Firenze svenduta ai privati. Come Venezia
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Firenze svenduta ai privati. Come Venezia

Il Fontego a Benetton come Palazzo della Mercanzia a Gucci: i privati possono salvare edifici storici. Ma la proprietà deve rimanere pubblica. [Franco Cardini]

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14 Marzo 2012 - 10.41


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di Franco Cardini

La lettura dell’intervista con Antonio Alberto Semi sul Fondaco dei Tedeschi a Venezia mi ha immediatamente ricondotto a un recente episodio fiorentino. Il mio amico Matteo Renzi, vulcanico e arcidiscusso ma anche interessantissimo sindaco di Firenze (“Sfasciacarrozze”, l’ho ribattezzato io vista la sua tendenza a voler far piazza pulita di gran parte della veterosinistra) mi ha invitato qualche giorno fa a pranzo per discutere della sua idea di ripavimentare Piazza della Signoria alla vecchia maniera, com’è documentato fosse nel Quattrocento, cioè in grandi riquadri di mattoni rossi in cotto sistemati a spina di pesce e messi in opera entro un reticolo di cornici di pietra (Marmo? Pietraforte? Pietra serena).

L’idea mi piace, ed è di quelle che penso si potrebbero sottoporre ai fiorentini facendo una prova: basterebbe coprire una porzione della superficie con un tappeto di carta o di linoleum, opportunamente dipinto. Ho qualche dubbio sul fatto che, dal Quattrocento ad oggi, gli edifici che si affacciano sulla piazza sono molto cambiati, specie quelli sui lati nord e ovest sui quali il sole batte dalla mattina al mezzogiorno.

Ma quel che mi piace, dell’idea di Renzi, è la mobilitazione dei cittadini, la loro informazione su come la città era in passato, il loro coinvolgimento. Qualcuno ha detto che la cosa costerebbe troppo, che si tratterebbe di una spesa superflua, che ci sono tante altre priorità ebblablablà.

Non sono d’accordo su questi pareri unilateralmente utilitaristici, che in genere nascondono mancanza d’inventiva e desiderio di attenersi all’antico adagio italiota secondo il quale non è importante che io non faccia niente, l’importante è che riesca a impedire anche a te di far qualunque cosa. Siamo andati a pranzo in un ristorante nuovissimo, dalle cui enormi porte-finestre di cristallo si gode appunto la vista a pianterreno di Piazza della Signoria dal lato est. Si tratta dell’antico palazzo, archivio e tribunale “della mercatura”, la sede delle corporazioni medievali gli stemmi delle quali ornano facciata e interno dell’edificio, del resto modernissimamente arredato. Ora, esso è sede del “Museo Gucci”, megastore e ristorante.

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Ignoro come sia stato possibile che un antico e venerabile palazzo sia stato ceduto tanto rapidamente e in apparenza facilmente a un’impresa privata: avrei potuto chiederlo in quell’occasione al sindaco, ma non mi è sembrata cosa di buon gusto, tanto più ch’eravamo lì per parlare d’altro. Però a un certo punto è successa una cosa importante e illuminante. Sono direttore di un Centro Studi sull’Arte e la Cultura dell’Oriente che di recente ha dovuto abbandonare la sua vecchia sede che si era sistemata in una villa residenza di un’università privata: e ora io e le mie povere suppellettili, tra cui una biblioteca di qualche centinaio di volumi e molti faldoni di documenti, siamo a spasso.

Mi è capitato di dirlo a Renzi, chiedendogli se per caso il comune di Firenze non avesse un posticino nel quale ospitare il Centro, che svolge una modesta ma decorosa attività di ricerca. Mi ha risposto di mandargli un promemoria e mi ha promesso di pensarci. Credo lo farà. Certo, una domanda mi saliva spontanea alle labbra (ma l’ho ricacciata indietro): ed è la stessa che molti lettori si porranno. Possibile che il comune di Firenze non disponga di una quantità d’immobili (come quello di Venezia) che si potrebbero in tutto o in parte mettere a disposizione di istituzioni sicure, benemerite, che facciano cultura o che si diano ad attività socialmente utili, ma che mancano o difettano di mezzi, e si mostri invece sempre così rapidamente disponibile nei confronti dei privati che vogliono far business?

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Anch’io, al pari dello psicanalista veneziano Antonio Alberto Semi irritato per il Fontego Benetton, sono uno che dal flusso di milioni e milioni di turisti nella mia città, di cui beneficiano alberghi, ristoranti e negozi di grandi griffes, non ricavo direttamente alcun guadagno personale mentre pago le tasse per contribuire a sopportar le spese necessarie a sostenerlo. Ma questo, ohimè, piaccia o no è in realtà un falso ragionamento.

Il punto è che del flusso turistico beneficiano (o dovrebbero beneficiare) tutti i cittadini, sia pur non in pari misura. E il punto è altresì che spesso certi edifici monumentali, costosissimi da restaurare e quindi da mantenere puliti ed efficienti, si possono risistemare appunto solo cedendoli a privati in grado di sostenere appunto le spese di restauro e di manutenzione. Credo che un esempio prezioso sia provenuto al riguardo dalla Spagna degli anni Cinquanta-Sessanta, che stava uscendo dall’isolamento internazionale: e vi riuscì anche e forse principalmente grazie al turismo. Il governo spagnolo si trovava letteralmente pieno di immensi beni demaniali – monasteri, palazzi, ville eccetera – ed era talmente in cattive acque da poter solo assistere alla sua rovina. Si ebbe allora l’idea di istituire la catena dei Paradores Nacionales: d’installare cioè una catena di grandi alberghi di proprietà statale ma gestiti da compagnie private che s’impegnavano ad eseguire in breve tempo restauri a regola d’arte sotto attenta sorveglianza governativa e a fornire servizi da hotel di gran lusso a prezzi relativamente contenuti. La proprietà degli immobili, restaurati e arredati, sarebbe rimasta in perpetuo allo stato. Fu una trovata geniale, che viene ancora citata come un modello. Oltretutto, in questo modo si salvarono autentici gioielli artistici e archeologici e si fece, sul serio, una benemerita operazione culturale salvando monumenti fino ad allora ignoti o poco noti, molti dei quali di pregio obiettivamente straordinario.

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Ma ci vogliono gli interlocutori adatti. Se il sindaco avesse messo il Palazzo della Mercanzia a disposizione del mio Centro Studi, io non avrei avuto nemmeno di che pagare la ditta che giornalmente ripulisce i sevizi igienici. Gucci, questi e ben altri mezzi, ce li ha eccome; Benetton, a Venezia, ne ha altrettanti o ancora di più. Io sono un fautore convinto del pubblico servizio e della pubblica proprietà: ma oggi ci sono problemi che solo la collaborazione tra enti pubblici e taluni soggetti privati può risolvere: l’importante è che in termini di proprietà e di controllo il potere rimanga nelle mani del pubblico. Per il resto, credo si debba obiettivamente far buon viso ai privati. Piaccia o no.

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