Assassini in famiglia: in Italia ogni due settimane un genitore uccide un figlio
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Assassini in famiglia: in Italia ogni due settimane un genitore uccide un figlio

Nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri. In particolare, le madri sono autrici della quasi totalità degli infanticidi/neonaticidi censiti.

Assassini in famiglia: in Italia ogni due settimane un genitore uccide un figlio
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15 Giugno 2022 - 15.22


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La morte della piccola Elena a Catania, è solo l’ultima di una lunghissima serie di omicidi ai danni di bambini avvenuti in famiglia. Nel pezzo pubblicato sul sito dell’Agi, a cura di Stefano Barricelli, viene analizzato il fenomeno.

Dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi 268 figlicidi, una media di quasi uno ogni due settimane: nel 55,6% dei casi (149 in valori assoluti) si tratta di bambini con meno di 12 anni, in dettaglio 106 di età compresa tra 0 e 5 anni (il 39,7%) e 43 tra 6 e 11 anni (16,2%). È quanto emerge dalla elaborazione del fenomeno aggiornata dall’Eures – Ricerche economiche e sociali.

Decisamente inferiore, nel periodo in questione, l’incidenza delle vittime adolescenti (26, pari al 9,6%) o di figli maggiorenni (93, pari al 34,4%), spesso uccisi da genitori anziani, incapaci di prendersi cura o di sostenere fragilità fisiche e mentali o la loro dipendenza. Delle 268 vittime di figlicidio tra il 2010 ed oggi, 151 sono i maschi (56,8%), 117 le femmine (43,7%).

Padri e madri killer

Nella maggior parte dei casi l’autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri (96 in valori assoluti). Il rapporto si capovolge nella fascia 0-5 anni, quando sono le madri a risultare le autrici prevalenti (in 61 casi, pari al 57,5% contro 45 commessi dai padri, pari al 42,5%).

In particolare, le madri sono autrici della quasi totalità degli infanticidi/neonaticidi censiti (35 sui 39 complessivi). Il suicidio, che frequentemente segue l’omicidio – soprattutto negli omicidi in famiglia e all’interno di una relazione di coppia, dove si attesta a circa un terzo dei casi – raggiunge nei figlicidi l’incidenza più elevata, pari al 43,3%.

Disaggregando i dati in base al genere dell’autore emerge come siano soprattutto i padri a far seguire al gesto omicida la propria morte (48,8% dei casi), a fronte di una percentuale significativamente inferiore rilevata tra le madri (33,3%).

Si tratta in molti casi dei cosiddetti “suicidi allargati”, in cui i figli (e spesso le mogli/ex mogli) fanno parte di un piano omicida che prevede l’annientamento dell’intero nucleo familiare.

Il movente

Con riferimento al movente, oltre un terzo dei figlicidi (il 34,3%) è attribuibile ad un disturbo psichico dell’autore (depressione o altro disturbo psicologico), che sale al 54,2% dei casi quando ad uccidere il proprio figlio è la madre. Al disturbo psichico appare peraltro in larga parte assimilabile anche il neonaticidio, ovvero l’uccisione del figlio nei primi giorni/mesi di vita a seguito di uno stato di forte depressione, generalmente della madre (che infatti registra tra queste ultime una incidenza pari al 24%).

Nelle dinamiche alla base degli eventi delittuosi che coinvolgono i figli hanno un peso rilevante i cosiddetti “omicidi del possesso” (pari complessivamente al 14,6% dei casi), che figurano al secondo posto tra i moventi individuati e riguardano quasi esclusivamente autori uomini (nel 21,5% dei casi contro il 2,1% tra le donne): “All’interno di una relazione di coppia ‘malata’ – spiegano i ricercatori dell’Eures – i figli non sono considerati come soggetti a sé, ma come l’estensione del coniuge o dell’ex coniuge che si vuole punire/annientare, tanto che nella quasi totalità dei casi tali delitti rappresentano stragi familiari, che coinvolgono anche l’altro genitore e si concludono con il suicidio dello stesso autore”.

Gli altri moventi (liti e dissapori, disagio della vittima, interesse o denaro) si registrano quasi esclusivamente quando l’autore è il padre e quando la vittima è maggiorenne.

L’arma del delitto

Nel 30,2% dei casi (pari a 81 vittime), l’arma del delitto è stata un’arma da fuoco, modalità quasi esclusivamente adottata dagli uomini (nel 42,4% dei casi) a fronte dell’8,3% tra le donne. Seguono le armi da taglio, utilizzate nel 24,6% dei casi (66 vittime) e il soffocamento (10,4% delle vittime, pari a 19) che rappresenta la modalita’ principalmente utilizzata dalle madri (in 19 casi di figlicidio, pari al 19,8% dei figli uccisi dalle madri).

Analizzando infine la distribuzione geografica dei figlicidi censiti dalla banca dati Eures tra il 2010 e il 2022, si registra una prevalenza dei casi al Nord (121, pari al 45,1%), seguito dal Sud (92 figlicidi, pari al 34,3%) e dal Centro (55 casi, pari al 20,5%). A livello regionale, circa una vittima su 5 (50, pari al 18,7% dei figlicidi complessivamente censiti) è stata uccisa in Lombardia; segue la Sicilia (con 28 vittime, pari al 10,4%), la Campania (26 figlicidi, pari al 9,7%), il Lazio (24 vittime, pari al 9%), l’Emilia Romagna e il Piemonte (entrambe con 20 vittime, pari al 7,5%). 

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