Porti chiusi ai migranti. Il Decreto della vergogna fa scuola a Malta e in Libia
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Porti chiusi ai migranti. Il Decreto della vergogna fa scuola a Malta e in Libia

La lotta al Coronavirus diventa la tomba della solidarietà nel Mediterraneo. Nessuno li vuole e nessuno vuole salvarli. La Alan Kurdi ha a bordo 150 persone soccorse.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Aprile 2020 - 15.06


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L’Italia fa scuola. In negativo. Ovvero: chiudo io che chiudi te. E così la lotta al Coronavirus diventa la tomba della solidarietà nel Mediterraneo. Nessuno li vuole e nessuno vuole salvarli. È l’amara sentenza che si legge tra le righe dopo la chiusura di Italia e Malta ai migranti soccorsi dalla Ong Sea-eye ormai al quarto giorno di navigazione a bordo della Alan Kurdi con 150 persone soccorse. Per la prima volta il Mediterraneo centrale non ha un porto sicuro ed entrambe le sponde del mare sono state chiuse d’imperio

Dopo il decreto del Governo che in modo del tutto strumentale di fronte alle Convenzioni internazionali ridefinisce in maniera del tutto arbitraria la definizione di “porto sicuro”, il paradosso adesso arriva proprio dalla Libia. Da quella cosiddetta guardia costiera libica finanziata e supportata dall’Europa e in particolare dall’Italia.

L’Italia fa scuola

Come riferisce l’Oim, (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) 250 migranti intercettati dai guardacoste libici sono rimasti a bordo dell’imbarcazione perché le autorità libiche hanno rifiutato lo sbarco. E questo perché la Libia, secondo le stesse autorità politiche di Tripoli, non può più considerarsi un porto sicuro, quello stesso place of safety indicato nel decreto interministeriale del Governo italiano. Una decisione che come spiega l’Oim è stata annunciata subito dopo che l’Italia ha dichiarato i suoi porti non sicuri a causa della pandemia.

“La situazione è tragica. Centinaia di persone dopo 72 ore in mare hanno trascorso la notte in una barca stracolma di persone in queste precise circostanze”, spiega il capo della missione Oim in Libia Federico Soda. “Lo status quo non può continuare. C’è bisogno di un approccio olistico alla situazione nel Mediterraneo centrale», rimarca Soda, esortando gli Stati europei a non respingere le navi di migranti.

Un fatto è certo. Come ha rilevato la stessa Oim, nella settimana di Pasqua sono ricominciate le partenze dalla Libia dove i migranti sono rinchiusi nelle terribili connection house sotto le bombe e, grazie al tempo migliore e al mare calmo, preferiscono affrontare la pericolosa traversata del Mediterraneo centrale piuttosto che restare in quel Paese, per loro molto più pericoloso del virus che ha invaso l’Europa.

Senza scampo

Per i naufraghi significa non avere più scampo. Anche La Valletta, infatti, nella tarda serata di ieri ha dichiarato che non può più garantire il salvataggio dei migranti né consentire il loro sbarco durante il periodo di emergenza sanitaria. Un annuncio arrivato 24 ore dopo che l’Italia ha chiuso i suoi porti.
Spinti in gran parte dal miglioramento delle condizioni meteorologiche e dall’aggravarsi del conflitto, oltre 500 migranti sono partiti dalla Libia questa settimana, nel tentativo di raggiungere l’Europa. Circa 150 sono stati salvati con due interventi dalla nave umanitaria tedesca Alan Kurdi, altri 67 sono arrivati autonomamente a Lampedusa, il resto sono stati presi dalla cosiddetta Guardia costiera libica. 
L’Oim ha ripetutamente chiesto “l’istituzione di un meccanismo di sbarco chiaro, sicuro e prevedibile” in Europa, ma gli Stati dell’Ue non hanno mai trovato un accordo stabile. I profughi “continuano a essere sottoposti a detenzione arbitraria. Molti negli ultimi mesi sono stati segnalati come dispersi e migliaia di altri – ricorda l’agenzia Onu – sono detenuti in condizioni disumane nelle prigioni dai trafficanti”.

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 “Applicando il principio posto alla base del decreto emanato dal governo italiano, i profughi/migranti dovrebbero trovare ovunque le porte chiuse e, dunque, essere respinti in Libia. Mandati a morire, cioè, nell’inferno dal quale sono riusciti a fuggire a prezzo di mille rischi”, denuncia don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, in una lettera appello al governo italiano. 

La rivolta delle Ong

“Tutte le vite vanno salvate, tutte le persone vulnerabili vanno protette, a terra come in mare. Farlo è possibile e doveroso”, hanno affermato ieri in un comunicato congiunto le ong Sea Watch, Mediterranea, Open Arms e Medici senza frontiere, commentando il decreto firmato dai ministeri dei Trasporti, degli Esteri, dell’Interno e della Salute in cui si dichiarano i porti italiani non sicuri, per l’emergenza Coronavirus in corso.

“Il decreto di fatto strumentalizza l’emergenza sanitaria, riprendendo l’impianto già utilizzato nel recente passato per ostacolare le attività di soccorso in mare, in un momento difficile in cui più che mai sarebbe necessaria un’assunzione di responsabilità a livello europeo per poter ottemperare all’obbligo di soccorso – scrivono le Ong -. Come già il Decreto Sicurezza Bis, anche questo strumento classifica come una minaccia l’ingresso di navi straniere che hanno salvato naufraghi nel mar Mediterraneo Centrale, reiterando il riferimento implicito alla responsabilità libica, o allo sbarco in Paesi lontani, contro la normativa internazionale”.
Secondo le organizzazioni impegnate in questi anni nel salvataggio in mare di migranti, “in un momento come questo, la sofferenza di cittadini colpiti da un’emergenza sanitaria non può diventare motivo per negare un sostegno – che è anche un obbligo legale – a chi non perde il respiro su un letto di terapia intensiva ma annegando”.  Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea esprimono la propria preoccupazione per la decisione del governo italiano di “strumentalizzare la situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti alle persone salvate in mare da navi straniere, riferendosi ancora una volta, di fatto alle navi civili di ricerca e soccorso – aggiungono -. Con un decreto il cui scopo evidente è quello di fermare le attività di salvataggio nel Mediterraneo, senza fornire alternative per salvare la vita di chi scappa dalla Libia, l’Italia ha privato i suoi porti della connotazione di luoghi sicuri, propria di tutti i porti europei, equiparandosi a Paesi in guerra o dove il rispetto dei diritti umani non è garantito e operando una selezione arbitraria di navi a cui l’accesso è negato”.

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Secondo le Ong “sarebbe stato possibile trovare molte soluzioni diverse, conciliando il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere vite in mare, un dovere che non può mettere sullo stesso piano le navi di soccorso con le navi da crociera. In un momento in cui l’Italia chiede e ottiene solidarietà da parte dei suoi partner internazionali e delle stesse Ong per far fronte all’emergenza Covid-19, il governo dovrebbe mostrare la stessa solidarietà verso persone vulnerabili che rischiano la loro vita in mare perché non hanno alternative”. Le organizzazioni firmatarie dell’appello non sono attualmente in mare con le proprie navi, “dal momento che, proprio per adeguarsi alle misure sanitarie di prevenzione e risposta a Covid-19, stanno riorganizzando i propri assetti e operazioni – spiegano -.Siamo profondamente consapevoli della situazione di emergenza che tutti stiamo vivendo, tanto che, come noto, abbiamo messo tutti le nostre risorse e il nostro personale a disposizione del sistema sanitario italiano impegnato contro il Covid-19, al quale stiamo offrendo supporto in questa tragica emergenza. Noi non siamo in mare, ma lo è, insieme a 150 sopravvissuti a un naufragio fra i quali una donna incinta, una delle navi umanitarie battenti bandiera straniera alle cui attività si riferisce il decreto – conclude la nota -. L’emergenza sanitaria non intacca la necessità di trovare al più presto una soluzione dignitosa per Alan Kurdi”.

Come Salvini, anzi peggio

Leggendo il decreto punto per punto si evince un inasprimento dei decreti Salvini: Un decreto di compromesso condizionato dalla forte pressione che la Lega e Fratelli d’Italia sta esercitando in questo momento sul Governo in questa materia. Una pressione già manifestata in tutti i provvedimenti sul Coronavirus e che ovviamente in materia di immigrazione è ancora maggiore ed è probabilmente maggiore il vantaggio politico che qualcuno pensa di perseguire esasperando una questione ormai superata come quella del soccorso delle Ong, considerando che nelle acque del Mediterraneo centrale è rimasta solo una piccola nave, la Alan Kurdi della Ong Sea Eye, mentre tutte le altre Ong sono state costrette al ritiro. Quindi è inimmaginabile che le navi della società civile possano essere un fattore di attrazione perché le partenze dalla Libia continueranno ad esserci come dimostrano gli ultimi sbarchi autonomi avvenuti l’altra notte  a Lampedusa per un totale di 140 personeCentinaia di disperati che partono e continueranno a partire con o senza Ong”, dice a Vita.it l’avvocato e professore universitario Fulvio Vassallo Paleologo, che insieme ad altri giuristi italiani valuta una volta adottato un provvedimento di divieto d’ingresso da parte del Prefetto di Agrigento, appena nominato, un ricorso in sede giurisdizionale.

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Intanto, Il Centro per il controllo delle malattie di Tripoli ha annunciato tre nuovi casi di Coronavirus in Libia. I laboratori del centro hanno ricevuto ieri, giovedì 9 aprile, tredici campioni e i risultati delle analisi dei campioni sono stati negativi. Tuttavia, l’ospedale di Al Kuifiya invece ha ricevuto, nelle ultime 24 ore, 106 campioni, con 3 casi risultati positivi. Salgono così a 23 i casi di Covid-19 in Libia, di cui uno confermato a Bengasi e tutti gli altri a Tripoli e Misurata. Ma il virus non ferma la guerra. IIlpresidente del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico (Gna), Fayez al.Sarraj, ha accusato Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna), “di aver chiuso i terminal di petrolio e ignorato le richieste internazionali di tregua per affrontare il Coronavirus”, sottolineando che “comunque alla fine saremo vittoriosi”. Parlando in un discorso alla nazione in occasione del primo anniversario dell’attacco su Tripoli da parte di Haftar, Sarraj ha spiegato che “quello che è successo il 4 aprile 2019 ha fatto saltare tutti i processi politici e ci ha riportato indietro”. Il presidente del Consiglio presidenziale ha aggiunto: “Tutti i fronti di combattimento sono buoni, siamo vittoriosi e stiamo lavorando per soddisfare tutte le esigenze dei combattenti”.

Quanto alle esigenze di migranti e rifugiati, semplicemente non esistono per i signori della guerra libici. Per i disperati della terra c’è solo posto nei lager o in fondo al mare.

 

 

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