Ora aspettiamo che Graviano parli dell'agenda rossa di Borsellino
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Ora aspettiamo che Graviano parli dell'agenda rossa di Borsellino

Il boss mafioso non si definisce un pentito ma ha cominciato a raccontare tante cose su Berlusconi, la nascita di Forza Italia e proette rivelazioni sulle stragi di mafia

Giuseppe Graviano
Giuseppe Graviano
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

17 Febbraio 2020 - 10.32


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Sembra quasi sia lo stesso Giuseppe Graviano a correggere una distorsione, una miopia dei media, che del racconto del boss al processo sulla ‘ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria riportano soprattutto il misterioso concepimento del figlio al 41bis, tralasciando tant’altro.
A Reggio, Graviano parla, appare inarrestabile, anzi sembra volerlo urlare che non ha intenzione di fermarsi e appare contrariato per il fatto che quei pochi giornali che fanno eco alle sue dichiarazioni puntino soprattutto a quella vicenda e non alla sostanza di quel che sta dicendo. “Non racconterò mai a nessuno come ho concepito mio figlio”, avverte Graviano, ritenendo ( probabilmente a buon diritto ) che quella, seppure in una cella del carcere duro riservato ai boss mafiosi, sia stata e sia ancora una faccenda privata.
“Mia moglie non è mai entrata in carcere”, dice, smentendo la leggenda che vuole la donna fatta passare ai controlli dentro la cesta della biancheria. E si capisce, se è stato aiutato, e se oggi lo dicesse brucerebbe una sponda che può sempre tornare utile nel resto della carcerazione, fine pena mai. Dunque, Graviano sembra dire: non occupatevi di come sono diventato padre in carcere, andate a leggere con attenzione le altre cose, ben più rilevanti, che ho detto al pm e al rappresentante delle parti civili. E a rappresentare le parti civili al processo di Reggio c’è un ex pm, Antonio Ingroia, ora avvocato, ma che da magistrato ha avuto modo di conoscere direttamente parecchie cose, trattativa Stato-mafia in primis. E allora, andiamo a leggere con attenzione cosa ha detto Giuseppe Graviano, boss di Ciaculli e Brancaccio, nell’udienza del fine settimana. Graviano non stacca un attimo dal riferimento a Berlusconi. Il Cavaliere – dice – ha un debito. Lui parla di un debito reale, di soldi, con la sua famiglia, quella reale, di sangue. Parla di un investimento di 20 miliardi delle vecchie lire che il nonno fece nella Milano di Berlusconi, con Berlusconi. A siglare quell’accordo, una carta privata, all’inizio degli anni Settanta. Soldi direttamente versati nelle mani del Cavaliere, stabilendo una percentuale del 20 per cento che da allora in poi sarebbe tornata ai Graviano.
“I patti vanno rispettati”, ricorda ora Giuseppe Graviano a Berlusconi. E in quelle parole il boss sembra andare oltre quella carta scritta destinata ad agevolare l’impero economico del rampante imprenditore. Un debito diverso, anche questo disatteso: “Silvio Berlusconi – dice in video conferenza Graviano – ha tradito anche Marcello Dell’Utri”. Messaggio su messaggio il fiume di parole del boss. Al pm Lombardo: “Vada ad indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo, e scoprirà i veri mandanti delle stragi, scoprirà chi ha ucciso il poliziotto Agostino e la moglie, scoprirà tante cose…”. “Ombre” sul suo arresto, a Milano, il 27 gennaio del’94, la stessa Milano dove i Graviano si muovevano con agilità, nel lusso, non disdegnando anche eventi culturali. Quasi un milanese acquisito che godeva di una crescita e di una ricchezza alla quale stava partecipando con quell’investimento iniziale del nonno. Protagonista al fianco di un protagonista che si esponeva e che presto sarebbe “sceso” in politica facendosi largo tra le ceneri della prima Repubblica. A Milano Graviano ( tra i primi a sapere dallo stesso Berlusconi della nascita di Forza Italia ) da latitante incontrò più volte Berlusconi. Lo ha ripetuto in aula. Come ha ripetuto di non considerarsi il responsabile delle stragi.
“In fondo – ha detto Antonio Ingroia commentando le parole di Graviano – ha pure ragione quando dice di non essere il “vero” responsabile delle stragi… I “veri” responsabili sono i mandanti, non gli organizzatori e gli esecutori. Solo lui ha pagato, gli altri no, anzi se ne sono avvalsi..o”. “Io – dice Graviano – sono stato arrestato per un progetto che è stato voluto da più persone”. E parla di strane visite avute in carcere, carabinieri, poliziotti, senza che mai quegli incontri fossero registrati o verbalizzati. “Alla fine mi hanno detto: ora lo accuseremo per tutte le stragi, da qui non uscirà più…”.
Puntuale, l’ordinanza di custodia cautelare. Parola di Graviano. Sensibile come è sempre stato alle sorti dei suoi familiari, preoccupato che a loro non mancasse mai nulla, da una bella casa sulla costa francese alle migliori scuole per i figli, Graviano è tornato più volte su quel debito di Berlusconi. Ha raccontato di aver cercato un “aggancio” per fargli arrivare il messaggio, per ricordargli il debito (“Dottore, non mi faccia fare il nome, per cortesia…”).
Tramite che gli aveva assicurato Umberto Adinolfi, in carcere con lui. Di questa “cortesia” c’è traccia in una intercettazione ambientale fatta durante l’ora d’aria. Inarrestabile Graviano, che si è detto pronto ad “accompagnare” il lavoro dei magistrati anche in altri meandri bui. Pronto a parlare anche di “altri argomenti”, quando sarò interrogato, in altre occasioni. Quali misteri? Graviano lo aveva annunciato, vuole parlare anche dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, quell’agenda mai trovata, probabilmente “prelevata” a via D’Amelio mentre ancora le fiamme seguite allo scoppio della strage bruciava i resti del magistrato e quelli della sua scorta. In quell’agenda probabile ci siano stati i nomi di chi aveva tradito lo Stato, i nomi di chi aveva fatto strage a Capaci, i nomi di chi progettava di eliminare Paolo dopo Giovanni. “Porterò altra documentazione su via D’Amelio, porterò a tante malefatte ancora nascoste…Io non ho fiducia nei suoi colleghi che hanno fatto i processi – incalza Graviano – Non collaborerò mai, non accetterò mai un ricatto…Possono mettermi in croce….Qualcuno non vuole la verità, ma una verità…Per fare carriera”.
Messaggi su messaggi, e in tutte le direzioni. Graviano ha pure un libro nel cassetto. Lo firmerà “Madre Natura”, il soprannome che lo accompagna da sempre. Così lo hanno chiamato i pentiti, così lo chiamano gli agenti in carcere parlando di lui. Tra il dire e il vero, c’è di mezzo il mare. Così parlò Graviano. Ora il lavoro, duro, tocca ai magistrati. Unica cosa certa è che un boss del calibro di Graviano conosce tanto, forse tutto, della Storia scellerata della mafia. Resta da capire quanto di quel che dice è da evidenziare come vero e quanto da tradurre come messaggio mafioso, nuovo messaggio mafioso. Nell’uno e nell’altro caso, nello scorrere delle parole rabbiose di un boss, usando il setaccio, qualche pepita si trova.

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