Sgarbi, Morelli, Di Battista, Gue Pequeno, Cremonini: cinque esempi di mascolinità tossica in un solo giorno
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Sgarbi, Morelli, Di Battista, Gue Pequeno, Cremonini: cinque esempi di mascolinità tossica in un solo giorno

Se vi stavate chiedendo a cosa servono ancora i Pride, le marce femministe, se vi domandate perché bisogna ‘ostentare’, ecco questa è la risposta: perché certe cose non possano più venire dette

Mascolinità tossica
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

25 Giugno 2020 - 20.59


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Se siete di quegli eterosessuali convinti che i Pride siano una carnevalata e che il femminismo sia terrorismo in gonnella, oggi è stata la vostra giornata: l’Italia si è resa teatro di cinque esempi di mascolinità tossica, di omofobia, di patriarcato, di sessismo che ben rappresentano la situazione di questo paese su questi temi.

Il primo è ovviamente Vittorio Sgarbi, che ha dato della tr*ia alla deputata Giusi Bartolozzi (che di mestiere fa il magistrato) e la vicepresidente dell’aula Mara Carfagna. Per questo motivo è stato trascinato fuori dall’aula di peso, ma non ci si sta concentrando abbastanza sulla gravità di quanto fatto: il sessismo all’interno dell’Aula del Parlamento, la mancanza di rispetto per le donne e per le figure professionali e autoritarie che rappresentano è da condannare con forza, ma sappiamo già che ci faremo tutti una gran risata perché in fondo agli italiani Sgarbi piace così. E poco importa che due donne siano state insultate da un uomo che da decenni umilia profondamente le cariche istituzionali che ricopre.

Poi è toccato allo psicologo Morelli: dopo aver sostenuto che una donna, seppur realizzata professionalmente, se non riesce a ‘farsi desiderare da un uomo’ allora è una fallita, ha insultato Michela Murgia che è stata ‘colpevole’ di avergli domandato se questa affermazione non riduca le donne a semplice oggetto del desiderio maschile. Morelli, evidentemente colpo in pieno nella sua fragile mascolinità, ha reagito urlando ‘stai zitta’ alla giornalista. ‘Lo dice la psicanalisi’ afferma Morelli, che non ha il coraggio di mettere la firma sulle sue affermazioni e si nasconde dietro i suoi titoli du studio.

Passiamo ad Alessandro Di Battista, che parla di ‘volgari trasgressioni dei gay ai gay pride’. Fermo restando che non si dice Gay Pride ma solo ‘Pride’, perché si tratta di una rivendicazione dei diritti di tutti gli esseri umani, Di Battista infila questo commento omofobo in un contesto che non c’entra nulla (la legalizzazione della cannabis) e solo per provocare, perché la comunità Lgbt ormai è un bersaglio mobile per chiunque voglia guadagnare un po’ di visibilità. Come scrive Simone Alliva, autore del libro-inchiesta ‘Caccia all’Omo’, “la trasgressione ha aiutato il movimento, ha dimostrato a tutti, gay ed etero, che il movimento per i diritti dei gay non si batte solo per la libertà di essere gay o etero. Si batte per la libertà di essere qualunque tipo di etero, gay, lesbica, bisessuale o transessuale tu voglia essere. Si batte anche per Alessandro Di Battista”.

Poi, in questa lista della vergogna arriva Gué Pequeno, che sostiene a Rolling Stones che il rapper Ghali lo fa ‘solo ridere’, perché indossa la borsetta e si veste rosa confetto. Non è così che fa un vero rapper, sostiene Pequeno. Verrebbe da sorridere, visto che lui e tutti i suoi ‘colleghi’ sono fatti con lo stampino (nei vestiti e nei testi, se si vuole essere pignoli), ma è la stilettata finale che fa capire cosa pensa davvero Pequeno: “Non sono razzista né omofobo, ma…”. Ma lo sei, caro Gué. Lo sei perché se non lo fossi non ti interessebbe affatto come si vestono le persone. Lo sei perché Ghali che si veste rosa confetto pur non essendo gay rivendica una libertà di pensiero e personale che tu non avrai mai. Si scrive omofobia, si legge anche semplicemente invidia.

Infine, Cesare Cremonini, che con un insopportabile arietta da maschio bianco privilegiato rivendica il diritto di chiamare la sua domestica moldava ‘Emilia’, perché ‘lo pretende’. “La pago, quindi…” dice Cremonini, che evidentemente è convinto che se paghi qualcuno lo possiedi fino nel nome.

Cinque esempi, cinque livelli di degrado maschilista. Se vi stavate chiedendo a cosa servono ancora i Pride, le marce femministe, se vi domandate perché bisogna ‘ostentare’, ecco questa è la risposta: perché certi squallidi personaggi non possano più spargere la loro tossicità senza conseguenze.

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