inizio e sta già dando i suoi frutti, sono stati fatti passi avanti impensabili, ho fiducia e non ho nessuna intenzione di cedere all’ideologia della resa che ci aveva reso succubi in Europa su un tema cruciale per il futuro della nazione”.

Nessun ripensamento, Giorgia non si arrende…

Testimoni scomodi

Di grande interesse è l’intervista di Daniela Fassini su Avvenire a Giorgia Linardi, portavoce della Ong Sea Watch.

Scrive Fassini: “In questo momento siamo relegati al ruolo di testimoni scomodi». Le parole di Giorgia Linardi hanno un senso di amarezza. Da portavoce della Ong Sea Watch, Linardi racconta le attuali difficoltà in mare e in cielo per cercare di aiutare le migliaia di disperati che ogni giorno attraversano il Mediterraneo.

In questo momento siete fermi con soccorsi in mare?

Sì, purtroppo la Sea Watch 3 è ferma a Reggio Calabria per effetto di un fermo amministrativo contro il quale abbiamo fatto ricorso. La nave comunque verrà dismessa e presto metteremo in acqua quella nuova.

Intanto monitorate il mare dal cielo?

Con l’aereo di ricognizione Sea Bird controlliamo principalmente la rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia e dalla Tunisia verso l’Italia.  La settimana scorsa, tra lunedì e venerdì abbiamo avvistato 24 imbarcazioni. Di queste ben 17 solo nella giornata di venerdì.

Cosa vedete?

Negli ultimi giorni abbiamo visto tantissime barche. Sabato abbiamo assistito a un episodio di violenza della guardia costiera libica nei confronti di un gommone carico di persone e anche dell’equipaggio della nave della Ocean Viking. L’imbarcazione avrebbe soccorso il gommone, purtroppo però l’operazione è andata diversamente perché la guardia costiera libica glielo ha impedito. Lo ha fatto utilizzando peraltro una motovedetta che apparteneva allaGuardia di Finanza italiana.

Cosa è successo?

Ci sono anche le immagini: si vede che la guardia costiera libica fa manovre pericolose intorno al gommone e spara ad altezza uomo. Noi dall’alto abbiamo visto i proiettili che si schiantavano sulla superficie dell’acqua. I primi spari al gommone e poi alla nave Ong. Abbiamo assistito a un altro caso di respingimento perché le persone sul gommone sono state riportate in Libia.

Quando vedete i barconi in pericolo cosa fate?

Facciamo quello che ci indica il diritto internazionale: informiamo le autorità competenti della presenza di queste persone in mare oltre che di eventuali altre barche presenti in zona. Come abbiamo fatto il week end del 12 marzo con le navi mercantili che si trovavano nelle vicinanze di un barcone che è poi naufragato. (In quel caso un mercantile tentò di soccorrere l’imbarcazione con 47 persone a bordo ma a causa delle onde alte durante le operazioni la barca si capovolse: solo 17 i sopravvissuti, ndr).

Chi informate?

Principalmente Libia, Malta e Italia ma mentre prima dell’accordo Italia-Libia la Guardia costiera italiana coordinava ogni soccorso delle Ong dal 2017 in poi tutto è cambiato per lasciare spazio ai respingimenti dei libici.

Quanto dura una missione di sorvolo?

Dipende dalle condizioni meteo e dalla situazione in mare: quando si avvista un barcone in difficoltà, lo si sorvola per cercare di acquisire più elementi possibili da comunicare. Quante persone ci sono a bordo e i punti approssimativi in cui ci troviamo, in modo da fornire indicazioni aggiornate per aiutare i soccorsi.

Un lavoro impegnativo..

Il lavoro delle Ong, per come viene raccontato, sembra politico ma è un lavoro estremamente tecnico. Quello che facciamo è essenziale anche per testimoniare quello che accade nel Mediterraneo: senza le Ong non avremmo mai saputo che i libici sparano ad altezza uomo, così come non sapremmo del naufragio del 12 marzo. L’ho detto, in questo momento siamo un testimone scomodo”.

L’appello al Capo dello Stato

L’Ong Mediterranea affida ad un comunicato “con tutta l’umiltà possibile” e pubblicato sui social, l’accorato appello a Sergio Mattarella e a tutto l’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni affinché si collabori per far cessare la morti in mare. 

Una richiesta ufficiale che arriva ad un mese di distanza dalla strage di Cutro dove il numero delle vittime ufficiali è arrivato a 91, ma anche poche ore dopo la notizia della morte di altre 29 persone in un naufragio al largo della Tunisia e dallo sbarco di 650 migranti nella notte a Roccella Jonica.

 “Basta guerra alle Ong, alle navi del soccorso civile. Cooperiamo per salvare in mare più vite possibili. Produciamo un’azione sinergica, davanti a questo imperativo – salvare!- che possa indurre l’Unione Europea ad uscire dalla sua latitanza su questo tema, e a mettere in campo una missione coordinata di soccorso in vista di una estate che si preannuncia terribile dal punto di vista dei rischi in mare”. 

“Quello che dobbiamo fare è mettere al centro, qui ed ora, una grande e corale azione immediata, di istituzioni e società civile, di un intero Paese, per impedire innanzitutto che altre morti innocenti insanguinino la nostra storia e il nostro mare”, si legge nella lettera. Mediterranea lancia un appello a “mettere davanti a tutto – posizioni politiche, strategie di lungo respiro, nemicità nei nostri confronti -il bene supremo del soccorso verso chi non ha colpe e chiede il nostro aiuto. Vi preghiamo di onorare fino in fondo la storia di questo Paese, della sua tradizione millenaria di accoglienza e immigrazione”. 

“Togliere mezzi disponibili e utilizzabili per i soccorsi in mare, equivale in questo momento a condannare a morte centinaia di persone – continua la Ong – Delegare alla sedicente ‘guardia costiera libica’ il controllo della zona Sar più grande del Mediterraneo, non metterà al sicuro le persone che tentano di fuggire da quell’inferno. Sapete meglio di noi che la Libia non è un ‘place of safety’, e che ogni loro ‘soccorso’, quando accade, equivale in realtà a una cattura e a una deportazione in un luogo dove la violazione dei diritti umani è sistematica e terribile. Ciò avviene in spregio alla Convenzione di Ginevra sui profughi e rifugiati. Pensare che la Tunisia, con la crisi che sta affrontando e dopo l’incitamento razzista di Saied contro i rifugiati subsahariani, possa “salvare” qualcuno che da lì fugge terrorizzato, non è plausibile”.

Infine il richiamo a ciò che avviene dopo il rimpatrio: “Sommessamente vi ricordiamo che tutti coloro che saranno riportati indietro in questi paesi,se non vengono uccisi prima, tenteranno di nuovo, ingrassando le grandi mafie del traffico di esseri umani. Vi chiediamo dunque, come previsto per altro dal Piano SAR Nazionale, di coordinare una grande azione che coinvolga i mezzi militari e civili per affrontare come farebbe un grande paese questa strage annunciata e continua”.
Italia condannata

La Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha ordinato all’Italia il pagamento di un risarcimento per quattro migranti tunisini tratti in salvo in mare nel 2017, portati a Lampedusa e poi rimpatriati forzosamente. Secondo la Corte di Strasburgo, l’Italia ha violato il divieto di trattamento inumano e degradante, il diritto alla libertà e la sicurezza, e il divieto di espulsione collettiva. 

Nell’ottobre 2017, riferisce la Corte, i quattro ricorrenti sono partiti dalle coste tunisine su una imbarcazione precaria e sono stati soccorsi in mare da una nave italiana che li ha portati a Lampedusa. Qui sono stati rinchiusi dieci giorni sull’hotspot dell’isola durante i quali affermano “di non aver potuto uscire né interagire con le autorità. Le loro condizioni erano presumibilmente inumane e degradanti”. I quattro, assieme ad altre 40 persone, sono stati poi portati all’aeroporto dell’isola, dove hanno dovuto firmare documenti che non erano in grado di leggere, i quali erano ordini di respingimento della questura. Portati a Palermo sono stati poi rimpatriati forzosamente in Tunisia. La Corte ha stabilito per ciascuno il pagamento da parte dell’Italia di un risarcimento di 8.500 euro, oltre al pagamento di 4mila euro di spese legali. La Cedu, che ha sede a Strasburgo, non è legata all’Unione Europea. E’ stata istituita nel 1959 sulla base della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Vi aderiscono 46 paesi. 

Nell’ottobre 2017 al Viminale “regnava”  Marco Minniti (Pd), e a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentinoni (Pd). Materia di riflessione per il “nuovo Pd” di Elly Schlein.

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