Migranti, il cardinale Zuppi "conquista" il congresso della Cgil: è lui il più a sinistra
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Migranti, il cardinale Zuppi "conquista" il congresso della Cgil: è lui il più a sinistra

La politica deve andare «oltre l'immediato», non rimanendo ancorata alla «logica dell'emergenza». A sottolinearlo è stato il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, intervenendo al Congresso nazionale della Cgil, parlando del nodo migranti. 

Migranti, il cardinale Zuppi "conquista" il congresso della Cgil: è lui il più a sinistra
Matteo Zuppi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Marzo 2023 - 12.46


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Sulla difesa dei più indifesi, il suo è stato l’intervento più di sinistra svolto dal palco del Congresso nazionale della Cigil. Un discorso emozionante. Politico, nel senso più alto e nobile del termine. Un cardinale ha conquistato Rimini.

Una visione prospettica

La politica deve andare «oltre l’immediato», non rimanendo ancorata alla «logica dell’emergenza». A sottolinearlo è stato il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, intervenendo al Congresso nazionale della Cgil, parlando del nodo migranti. 

Per Zuppi, «l’utilizzo della paura è un oggettivo problema da affrontare». Il suo invito è di andare oltre la logica dell’emergenza: «Se restiamo nell’emergenza è terribile, non diamo risposte sicure, all’altezza». Si tratta di lavorare per costruire «sistemi di legalità, si sia all’altezza dell’umanesimo». 

Che fare? «La prima cosa – ha ribadito – è salvare le vite. Va ricordato . E non creare labirinti che complicano tanto. Poi creare sistemi di prima accoglienza. In quanti stanno nel limbo, attendendo documenti? Questo tante volte vuole dire lavoro nero. Bisogna invece scegliere con chiarezza guardando al futuro seriamente, creando meccanismi sicuri perché c’è un legame tra precariato e caporalato». 

Zuppi ha sferzato la politica invitandola «a costruire percorsi. La solidarietà è un sistema che sconfigge le cause della disuguaglianza. La politica deve trovare risposte. Anche la Chiesa deve spingere perché ci sia una politica capace di mettere al centro le persone. Dobbiamo essere tutti un po’ meno corporativi». Inoltre bisogna combattere contro le disuguaglianze per «aiutare tutti a guardare insieme al futuro». 

Il presidente della Cei ha ricordato che non si tratta di fare «aggiustamenti. Il futuro richiede una grande alleanza. Se c’è una sperequazione enorme, questo crea disaffezione, tensione. Il sindacato ha tanta storia. Insieme costruiamo un futuro dove la solidarietà diventi pratica comune». 

E a proposito della guerra in Ucraina, il cardinale ha ribadito come sia importante «evitare che parlare di pace significhi fare vincere qualcuno: questo è sbagliato e anche un po’ colpevole. Dobbiamo darci gli strumenti per la pace». «Ci vuole la convinzione – ha aggiunto Zuppi – che la pace viene solo con il dialogo, che fa vincere l’unica pace. Dobbiamo fare di tutto, non dobbiamo darci pace per la pace». 

«Non possiamo abituarci alle guerre e alla guerra che per noi è il terribile conflitto in Ucraina – ha concluso -. C’è la legittima difesa, ma deve esserci anche l’impegno fortissimo per far vincere l’unica cosa che permette di salvare la vita. L’Onu lo ha detto con chiarezza, con una importante risoluzione. Partiamo da quella e dal grande appello di papa Francesco di ottobre, a Putin perché accettasse il cessate per il fuoco e a Zelensky perché in nome della pace accettasse le proposte giuste. Bisogna far vincere la pace e la giustizia».

Un grande discorso. Una lezione di etica e di politica. Impartita da un uomo di Chiesa dalla schiena dritta.

Il presidente della Cei era stato chiaro e netto nelle sue prime riflessioni dopo la strage di Cutro. “Il grande problema è che quelli che sono affogati avevano diritto, diritto ad essere accolti, scappavano da una guerra, la maggior parte di loro probabilmente erano afgani, e quindi bisogna cercare che i rifugiati siano trattati come tali e quindi hanno il diritto di essere esaminati. Se noi neghiamo di fatto questo diritto, tradiamo tutta la consapevolezza che proveniva dalla Seconda guerra mondiale”. Accogliere, proteggere, promuovere, integrare – ebbe a sottolineare Zuppi con riferimento ai quattro verbi utilizzati da Papa Francesco sul tema delle migrazioni – significa appunto governare il fenomeno, se governare il fenomeno è alzare il muro, non è governare il fenomeno anzi è pensare di ignorarlo, tradendo la sicurezza perché in questo modo è sicuro che avrai dei problemi. Il problema del governare il fenomeno è giustissimo, governare significa delle scelte, significa delle decisioni”.

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Zuppi, per sottolineare la difficoltà del governare il fenomeno migratorio, ha voluto ricordare la strage di Natale di Porto Palo, “era il 1996, erano circa 400 persone, tutti eritrei. Ecco, io sento un po’ fastidio quando sento certe frasi, in alcuni casi è meglio star zitti”.

Il presidente della Cei ha così replicato a distanza alle frasi del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che davanti alle telecamere, parlando della tragedia, ha detto: “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo le vita dei propri figli”. 

Una Chiesa di frontiera

In prima linea, nella difesa dei migranti, è l’arcivescovo di Palermo monsignor Corrado Lorefice che ha tuonato: “Non c’è spazio oggi per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi”.

Forte anche della posizione di Papa Francesco, assunta sin dal suo primo viaggio a Lampedusa nel 2013, Lorefice ha precisato: “Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci ‘di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa’”.

Altro prelato che non le ha mandate a dire è il presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes e arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Gian Carlo Perego, che, ha posto l’accento sul fatto che la strage di migranti a Cutro si è consumata “mentre i rami del Parlamento approvano un urgente e straordinario decreto per regolare i flussi migratori, che di urgente e straordinario ha solo l’ennesima operazione ideologica, indebolendo in realtà le azioni di salvataggio in mare delle navi Ong”.

La tragedia, ha aggiunto Perego,  incarna “un nuovo drammatico segnale sulla disperazione di chi si mette in fuga da situazioni disumane di sfruttamento, violenza, miseria e di chi è indifferente politicamente a questo dramma. Un nuovo drammatico segnale che indebolisce la democrazia, perché indebolisce la tutela dei diritti umani: dal diritto alla vita al diritto di migrare, al diritto di protezione internazionale. Mentre queste morti non possono che generare vergogna, chiedono un impegno europeo per un’operazione Mare nostrum, che metta strettamente in collaborazione le istituzioni europee, i Paesi europei, la società civile europea rappresentata dalle Ong”. 

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Anche il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, ha ricordato che quanto accaduto in prossimità della costa di Cutro è avvenuto “all’indomani della conversione in legge del decreto che limita gli interventi di salvataggio in mare. Caritas Italiana ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa con le istituzioni e i diversi Paesi, affinché l’Italia e l’Europa siano all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo. La questione delle migrazioni, della fuga dalla miseria e dalle guerre, non può essere gestita come fosse ancora un’emergenza. Penalizzare, anziché incoraggiare, quanti operano sul campo non fa che aumentare uno squilibrio di umanità. La vita è sacra e va salvaguardata, sempre: salvare le vite resta un principio inviolabile. Caritas ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa sul fenomeno globale delle migrazioni”.

“Come già il Consiglio permanente della Cei ebbe a ricordare alla vigilia delle elezioni, è tempo di scelte coraggiose e organiche, non di opportunismi, ma di visioni. È tempo che i diversi attori si confrontino per trovare una soluzione corale e costruttiva, per il bene di tutti. Da parte sua, la Chiesa continua ad assicurare l’impegno e la disponibilità nell’operosità concreta e nel dialogo. La bussola, per i cristiani e non solo, restano i quattro verbi indicati da Papa Francesco in relazione alla questione delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. L’accoglienza delle persone che arrivano e arriveranno sul nostro territorio è per noi un fatto importante, che ci impegna, al di là della discussione sull’opera delle Ong e del loro ruolo nel mare Mediterraneo. Caritas Italiana, per conto della Chiesa che è in Italia e in collaborazione con altre organizzazioni e il governo, col progetto dei corridoi umanitari pone un ‘segno’: si possono, dunque si devono, organizzare vie sicure che evitino i pericoli dei viaggi per mare e che diano prospettive reali alle persone migranti”, ha detto il direttore di Caritas Italiana.

“Uno dei problemi più seri è che per chi fugge da situazioni di guerra o di povertà estrema non ci sono attualmente, o sono molto ridotte, le vie legali di ingresso”, rimarca a sua volta Daniela Pompei, responsabile dei servizi per gli immigrati della Comunità di Sant’Egidio. “Si tenta il tutto per tutto perché non ci sono alte vie. Le persone sono coscienti che il viaggio è molto pericoloso, ma non hanno nessuna speranza di fare altrimenti. È difficile prendere un visto per chi scappa dalla Siria o dall’Afghanistan”. Una delle poche alternative legali è quella dei “corridoi umanitari”. Società civile e organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio, Tavola delle Chiese Valdesi e la Cei attraverso le Caritas chiedono, in accordo con i ministeri italiani dell’Interno e degli Esteri, “un visto a territorialità limitata” nei Paesi di transito, assumendosi l’onere delle spese del viaggio in aereo e dell’accoglienza in Italia per un anno.

Accoglienza e integrazione

“L’accoglienza è possibile”, ribadisce Daniela Pompei. I corridoi umanitari, infatti, oltre a contrastare direttamente i trafficanti, “hanno dimostrato che è possibile fare accoglienza anche a chi non è uno specialista dell’accoglienza. Tra coloro che accolgono ci sono parrocchie, enti religiosi, anche gruppi di amici sostenuti delle organizzazioni e il frutto di un’accoglienza accompagnata è un’integrazione molto positiva”. 

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Un abbraccio corale

Nell’Aula Paolo VI, Papa Francesco abbraccerà oggi profughi sbarcati nei giorni scorsi all’aeroporto di Fiumicino con i Corridoi umanitari. Un incontro importante sul fronte della questione migranti, quello in programma in Vaticano: è il primo evento pubblico del Pontefice con i migranti dopo il naufragio di Cutro e l’appello a fermare gli scafisti.

Realizzati dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, la Caritas Italiana e la Cei, i Corridoi umanitari, iniziati nel 2016, sono un’alternativa sicura e legale ai viaggi della disperazione attraverso il deserto e il mare Mediterraneo poiché garantiscono ingressi regolari. In tutto sono stati accolti 6mila rifugiati, di cui 5250 in Italia, ai quali si aggiungono oltre 1800 cittadini ucraini, accolti dalla Comunità di Sant’Egidio in diversi Paesi europei. Tutto ciò grazie a progetti totalmente autofinanziati e la generosità non solo di associazioni, congregazioni religiose e parrocchie ma anche di cittadini che hanno offerto le loro case e il loro impegno gratuito e volontario

E nelle prossime ore, in Vaticano, Francesco incontrerà proprio famiglie provenienti da numerosi Paesi in guerra o colpiti da gravi emergenze umanitarie come Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Sud Sudan, Nigeria, Congo RDC e Libia, assieme a chi li sta ospitando.

Oltre alle realtà promotrici dei corridoi umanitari saranno presenti anche associazioni, diocesi, parrocchie e famiglie che accolgono e integrano i rifugiati, tra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII, l’Arci e altri. Nel corso dell’udienza, che terminerà con il discorso di Papa Francesco, si ascolteranno alcune testimonianze di rifugiati, oltre che di italiani che si sono impegnati ad integrarli con successo nel nostro Paese.

La bandiera Onu per le navi umanitarie

 È l’appello contenuto in una petizione lanciata su change.org e indirizzata ad António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, Volker Türk, Alto commissario dei Diritti Umani, Václav Bálek, presidente del Consiglio dei Diritti umani, Kitack Lim, segretario dell’Imo (International Maritime Organization) promossa da diverse realtà del mondo civile italiano. Il Comitato promotore è formato dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, Resq People Saving People, agenzia stampa Pressenza, Asgi, Pax Christi e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo. 

”La situazione nel Mediterraneo è diventata negli ultimi anni sempre più drammatica – si legge nella petizione – naufragi con migliaia di morti e dispersi, altre migliaia di uomini, donne e bambini riportati nell’inferno libico da cui avevano tentato di fuggire mettendosi in mare, navi umanitarie oggetto di una feroce criminalizzazione della solidarietà. È necessario agire per interrompere questa spirale di morte”. Le richieste della petizione: ”Dotare le navi delle Ong della bandiera dell’Onu, per tutelare l’operato delle organizzazioni umanitarie che danno concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali; Cancellare la cosiddetta zona Sar libica, perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani”.

“Le Nazioni Unite e l’Imo possono farlo, ma per questo è necessaria un’azione internazionale di pressione, che tramite una grande raccolta di firme richiami queste due grandi organizzazioni a scegliere di proteggere la vita e la dignità degli equipaggi delle navi umanitarie e dei migranti strappati a una morte sicura in mare. È necessario che le tante persone indignate e inorridite per l’assoluto disprezzo per la vita mostrato dai

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