Otto marzo, all’inferno ci andiamo noi
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Otto marzo, all’inferno ci andiamo noi

Il covid ha ingoiato nel suo buco nero centinaia di migliaia di posti di lavoro, di questi la maggior parte erano posti di lavoro occupati da donne.

Donne e lavoro
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8 Marzo 2021 - 08.05


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di Camilla Soru

Questo appena trascorso è stato un anno infernale. Il covid ha ingoiato nel suo buco nero centinaia di migliaia di posti di lavoro, di questi la maggior parte erano posti di lavoro occupati da donne. Ricordiamo tutti i dati di dicembre 2020: 101.000 lavoratori in meno di cui 99.000 di genere femminile.

Le scuole chiuse, i congedi inesistenti. Le ferie finite. Le donne stanno a casa.

Il covid ha sputato fuori dal suo buco nero quello che era ovvio: un aumento delle chiamate ai numeri d’aiuto dei centri anti violenza. Un aumento che ha toccato picchi del +73%. Donne costrette a lunghe permanenze in casa, diventate in misura maggiore economicamente dipendenti dai loro compagni per il lavoro perso, impossibilitate a sottrarsi alle violenze domestiche per via dell’isolamento. Il covid ci ha ricordato che paese siamo, un paese dove la cura è tutta delegata alla donna, dove il lavoro sacrificabile è quello femminile perché probabilmente è guarda caso anche quello pagato meno. Un pese che pensa che le politiche per la parità di genere siano bonus e paghette che ci invoglino a fare figli stando a casa, guai a pensare di obbligare i nostri datori di lavoro a eliminare il gender pay gap e ad abituarci all’idea che possiamo essere quello che vogliamo e più cose contemporaneamente. Anche madri, senza per questo mettere a rischio lavoro e carriera.

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Un anno di inferno, terminato con una levata di scudi contro la declinazione di genere. Donne che, convinte di grande azione di protesta, rivendicano la cultura patriarcale, il loro diritto a sottostare a questa cultura escludente, nella farlocca convinzione di prendere una posizione di cultura e libertà. Rinunciano così alle regole base della nostra lingua, quelle che avrebbero dovuto imparare alle scuole elementari.

Mi chiamo Camilla Gerolama Soru.

Camilla come la regina dei Volsci, che non sapeva filare e non conosceva i lavori femminili ma, abile nella guerra e veloce nella corsa, guidava il suo popolo nella battaglia. Gerolama come la madre di mio padre, una donna risoluta e moderna, imprenditrice astuta, femminista senza saperlo. Mi chiamo Camilla Gerolama Soru e tra le altre cose sono anche una consiglierA comunale di Cagliari. Perché sono una donna e perché lo dicono grammatica e buon senso.

 

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