Tiberti: "I vaccini non danno alcuna certezza. Bisogna tornare a lavorare in presenza e in sicurezza”
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Tiberti: "I vaccini non danno alcuna certezza. Bisogna tornare a lavorare in presenza e in sicurezza”

Parla il direttore del Centro interdipartimentale di Epidemiologia e docente di Igiene generale applicata all’Università dell’Aquila

Sergio Tiberti
Sergio Tiberti
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27 Gennaio 2021 - 20.15


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di Antonello Sette

 

Professor Sergio Tiberti, accademico delle scienze, direttore del Centro interdipartimentale di Epidemiologia e docente di Igiene generale applicata all’Università dell’Aquila, titolare della SMA, società leader nei servizi medici aziendali. Di tutto e di più. Un’autorità riconosciuta a livello internazionale, in tema di sicurezza sul lavoro.
Mi consenta preliminarmente una domanda, che parte da una sensazione. Non le sembra che si punti più alle chiusure che alla verifica della sicurezza sui luoghi di lavoro?
È così. Anche perché – osserva Tiberti rispondendo all’Agenzia SprayNews – in molte società, le più grandi, si lavora ormai in smart working. I dipendenti stanno a casa. Prima o poi, però, si dovrà tornare a lavorare in presenza e sul serio. Bisognerà puntare a un rientro in sicurezza, anche perché il toccasana delle vaccinazioni sta mostrando falle vistose. E non lo dico solo io.
Mi sta dicendo che i vaccini e le vaccinazioni non saranno risolutivi?
Sono stati pubblicati alcuni lavori scientifici, ed altri sono in corso di pubblicazione, che lanciano l’allarme sull’effettiva copertura immunitaria dei vaccini. Pensi che uno dei vaccini preselezionati risulta efficace solo per l’otto per cento degli over sessantacinque anni. E il novanta, novantacinque per cento, propagandato dalle case produttrici, in realtà si riduce a una percentuale molto più bassa, inferiore al trenta per cento. Io dico da una anno che si doveva puntare, anziché sui vaccini, sulla scoperta di un farmaco antivirale, come è avvenuto per l’Aids, un virus parente non lontano del Covid 19. Si è imboccata, a mio parere, una strada sbagliata e lo si capirà ancora meglio quando gli organismi internazionali ci diranno che i vaccini sono consigliati e utili solo per chi ha meno di cinquanta anni. Un tragico abbaglio annunciato. Che si abbina con il mancato ricorso al plasma iperimmune, a differenza di quanto sta accadendo in molti paesi europei, a partire dalla Germania.  
Molte aziende si sono rivolte a lei per capire come districarsi nella drammatica emergenza della pandemia. Quante sono quelle In cui, grazie a lei, si lavora oggi in condizioni di sicurezza?
Le più grandi aziende italiane hanno seguito i miei suggerimenti. Enel, Telecom, Enav e Windtre, solo per fare alcuni esempi. Naturalmente in piena sintonia con i loro dirigenti e i loro quadri, tutti peraltro molti sensibili alla tematica del lavoro in sicurezza e all’individuazione di tutte le misure utili per prevenire il contagio nella loro azienda e soffocare eventuali focolai. Misure, peraltro, non semplici da individuare, perché il Coronavirus è aggressivo e subdolo. Come pochi altri virus nella storia dell’umanità. Chi controlla quello che fanno i dipendenti durante il giorno? Io ho avuto a che fare con alcuni lavoratori che sono andati una sola volta al bar e si sono contagiati. Non bisogna assolutamente abbassare la guardia. Anche perché, come se non bastasse il Covid originario, ora siamo minacciati dalle sue mutazioni, la brasiliana, l’inglese e la sudafricana, che non è detto siano sensibili alle tipologie di vaccini in circolazione, come dicono i loro produttori. E che vuole che dicano? C sarà mai un’azienda che sostenga che il suo latte, non è buono o che fa male alla salute?
Sta crescendo, secondo lei, una cultura che antepone la salute alla produttività?
Noi dobbiamo contemperare la salute selle persone e il lavoro in presenza. Un obiettivo ineludibile, di fronte a una catastrofe non solo sanitaria, ma anche economica. Non si può continuare a mantenere i lavoratori a casa, anche perché, diciamola una buona la verità, lo smart working, come ci è stato detto, in molti casi assicura la presenza, ma non il lavoro. Si sta a casa e non si fa niente.
Ci sono ancora carenze diffuse in tema di lavoro in sicurezza? Siamo complessivamente in ritardo rispetto all’Europa?
Dal punto di vista politico e governativo sicuramente sì. E non lo dico solo io. La sesta sezione civile del Tribunale di Roma ha sentenziato l’illegittimità dei Dpcm di Giuseppe Conte, che hanno sin qui dettato tutte le regole anti Covid. Fortunatamente, però, alcune grandi aziende, si sono, come le ho detto, mosse in proprio. A partire dell’approvvigionamento, a proprie spese, dei vaccini antinfluenzali, di cui quest’anno si è avvertita la carenza, come forse mai in passato, a dispetto degli accorati appelli istituzionali a vaccinarsi. Ora dicono che l’influenza stagionale non è ancora arrivata per merito delle precauzioni stabilite per fronteggiare il Coronavirus. Ci sarebbe, peraltro, da chiedersi perché abbiano funzionato per l’influenza e non per il Covid. E perché, continuino, nonostante le precauzioni adottate, a esserci giorni in cui il numero dei morti tuttora aumenta, anziché calare. Qualcosa è evidentemente sfuggito a chi decide per noi. 
Quali sono le precauzioni specifiche più importanti per un rientro in sicurezza nei luoghi di lavoro?
Le stesse precauzioni che sono valide per tutti. Evitare assembramenti, utilizzare mascherine efficaci, come le fp2 o quantomeno le chirurgiche a tre veli, il distanziamento, l’apertura prolungata delle finestre per un ricambio dell’aria naturale e non forzato. Pensi che è stato scientificamente dimostrato un contagio, avvenuto all’interno di un ristorante, fra due persone distanti sei metri l’una dall’altra. E, studiando la mappa dei circoli dell’aria, si è capito perché tutti gli altri, anche posizionati alla stessa distanza, non si erano infettati.
Lei professore si è definito antenato di se stesso. Nel senso, se ho capito bene, che deve solo a stesso la sua carriera professionale, le sue competenze e le sue capacità. Le capita di guardarsi intorno e di scorgere altri antenati di se stessi?
Gli antenati di se stessi ci sono, ma sono pochissimi. Una percentuale minima.
Siamo, quindi, ancora in balia delle baronie?
Assolutamente sì. Del resto, è una calamità notoria. Mi pare, però, di poter dire che il fenomeno si è diffuso a macchia di leopardo. Ho letto il libro di Alessandro Sallusti con l’intervista all’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara. Si parla, a partire dal titolo, di un Sistema. Che utilizzava metodi, in molti casi non dissimili da quelli delle baronie universitarie. Anche nella magistratura c’è, forse, una strutturale carenza di antenati di se stessi.

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