Dalla Nigeria all'Italia: la nuova vita di Daniel, ex bambino soldato
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Dalla Nigeria all'Italia: la nuova vita di Daniel, ex bambino soldato

Daniel Uche, da quando aveva 11 anni, è stato un soldato del Massob, il Movimento separatista del Biafra.

Daniel Uche
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17 Maggio 2019 - 12.20


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Da quando aveva 11 anni a quando ne aveva 15 Daniel Uche è stato un soldato del Massob, il Movimento separatista del Biafra (Nigeria). Oggi, a 31 anni, vive in Italia, a Trento, dove lavora, si sta per diplomare in un liceo economico sociale e fa volontariato. Una vita normale, a prima vista. Ma le cicatrici che si porta dentro sono difficili da curare.
L’arruolamento. Il padre di Daniel, che ricopriva un ruolo di primo piano nell’organizzazione nata per sostenere la causa del Biafra di fronte allo Stato della Nigeria, morì quando il ragazzo aveva 10 anni. E la sua vita cominciò a precipitare: visto che era il primogenito della famiglia, toccava a lui proseguire la lotta del padre. “Una notte, avevo 11 anni, si presentarono i dirigenti del Massob a casa mia”, racconta Daniel. “Volevano che io sostituissi mio padre all’interno del Movimento, che mi concentrassi nelle attività del campo militare e lasciassi la scuola. La mamma all’inizio ha provato a dire che dovevo almeno finire le medie, ma alla fine accettò. Ero distrutto. Volevo continuare a studiare”.

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La vita nei boschi. Daniel è stato quindi portato a Lagos. E da lì nei boschi lontano dalla città, dove un paio di volte l’anno era costretto a vivere per due o tre mesi seguendo l’addestramento militare. “Dicevano che noi bambini eravamo un’arma importante”.

Da spie a soldati. Per i primi due anni, racconta Daniel, il suo compito era quello di diventare amico di bambini figli di traditori della causa del Biafra o di nemici dichiarati, così da raccogliere le informazioni necessarie per intervenire militarmente. “Imparavamo come scoprire il nemico nascosto, ci usavano come spie”, ricorda. Una volta imparato a usare il fucile, però, il suo ruolo cambiò. “Da quando avevo 13 anni iniziarono a farmi partecipare alle azioni, a sparare. Funzionava pressappoco così: facevamo imboscate, oppure difendevamo i biafrani minacciati che ci chiedevano aiuto”.

Gli omicidi inconsapevoli. Daniel risponde a tutte le domande. Ma a un certo punto ha bisogno di una pausa. “Hai mai ucciso qualcuno?”. “Non lo so. In quelle situazioni si spara a raffica, delle persone muoiono, ma poi non si sa chi è stato a sparare. Sì, è possibile che io abbia ucciso qualcuno. Ma non lo posso sapere con certezza”.

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La fuga. Il ragazzo è stato costretto ad andarsene dal suo Paese a causa di uno scontro avvenuto nel 2002 a Lagos e terminato con oltre 10 morti e diversi feriti. “Gli anziani del Massob intervennero pubblicamente dicendo che avevamo esagerato, che le nostre azioni erano diventate troppo violente. E così ho capito che non avevo più la loro protezione, che ero in pericolo. E alla fine, dopo il Natale del 2003, decisi di nascondermi e fuggire, per non prendere più parte a queste azioni”. E dopo aver attraversato il deserto, tre anni in Libia e aver solcato il Mediterraneo su un barcone, arrivò in Italia. 

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